Come la Chiesa ha tradito il Cristianesimo
L’EDITORIALE
di don Giorgio
Come la Chiesa ha tradito il Cristianesimo
Non solo la svolta della storia può dipendere dalla lunghezza o dalla cortezza del naso di una donna di potere (così scrisse il filosofo francese Blaise Pascal a proposito del naso di Cleopatra), ma ci vuole poco, anche dare un significato del tutto diverso a una sola parola per cambiare la storia di una religione, come è avvenuto ad esempio per il Cristianesimo.
Nel libro “Atti degli Apostoli” i nuovi credenti nel Cristo risorto vengono chiamati i “seguaci della Via” (in greco “odòs”). Quindi, nel testo greco c’è il termine “odòs”, che il testo latino traduce con il termine “via”, ma che nella traduzione italiana diventa “nuova dottrina”. Solo recentemente, nel 2007, con la nuova edizione delle versione italiana della Sacra Bibbia, approvata dalla Conferenza Episcopale Italiana, si è tradotto il termine “odòs” tornando al suo significato originario di “via”.
La mia domanda è questa: a parte gli anni in cui i cristiani italiani hanno letto la traduzione erronea della parola ”odòs”, voluta esplicitamente da una Chiesa che aveva tutto l’interesse a spostare l’accento sull’aspetto dottrinale, da quando in realtà il Cristianesimo originario è stato visto e proposto come una dottrina?
Eppure, Gesù Cristo si era proclamato: “Io sono la Via”. Certo, anche Verità, ma da non intendere come un insieme di dottrine o di norme moralistiche, contro cui Cristo si era fortemente scagliato, condannandone l’ipocrisia e la formalità. Casomai, Cristo ha dato alla parola Verità una infinita carica di quel Mistero divino, che solo l’orgoglio di volerlo ridurre a qualcosa di già conosciuto ha potuto bloccare nella sua reale potenzialità di farsi luce.
Ricercare la Verità che cos’è se non un camminare, un progredire, un approfondire? Ecco perché il Cristianesimo è Via, e non dogma. Ogni dogma ferma il cammino, lo arresta, lo rende immobile.
Il più grosso peccato della Chiesa istituzionale – che è d’altronde la Chiesa che abbiamo, mentre l’altra Chiesa, quella spirituale o profetica o mistica, è ancora proibita o per lo meno ostacolata – è stato quello di essere venuta meno (peccare, appunto, significa venir meno) al Pensiero originario del suo Fondatore, che a questo punto non si capisce perché dovrebbe ancora chiamarsi Fondatore.
Cristo, in realtà, non è venuto per istituire nessun’altra religione, ma unicamente per ridare sete all’eterno bisogno dell’essere umano di scoprire la sua vera ragion d’essere, proprio nella sua nudità (o nullità) di fronte alla Totalità. È proprio nella nullità, ovvero nello sforzo continuo di rinuncia, di distacco dal proprio volere, dal proprio sapere, dal proprio avere che ci si riscopre Uno nel Tutto.
La Chiesa-istituzione (o Chiesa-religione) fin dagli inizi ha preteso di appropriarsi (ecco il male!) del Mistero divino, riducendolo in formule catechistiche o dogmatiche, tanto da pretendere di bloccare lo stesso essere umano, sede del Divino, rendendolo schiavo di un sistema di verità fossilizzate (appena una verità resta a lungo ferma, inizia a marcire!), fissate per sempre su pezzi di carta ingiallita, togliendo così al Mistero di Dio la sua infinita creatività, la quale, come tale, non sopporta formule o altro, ma si appaga (passi il verbo!) solo quando l’essere interiore si unisce al Tutto che è l’Uno universale. Ognuno fa parte di questo Tutto nell’Uno. Ma la Chiesa che fa? Divide il Tutto in frammenti, rompendone perciò l’Unità. La Chiesa-istituzione-religione è la distruzione dell’Uno nel molteplice di riti, di dogmi, di divieti o di imposizioni, castrando l’essere umano nella sua realtà di spirito vivente, come è il Mistero a cui aspira dall’eternità.
Ogni religione è una blasfema e oscena abnormità che mette solo apparentemente in collegamento l’essere umano con il Signore onnipotente; in realtà, il dio della religione è un idolo, a immagine del proprio potere che pretende di mettere sotto vuoto lo spirito umano.
