22 aprile 2018: QUARTA DI PASQUA
At 20,7-12; 1Tm 4,12-16; Gv 10,27-30
Per evitare di ripetermi, ogni anno cerco di commentare un brano diverso, anche se poi le mie idee sono quelle che sono, e tornano in qualsiasi caso, sia che commenti un brano sia che ne commenti un altro. Forse, dovrei dire che cerco ogni giorno di progredire nella ricerca della verità, e che perciò anche le mie idee si evolvono in rapporto alla mia ricerca della verità.
Contestualizzazione del primo brano
Mi soffermerò sul terzo brano della Messa di oggi: poche righe, ma che possono aprire ampi orizzonti.
Anzitutto, è necessario inserire il brano nel suo contesto, che è fortemente polemico.
In generale, diciamo subito che tutta la vita di Gesù viene riletta nel quarto Vangelo, quello della comunità di Giovanni, come un continuo ininterrotto processo.
Il vocabolario stesso usato dall’evangelista è quello del conflitto e del dibattito giudiziario: tornano frequentemente termini, quali: verità, menzogna, giudizio, giustizia, testimonianza, avvocato, convincere, accusare, ecc. È la stessa persona di Cristo a dividere quanti lo ascoltano: in accusatori sempre più accaniti e in simpatizzanti per lo più incerti. E Gesù a volte si difende, a volte accusa.
Nei versetti precedenti il brano di oggi troviamo dichiarazioni di Gesù che non lasciano scampo: Lui è una realtà sola col Padre. Da qui nasce un nuovo dibattito-processo, che è una specie di epilogo del brano precedente.
Vediamo. Giovanni passa a parlare della Festa della Dedicazione del Tempio, celebrata verso la fine di dicembre, per commemorare la riconsacrazione del Tempio, avvenuta nel 165 a.C. ad opera di Giuda Maccabeo, dopo che il luogo sacro era stato profanato da Antioco IV che vi aveva installato una statua idolatrica.
Mentre Gesù va su e giù per il portico di Salomone, alcuni giudei gli si fanno incontro e gli chiedono di pronunciarsi, chiaramente e pubblicamente, su se stesso e sulla propria missione: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Cristo ancora una volta manifesta la propria identità: Lui è il Figlio di Dio, e attesta la propria unità tutta particolare con il Padre. Le sue “opere” gli rendono testimonianza.
Ma quei giudei non credono, perché non appartengono al “Suo” gregge. Qui sta la vera ragione dell’incomprensione e del rifiuto. E allora prendono delle pietre per lapidarlo. È il secondo tentativo nel giro di poche ore.
Questo è il contesto del brano di oggi: un contesto, dunque, fortemente polemico, un contesto a dir poco infuocato.
Le parole del brano di oggi sono rivolte da Gesù ai suoi oppositori, provocati dal gesto compiuto in un giorno di sabato, con cui Gesù aveva restituito la vista al cieco nato, e poi dalla parabola che presentava la figura del buon pastore, contrapponendo il buon pastore al mercenario: una chiara accusa nei riguardi di quei pastori, che del gregge si approfittano per i loro vili interessi.
Accusa che è sempre attuale
Quando penso alle dure e radicali contestazioni da parte di Cristo nei riguardi della religione ebraica, tanto da colpirla nei suoi due pilastri intoccabili, il Tempio e la Legge (pensate al Sabato), e penso alle attuali religioni, nelle loro strutture e nei loro dogmi, mi chiedo due cose: anzitutto, come è stato possibile che la Chiesa, già all’inizio, sia caduta negli stessi errori della religione ebraica, vanificando Cristo e la Buona Novella; inoltre, come ancora oggi è possibile che i credenti tacciano, rendendosi così complici di una vergognosa insopportabile contraddizione tra Cristo e la gerarchia cattolica.
Cristo, notiamolo, non è stato duro contro il potere politico, anche se, all’occorrenza, lo ha apostrofato e contestato (“andate a dire a quella volpe”, riferendosi a Erode Antipa), ma è stato durissimo contro i caporioni della religione ebraica. Chi non ricorda quei sette “guai a voi”, riportati dal vangelo di Matteo, capitolo 23, lanciati da Gesù contro gli scribi, definiti ogni volta “ipocriti”?
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti!».
Sarebbe interessante conoscere l’etimologia della parola “ipocrita”. Anzitutto, deriva dal greco ὑποκριτής, uno che simula, che finge. Anticamente, era chiamato così l’attore, che doveva fingere, talora più parti, cambiando ogniqualvolta la maschera.
Basta prendere qualsiasi dizionario, e alla parola ipocrita, troverete: “ambiguo, bugiardo, doppio, falso, insincero, menzognero”.
Non ditemi allora che Gesù usava sempre parole tenere, compassionevoli, caritatevoli.
Nelle polemiche con i capi religiosi, non misurava le parole.
Certamente, Cristo non aveva di mira la persona in quanto tale, ma il suo comportamento. Ma questo non deve valere solo per Gesù Cristo, ma per tutti coloro che lottano contro i sistemi sbagliati, di cui fanno parte i politici sbagliati.
Se, dunque, è vero che Gesù Cristo colpiva la mentalità, il comportamento, le strutture, e non le persone in quanto tali, ciò deve valere anche per quei ministri che combattono per una Chiesa più pura, più coerente, più aderente al Vangelo.
Cristo è stato condannato come bestemmiatore, come eretico, perché aveva toccato una religione oramai allo sbando, ma con lo scopo di ridare all’essere umano la sua dignità.
Cristo non si è incarnato per compiere miracoli o per fare belle prediche, ma per dire ad ogni essere umano: “Cerca il tuo mondo interiore, ciò per cui tu sei figlio di Dio, ciò per cui tu sei Dio”.
Cristo è morto su una croce, per donarci lo Spirito, quello Spirito che è il nostro spirito interiore, ciò per cui noi “siamo”.
“Nessuno le strapperà dalle mie mani”
Infine, vorrei farvi notare le parole di Cristo: “Nessuno le strapperà dalle mie mani”. Cristo si riferisce alle pecore del suo ovile, a ciascuno di noi, ad ogni figlio di Dio, di ogni colore di pelle.
Questa è la buona notizia: il vangelo!
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