“Via da questa culla, falsi, bugiardi!…”

Vi propongo due testi con cui due famosi scrittori italiani, anche ribelli, commentano il Natale.
Il primo testo, scritto nel 1954, è di Curzio Malaparte (1898-1957.

Via da questa culla, falsi, bugiardi!

«Tra pochi giorni è Natale e già gli uomini si preparano alla suprema ipocrisia. Perché nessuno di noi ha il coraggio di dire che il secolo, il mondo non è mai stato così poco cristiano come in questi anni. La ragione è semplice: nessuno di noi osa riconoscere che la magniloquenza degli uomini politici, la grande parata dei sentimenti evangelici, le processioni interminabili dei falsi devoti servono soltanto a nascondere questa terribile verità: gli uomini non sono più cristiani. Cristo è morto nell’anima dei suoi figli. L’ipocrisia è discesa dalla politica fino alla vita sociale, familiare e individuale. Siamo pieni di orgoglio e di vanità; non ci importa niente di chi soffre. E poi, tranquillamente, celebriamo il Natale. Io vorrei che il giorno di Natale il panettone diventasse carne rovente sotto il nostro coltello e il vino diventasse sangue e avessimo tutti per un istante l’orrore del mondo in bocca, questo mondo che stiamo devastando noi. Vorrei che il giorno di Natale i nostri bambini ci apparissero all’improvviso come saranno domani, fra alcuni anni, se non oseremo ribellarci a questa diseducazione generale che stiamo dando ai giovani. Io vorrei che la notte di Natale, in tutte le chiese del mondo, un povero prete si levasse in piedi e gridasse: “Via da questa culla, falsi, bugiardi, a piangere sulle vostre culle dei vostri bambini che non volete e che non sapete educare”. Se il mondo soffre è anche per colpa vostra che non osate difendere la giustizia e la bontà e avete paura di essere cristiani fino in fondo! E io che non lo sono non me ne sono accorto. Io vorrei che quel prete avesse la forza di dire: “Via da questa culla, ipocriti! Questo bambino che è nato per salvare il mondo ha orrore di voi, perché non volete essere salvati”».
***
Vi propongo un’altra pagina, stavolta di Giovanni Papini (1881-1956), dalla “Storia di Cristo”,  pubblicata nel 1921.

