Iannantuoni, rettrice della Bicocca: Milano è troppo cara ma è ancora il posto ideale per giovani e opportunità

Giovanna Iannantuoni, rettrice della Bicocca, economista, presidente dei rettori italiani
da Il Corriere della Sera

Iannantuoni, rettrice della Bicocca:

Milano è troppo cara ma è ancora il posto ideale

per giovani e opportunità

di Venanzio Postiglione
Secondo incontro della serie «Milano come stai?». La presidente dei rettori italiani: l’unica strada è tenere assieme tutto, la coesione sociale e le nuove tecnologie, la smart city del futuro e la necessità di vivere meglio
Le foto. Gli articoli. I progetti. Una mostra che fa tenerezza. Sembra preistoria ma erano solo gli anni Novanta. La Pirelli aveva salutato la Bicocca dopo una lunga storia cominciata nel 1907: simbolo stesso dell’industria milanese, fino a 13 mila occupati, un pezzo di città da reinventare. Guido Martinotti, sociologo (e visionario) predicava che ci voleva un’università. Lì, proprio lì, al posto della fabbrica. Aveva ragione. Dalla produzione alla conoscenza, con gli studenti a occupare il vecchio quartiere.
Aula magna. Giovanna Iannantuoni, rettrice della Bicocca, economista, presidente dei rettori italiani, ha la dote (ormai rara) dell’entusiasmo. Che non significa ignorare i problemi: ma avere lo slancio per superarli. Secondo incontro della serie «Milano come stai?», con i video su Corriere.it e i colloqui sul giornale cartaceo. Nei luoghi dove l’intervistato si sente a casa.
Come sta Milano?
«È una città in cambiamento. È dinamica, come in tutta la sua storia. E, come sempre, i momenti di passaggio vanno compresi, governati, gestiti. Dobbiamo lavorare al futuro di Milano tutti assieme, possiamo immaginarlo e scriverlo».
Rispetto a venti anni fa la città sta meglio o peggio?
«Ha raggiunto la vetta prima del Covid, poi c’è stata una battuta d’arresto. La pandemia ci ha visto purtroppo al centro della tempesta, ma ora stiamo tornando. Ripartiamo con problemi nuovi da affrontare e con idee nuove da portare avanti. Questa città ha la forza e la bellezza per confrontarsi con la complessità della nostra epoca, come tutte le metropoli».
Diciamoci la verità: è diventata troppo cara. Vale per tutti, figuriamoci per gli studenti che arrivano qui e devono mantenersi.
«È vero. Questa è l’altra faccia della crescita: siamo più attrattivi, soprattutto dopo la Brexit, con grandi investitori che hanno scelto Milano. Ma la città non deve perdere il suo grande motore di crescita, il suo vero dna. La generosità. Nel senso che tutti possano vivere, condividere, crescere assieme. Come dicono la storia e l’identità. Se diventa la città di un’élite, nel senso peggiore del termine, abbiamo perso».
Anche perché siamo cresciuti nel mito di Milano come metropoli delle opportunità. Arrivi, ti impegni, puoi farcela. Non trova?
«Io penso che sia ancora così. Io stessa sono venuta qui, ho frequentato l’università, sono stata in giro per il mondo, ora mi trovo alla guida di un ateneo meraviglioso. Se si pensa a come erano questa università e questo quartiere un po’ di tempo fa e si vede come sono adesso… si resta increduli. E saremo ancora più increduli tra cinque anni, spero».
Un messaggio di fiducia, insomma.
«Siamo pronti ancora a cambiare, il confronto nella città e per la città va tenuto vivo. So che è difficile, ma l’unica strada è tenere assieme tutto, la coesione sociale e le opportunità delle tecnologie, la smart city e la necessità di vivere meglio».
Milano ha più di 200 mila studenti universitari. Come avere all’interno una città grande come Brescia. Una meraviglia, in teoria. Ma dove sono? Li trattiamo come se fossero fantasmi.
«Questo è un tema a me molto caro. Sono le nostre ragazze e i nostri ragazzi, il nostro futuro, e allo stesso tempo la prima voce nell’economia della città, visto che sono anche consumatori. Quante decine di migliaia rimangono poi a lavorare qui, come bacino per le imprese, per la pubblica amministrazione, per i nuovi progetti… La città è fatta con i loro sogni: se realizzano se stessi aiutano anche tutto il contesto. Ecco: non priviamoli della possibilità di vivere qui per tutta la loro vita, con il lavoro, la famiglia, i figli. A Milano dai, poi Milano restituisce».
Anche se…
«Anche se è complicato. Sappiamo anche quanto sia diventato difficile comprare o affittare una casa. Diciamo che è un tema prioritario».
Lo vedrà tutti i giorni: le fragilità dei ragazzi sono in crescita, è un problema gigantesco, spesso chiudiamo gli occhi.
«Ce ne siamo accorti soprattutto durante la pandemia e ancor di più dopo. Anche se l’emergenza arriva da lontano. Noi abbiamo un servizio di aiuto psicologico molto radicato ma non si fa mai abbastanza. Dobbiamo tutti abituarci ad ascoltare i loro problemi e a trovare spazi dove possano stare tra loro, parlare, anche rilassarsi. Ha fatto rumore la nostra iniziativa per i ragazzi, i lavori con l’uncinetto, ma è un modo per svuotare la mente, uscire dalle tensioni per gli esami e i voti. Scuola e università servono anche a questo… coniugare l’equilibrio interiore, la via per essere se stessi, con l’ambizione di percorsi e traguardi impegnativi».
Città e università. Amici o conoscenti? Atenei parte vitale o corpi estranei?
«Siamo il cuore di Milano, un universo di giovani tra i 18 e i 25 anni, un intreccio di energie. Contiamo a tal punto che, siamo quattro università, stiamo realizzando il progetto Musa, proprio per la rigenerazione urbana, per il dialogo continuo tra ricerca scientifica e benessere dei cittadini. Ambiente, povertà educativa, salute pubblica, innovazione: un modo per affrontare la complessità. Lo studio a disposizione dei cittadini».
Milano delle fabbriche, del terziario, dell’Expo. E adesso? La nuova vocazione?
«Unire l’eccellenza, non come branding astratto, ma nel senso vero del termine: dalla ricerca agli ospedali, dal terzo settore alle opportunità per tutti. Quel passato manifatturiero, la capacità di fare tenendo assieme le persone, parla della storia ma anche del futuro. È la famosa identità».
E quindi consiglierebbe ancora ai giovani di venire a Milano?
«Sempre. Li aspettiamo».
Quando la Pirelli sbarcò alla Bicocca la fabbrica sembrava il destino unico (eterno) di Milano. I futuristi inventarono la città che sale, tra palazzi e ciminiere. Umberto Boccioni, nel 1907, lo scrisse chiaro e tondo: «Voglio dipingere il nuovo, il frutto del nostro tempo industriale». Sono passati un po’ di anni, Milano ha otto università da cui partire e ripartire.

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