24 marzo 2024: DELLE PALME
Is 52,13-53,12; Eb 12,1b-3; Gv 11,55-12,11
Diciamo subito che la Domenica delle palme (più corretto chiamarla così e non Domenica dell’ulivo: l’evangelista Giovanni specifica che si è trattato di rami di palme), fa come da cerniera tra la quaresima, ormai terminata, e l’inizio della settimana santa, con il grande Triduo pasquale (giovedì, venerdì e sabato santo).
Non vorrei sminuire l’importanza dell’entrata di Gesù nella città santa – trionfale per modo di dire visto che gli stessi evangelisti evidenziano alcuni aspetti di tensione tra i capi giudei e i discepoli di Gesù, con la presenza anche di bambini – tuttavia non dimentichiamo che anche questo episodio andrebbe letto in modo simbolico: Gesù si presenta in modo del tutto pacifico, ovvero portatore di pace.
Ma la stessa liturgia riserva solo una Messa per ricordare l’entrata di Gesù in Gerusalemme: ha già lo sguardo verso i prossimi avvenimenti che riguarderanno la passione, la morte e la risurrezione di Gesù.
Dovremmo perciò chiamare questa domenica: Delle palme nella Passione del Signore. Quasi una parentesi di gioia, per passare subito al dramma della passione.
Il primo brano della Messa ci immerge subito in un contesto che descrive a forti tinte la sofferenza del giusto, sottoposto ad ogni angheria.
L’anonimo profeta, chiamato dagli studiosi il terzo Isaia, che è vissuto e ha esercitato la sua vocazione dopo il ritorno degli ebrei in patria, parla del “servo di Dio” nel bellissimo e drammatico testo del “quarto carme”.
Attenzione: è un testo anzitutto profetico, perciò da leggere con gli occhi dello spirito, nello Spirito che lo ha ispirato. La Bibbia in ogni sua parola ha sempre qualcosa di divino in sé, anche nei fatti più sconcertanti e umanamente provocatori e paradossali, anche istintivamente riprovevoli. Il più grave errore è leggere la Bibbia all’esterno, come testo letterario.
Anche e soprattutto il quarto carme, una delle pagine più celebri dell’Antico Testamento, va letto con l’aiuto dello Spirito santo, perché solo così possiamo cogliere qualcosa, dico qualcosa, del suo senso profondo, che è il senso profetico, che va al di là dei periodi storici e degli spazi geografici, ritenendoci anche fortunati perché questi brani, pur difficili, possono essere letti alla luce del Cristo risorto. Mettiamoci nei panni non solo del profeta, che talora neppure lui coglieva il senso “pieno” di ciò che diceva, e della gente di allora che non sempre capiva o, se capiva, non sempre accettava le parole del profeta, che proprio per questo, quando minacciava castighi di Dio, era perseguitato ed emarginato.
E non dimentichiamo che, in ogni epoca, di ieri e di oggi, è sempre difficile per noi esseri umani accettare qualcosa che non rientra nella nostra logica, secondo cui il giusto dovrebbe meritarsi lode e riconoscenza. Se agisco bene perché dovrei essere punito? E se ciò può succedere non è certo per opera di Dio che è il Giusto per eccellenza. Chiaro che i disonesti non sopportano gli onesti, e li crocifiggono, ma come accettare che sia Dio stesso, il Giusto, a mettermi alla prova facendomi soffrire ingiustamente. È stato il dramma di Giobbe. E solo alla fine ha capito che Dio ha sempre ragione, ovvero ha capito che la Giustizia di Dio non è uguale al nostro modo di concepire la giustizia. Dio è sempre l’Assurdo, il Paradosso, il Sorprendente. Dio sa trarre il Bene dal male, e il male stesso diventa un grembo di vita, quando ci annulliamo nelle nostre pretese o nell’ego che ci porta a ragionare all’opposto di come Dio pensa.
E l’assurdo, ammettiamolo, è stato quel patire del Figlio di Dio che ha provato ogni dolore, fisico e morale, anche del tipo teologico (nel senso di sentire lontano lo stesso Padre proprio sulla croce).
Nel quarto carme il giusto, chiamato “servo di Dio” (titolo onorifico riservato a uomini grandi come Mosè e Davide), è presentato braccato, rifiutato, giudicato e condannato, trattato come un delinquente, un assassino, un bestemmiatore, un nemico della pace. Non è una prova che quest’uomo non può essere giusto, e che Dio lo ha abbandonato, misconosciuto?
Ma ecco la Sorpresa divina, che è umanamente sconvolgente, contro ogni logica umana.
Mentre nel nostro immaginario il male, ogni male, deve essere castigato da Dio, in realtà il male produce veleno che scatena distruzioni, violenza e morte per se stesso. Il male, in altre parole, si autodistrugge.
Così il “servo di Dio”, il giusto sottoposto ad ogni angheria, proprio nella sua sofferenza, fisica, morale e intellettuale, per non dire teologica (abbandono apparente di Dio stesso), sofferenza che è sempre un male, crea in ogni caso l’antidoto al male.
In breve, possiamo dire che più si soffre per ingiustizie più si dà al mondo una speranza inaspettata: Gesù proprio soffrendo ingiustamente, ha cambiato i destini del mondo ed anche i nostri itinerari.
Certo, umanamente tutto ciò è paradossale, inconcepibile, ma c’è una legge, quella divina, che non segue le nostre logiche, e per questo è incomprensibile, e solo chi ha fede, purissima fede, può trasportare le montagne, come ha detto Gesù.
Domanda: con tutte le nostre logiche razionali, con tutto il nostro parlare, anche di questi giorni, sulla guerra o sulla pace, forse che vediamo una via d’uscita?
Leggendo il Diario di Etty Hillesum, mi ha particolarmente colpito una frase: che almeno tutta la nostra sofferenza, e sappiamo quanto fosse abissale, servisse a qualcosa in vista di un futuro migliore.
Oggi sappiamo che, se siamo ancora qui tra tragedie immani, la speranza di Etty Hillesum era ancora un sogno. A che cosa è servita tutta la sofferenza di innocenti portati al macello?
Per non parlare della stessa morte di Cristo, il Giusto per eccellenza? È servita a qualcosa? Nei millenni di una storia che ha visto una Chiesa istituzionale in balìa del Maligno, ci stiamo chiedendo quanti giusti ancora dovranno soffrire per salvare almeno un pezzo di questo mondo.
Ma un dato è certo: siamo ancora qui, l’universo non è ancora distrutto, nonostante le previsioni catastrofiche o apocalittiche dei cosiddetti visionari o profeti di sventure, la storia continua imperterrita, tra alti e bassi, sotto lo sguardo di un Dio, che rimane sempre, dai primi tempi della creazione fino ad oggi, lo Sconosciuto, Colui che sa trarre dal male il miglior bene, e che chiede solo una cosa: una fede incrollabile, almeno un pizzico di quella fede purissima che sa spostare le montagne di quell’egoismo che sbarra la via verso un futuro migliore.
E non dimentichiamo che Dio è sempre disposto a salvare questo mondo anche solo con una decina e anche meno di giusti, perseguitati e crocifissi dalla imbecillità umana.
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