Francesca Romani e Alcide De Gasperi nella loro casa in Val di Sella nel 1954 – Fondazione Trentina De Gasperi
da AVVENIRE
20 dicembre 2020
De Gasperi
Alcide e Francesca:
storia di una coppia dentro la Storia del Novecento
Paola De Gasperi e Marco Odorizzi
Un volume ripercorre, attraverso il rapporto epistolare, la nascita e il formarsi del legame tra il padre della Repubblica e Francesca Romani, sua futura moglie
Anticipiamo qui alcune pagine dal libro Alcide e Francesca (Cittadella Editrice) dedicato da Paola De Gasperi e Marco Odorizzi al rapporto tra Alcide De Gaperi e sua moglie Francesca Romani.
Per capire chi è stato Alcide De Gasperi, l’uomo che oggi ricordiamo come uno dei padri fondatori dell’Unione europea e della Repubblica italiana, non basta elencarne i successi, le affermazioni elettorali e le battaglie politiche. Con un po’ di azzardo, ci si potrebbe quasi spingere a sostenere il contrario: che per capire chi è stato Alcide De Gasperi si deve cercare soprattutto nelle pagine più nascoste e spesso dimenticate della sua vita. Una di queste pagine, forse una delle più belle, è senza dubbio la sua storia d’amore con Francesca Romani. Quando conobbe Francesca, Alcide aveva già quarant’anni e fino ad allora non aveva certo avuto quella che si direbbe una vita tranquilla. […]
All’inizio degli anni Venti egli si prepara a vivere un nuovo inizio, che lo avrebbe portato a rappresentare la sua gente anche nel mutato contesto che, con la dissoluzione dell’Impero degli Asburgo, collocava il Trentino dentro l’orizzonte del Regno d’Italia. Il 15 maggio 1921, alle prime elezioni delle terre ‘redente’, i trentini lo hanno infatti chiamato a prendere posto tra i deputati del Regno, insieme ad altri quattro compagni eletti tra le fila del neocostituito Partito popolare italiano di don Luigi Sturzo. Di questa piccola delegazione di popolari trentini fa parte anche Pietro Romani, primogenito di Romano e di Ida Gionzer, che Alcide conosce sin dai tempi in cui entrambi frequentavano l’Università a Vienna. […]
Sono proprio quei mesi di comizi, riunioni e infinite discussioni ad offrire ad Alcide l’occasione di frequentare casa Romani, scoprendo un poco alla volta una particolare affinità con la sorella minore del collega, Francesca, all’epoca ventiseienne. Ma sarà necessario attendere l’esito felice espresso dalle urne perché egli trovi il tempo e forse l’ardire per prendere carta e penna e rivolgere alla giovane la sua prima lettera. Una lettera molto cauta, in cui egli affida a una veste formale del tutto convenzionale l’ingrato compito di contenere la curiosità beata di chi cerca di aprire un sentiero alla reciproca conoscenza. Quasi un controsenso: benché si sforzi di educare la penna per non tradire il suo coinvolgimento, Alcide non manca di sollevare ogni argomento che possa creare una connessione con Francesca e si presti a giustificare una sua risposta, prolungando così la conversazione epistolare. Dall’interesse di lei per il giornale di lui, all’interesse di lui per la lingua inglese, nella cui padronanza lei lo sopravanza e può per questo fargli da maestra… Il tutto al riparo del più solido architrave di questo rapporto in costruzione: la figura di Pietro, che li mette in naturale connessione. […]
La guerra è alle spalle e, insieme alla natura, pare che anche tutto il popolo trentino si appresti a risvegliarsi dal lungo inverno e a ricominciare a vivere. Ed è allora che proprio quella stessa politica, che assecondando la vaneggiante volontà di dominio di pochi aveva distribuito a molti dolori e tribolazioni di ogni genere, presenta ad Alcide e Francesca un inatteso risarcimento. I loro incontri casuali, giustificati dalle esigenze della campagna elettorale, portano presto a fare emergere un’affinità speciale. Di fatto, tra un comizio e l’altro, Alcide non cessa di rivolgere i suoi pensieri a Francesca. E, quando il pensiero più non basta, egli prende carta e penna e dà avvio al loro scambio epistolare. Francesca sta al gioco e non si fa pregare per rispondere lettera su lettera.
Ma purtroppo la sua parte di corrispondenza relativa a quegli anni fu probabilmente da lei distrutta, perché considerata poco importante. Ce ne resta quindi solo una pallida ombra nei riferimenti che Alcide fa di tanto in tanto, lasciando percepire un dialogo epistolare che inizialmente alleggerisce e confonde le reciproche confidenze attraverso citazioni letterarie e scherzi in lingua straniera e che poi, progressivamente, si fa più diretto e intenso. Francesca regge il confronto senza apparente titubanza: ha tredici anni meno di Alcide, ma è tutt’altro che sprovveduta e, per quanto veda il suo innamorato affermarsi sempre più sul palcoscenico della politica nazionale, non ne pare intimorita. Il suo atteggiamento aperto e spontaneo è il miglior aiuto alla volontà di Alcide di non usare con lei un atteggiamento paternalistico che la differenza d’età e il costume dell’epoca potrebbero incoraggiare. Francesca non è il genere di donna che provi gusto nel farsi adulare e Alcide, d’altronde, in lei vede ben di più che una giovane graziosa.
Le sue lettere raccontano di un grande rispetto e, al contempo, di una fortissima e genuina carica sentimentale. Ne emerge il ritratto di un uomo sostanzialmente diverso da quello severo ed austero che viene spesso descritto: un innamorato capace di grande tenerezza e sensibilità, sempre pronto ad stemperare le riflessioni più profonde con una trovata arguta o un’espressione di sagace ironia, sempre attento a non imporre nulla e a condividere il più possibile. Caratteristiche che non si spegneranno nemmeno sotto il manto delle dure prove che la vita gli presenterà e delle alte responsabilità a cui sarà infine chiamato: sotto i panni sobri e misurati dello statista vivrà sempre questa indole vivace e appassionata.
Questo apparente scollamento tra il De Gasperi pubblico e il De Gasperi privato o, se vogliamo, tra De Gasperi e Alcide si ricompone anche nelle sue stesse lettere, in cui la politica è una presenza costante e pervasiva, fatta di aneddoti e richiami, talora espliciti talora velati. Pennellate che compongono l’immagine di una passione civile totalizzante, ma matura. «Crede Lei che potrò mai avere una tregua da questo servizio del pubblico, che talvolta mi pare la mia croce e che invece senza dubbio è la mia missione o il mio destino?», chiede una volta Alcide a Francesca. E poi prosegue, quasi a volerne anticipare la possibile esitazione: «E crede Lei, quando la risposta debba – come deve – essere negativa, che un uomo come me abbia diritto di chiedere a un’altra creatura di adattarsi a questa tirannia la quale inesorabilmente continuerebbe ad imporsi?». Siamo a un punto cardine del loro rapporto. Alcide tentenna. A trattenerlo non è l’egoismo di chi sceglie di anteporre la propria carriera alla famiglia per un bisogno personale di affermazione, ma la consapevolezza di chi si sente chiamato ad una dimensione di impegno pubblico che non conosce compromessi, né arretramenti. […]
Francesca però è serena. Nella sua casa di Borgo Valsugana legge, medita, comprende. In lei non vi è paura, ma attesa. Alcide la raggiunge al termine dell’estate e saranno il cielo di settembre e le passeggiate in Sella a sciogliere ogni dubbio e a portarli ad una reciproca dichiarazione d’amore.
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