Gesù è nato in una stalla

«Una stalla, una vera stalla, non è il lieto portico leggero che i pittori cristiani hanno edificato al Figlio di David, quasi vergognandosi che il loro Dio fosse giaciuto nella miseria e nel sudiciume. E non è neppure il presepio di gesso che la fantasia confettiera de’ figurinai ha immaginato nei tempi moderni; il presepio pulito e gentile, grazioso di colore, colla mangiatoia linda e ravviata, l’asinello estatico e il compunto bue e gli angeli sul tetto col festone svolazzante e i fantaccini dei re coi manti e dei pastori coi cappucci, in ginocchio a’ due lati della tettoia. Codesto può essere il segno dei novizi, il lusso dei curati, il balocco dei bambini, il “vaticinato ostello” d’Alessandro Manzoni, ma non è davvero la stalla dov’è nato Gesù.
Una stalla, una stalla reale, è la casa delle bestie, la prigione delle bestie che lavorano per l’uomo. L’antica, la povera stalla dei paesi antichi, dei paesi poveri, del paese di Gesù, non è il loggiato con pilastri e capitelli, né la scuderia scientifica dei ricchi d’oggidì o la capannuccia elegante delle vigilie di Natale. La stalla non è che quattro mura rozze, un lastricato sudicio, un tetto di travi e di lastre. La vera stalla è buia, sporca, puzzolente: non v’è di pulito che la mangiatoia, dove il padrone ammannisce fieno e biadumi.
I prati di primavera, freschi nelle serene mattine, ondanti al vento, soleggiati, umidi, odorosi, furon falciati: tagliate col ferro l’erbe verdi, l’alte foglie fini; recisi insieme i bei fiori aperti: bianchi, rossi, gialli, celesti. Tutto appassì, seccò, prese il colore pallido e unico del fieno. I manzi trascinarono a casa la spoglia morta del maggio e del giugno.
Ora quelle erbe e quei fiori, quell’erbe fatte aride, quei fiori che sempre odorano, son lì nella mangiatoia per la fame degli schiavi dell’uomo. Gli animali l’abboccano adagio coi grandi labbri neri e più tardi il prato fiorito torna alla luce, sullo strame che serve da letto, mutato in concio umido. Questa è la vera stalla dove Gesù fu partorito. Il luogo più lurido del mondo fu la prima stanza dell’unico puro tra i nati di donna. Il Figlio dell’Uomo, che doveva esser divorato dalle bestie che si chiamano uomini, ebbe come prima culla la mangiatoia dove i bruti digrumano i fiori miracolosi della primavera.
Non per caso nacque Gesù in una stalla. Il mondo non è forse un’immensa stalla dove gli uomini inghiottono e stercano? Le cose più belle, più pure, più divine non le cambiano forse per infernale alchimia, in escrementi? Poi si sdraiano sui monti del letame e chiamano ciò “godere la vita”.
Sulla terra, porcile precario dove tutti gli abbellimenti e i profumi non posson nascondere lo stabbio, è apparso una notte Gesù partorito da una Vergine senza macchia, di nulla armato che di innocenza.
I primi che adorarono Gesù furono animali e non uomini.
Fra gli uomini cercava i semplici, tra i semplici i fanciulli – più semplici dei fanciulli, più mansueti, lo accolsero gli animali domestici.
Benché umili, benché servi di esseri più deboli e feroci di loro, l’asino e il bove avevan visto inginocchiarsi dinanzi a loro le moltitudini. Il popolo di Gesù, il popolo santo che Jahvé aveva liberato dalla servitù dell’Egitto, il popolo che il Pastore aveva lasciato solo nel deserto per salire a colloquio con l’Eterno aveva forzato Aronne a fargli un bove d’oro per adorarlo. L’asino era consacrato, in Grecia, ad Ares, a Dioniso ad Apollo Iperboreo. L’asina di Balaam aveva salvato colle sue parole il profeta, più savia del savio; Ochos, re di Persia, pose un asino nel tempio di Fta e lo fece adorare.
Pochi anni prima che nascesse Cristo il suo futuro padrone, Ottaviano, scendendo verso la sua flotta, la vigilia della battaglia di Azio, incontrò un asinaio col suo somaro. La bestia si chiamava Nicon, il Vittorioso, e dopo la battaglia l’imperatore fece innalzare un asino di bronzo nel tempio che ricordò la vittoria.
Re e popoli si erano fin allora inchinati ai bovi e agli asini. Erano i re della terra, i popoli che prediligevano la materia. Ma Gesù non nasceva a regnar sulla terra né ad amar la materia. Con lui finirà l’adorazione della bestia, la debolezza di Aronne, la superstizione di Augusto. I bruti di Gerusalemme l’uccideranno ma intanto quelli di Betlemme lo riscaldano coi loro fiati. Quando Gesù giungerà, per l’ultima Pasqua, alla città della morte, cavalcherà un asino. Ma egli è profeta più grande di Balaam, venuto a salvare tutti gli uomini e non gli ebrei soli, e non rivolterà dal suo cammino anche se tutti i muli di Gerusalemme raglieranno contro di lui».
23/12/2023
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2

2 Commenti

  1. giovanna ha detto:

    Caro Simone
    non posso che condividere parola per parola…………..
    So che non si puo’ fornire la mail ma se Don Giorgio lo permette vorrei tu mi scrivessi cosi’ da alleggerire il peso…. forse……

  2. Simone ha detto:

    Non la sopporto più l’ipocrisia di questo mondo, per questo mi sento sempre a disagio, di troppo, ansioso. Al lavoro, in chiesa, al supermercato, tra la gente. Mi nausea la falsità della gente, il voler rispettare tradizioni che non sentono e impongono pure ai figli. Gente che ha regalato la propria libertà ai media, alle tradizioni, al business. Burattini che si muovono ma non hanno pensieri, emozioni, sentimenti. Han venduto la loro vita per 4 soldi ad un’azienda che appena vacilli ti butta via come un ferro vecchio. Come si fa a vivere felici in un mondo così? Ad essere sereni? Nessuno prova a risvegliarci…tutti vogliono manipolarci per fare i loro porci comodi. Come han fatto i loro interessi e distrutto e inquinato questo pianeta. Fatico a trovare la forza e non mollare…

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