24 aprile 2016
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2
Sempre a proposito di religione volevo sottoporre una parte delle riflessioni degli appunti di p. Alberto Maggi ritenuto un frate “eretico” rintracciabili in internet.
E SE DIO RIFIUTA LA RELIGIONE? Appunti di Alberto Maggi, autore del libro “Chi non muore si rivede”.
Occorre distinguere tra religione e spiritualità. La spiritualità nasce dall’intimo degli uomini, è la forza interiore che lo spinge verso l’infinito, l’assoluto. È il desiderio, innato in ogni creatura, di pienezza di vita. La spiritualità nasce dall’uomo che, creato a immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,26), nel corso della sua esistenza sviluppa, attraverso atti concreti, questa somiglianza al fine di giungere a essere “immagine e gloria di Dio” (1 Cor 11,7). Nello specifico cristiano la spiritualità conduce alla fede, La religione invece è un artefatto culturale. Nata come strumento per sviluppare la spiritualità dell’uomo in realtà la religione l’opprime e la soffoca, perché per sua natura ogni religione è violenta. La differenza tra religione e spiritualità (o fede) è che mentre la prima nasce dagli uomini ed è diretta verso la divinità, la seconda nasce da Dio ed è rivolta agli uomini (“Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi”, 1 Gv 4,10; Rm 5,8). Mentre nella religione conta ciò che l’uomo fa per Dio, la spiritualità nasce da quel che Dio fa per gli uomini. Nella religione è sacro il Libro. Nella spiritualità è sacro l’uomo (Mc 2,27). Nella religione è importante il sacrificio, nella spiritualità l’amore (“Misericordia io voglio e non sacrifici”, Mt 9,13; 12,7; Os 6,6). Le crociate e le guerre sante non nascono dalla spiritualità, ma dalla religione. Per questo è illusorio pensare che le religioni possano portare la pace nell’umanità. Le religioni sono per loro natura violente. Ogni religione ha la pretesa di essere l’unica assoluta rivelazione della divinità, a riprova della quale rivendica il possesso di un testo sacro, rivelato, comunicato o scritto diretta-mente da Dio. Questa sacra scrittura, ritenuta espressione definitiva del-la volontà di Dio, dà il diritto alla religione di dividere le perso-ne tra fedeli e infedeli, tra puri e impuri, di promettere un premio o di minacciare un castigo, innescando forme crescenti di violenza morale, psicologica e, quando le leggi civili lo consentono, anche fisica.
Naturalmente ogni religione è convinta di essere portatrice di pace e che il Male, o il Satana, sia qualcosa che appartiene alle altre religioni, filosofie o sistemi di potere. La certezza di essere il Bene consente di ostacolare, combattere e sconfiggere, con qualunque mezzo, tutto quel che si ritiene gli sia contrario. Ogni religione ritiene di avere l’esclusiva della fratellanza e della pace, ma la storia insegna che proprio in nome della religione gli uomini si sono scannati gli uni contro gli altri, uccidendo e massacrando per la difesa del loro Dio. Non va dimenticato che il cristianesimo è stato la religione più omicida che sia mai apparsa nella storia. È triste e angosciante doverlo ammettere, ma nessuna religione ha tanti morti sulla coscienza come il cristianesimo. Fin dai suoi inizi la violenza è stata la costante della Chiesa: hanno ucciso più persone i papi per imporre la religione cristiana che gli imperatori romani per contrastarla. Se sono incontestabili le radici cristiane dell’Europa, è anche incontestabile che queste radici sono state abbondante-mente annaffiate col sangue di milioni di vittime. La violenza della Chiesa non si è rivolta solo agli “infedeli”, musulmani ed ebrei, ma agli stessi cristiani, sia a quelli considerati eretici, che sono stati bruciati, squartati, bolliti, arrostiti, sia alle streghe, torturate e condannate al rogo, ma anche a quanti non si sotto-mettevano completamente al suo potere. Il tutto in nome del Cristo. E in nome di Cristo sono stati perpetrati genocidi e stragi: intere popolazioni ed etnie sono state cancellate dalla faccia della terra (basti pensare agli Aztechi e ai Maya, solo per citare i più conosciuti) e altre sono state sottomesse cancellando la loro cul-tura, la loro storia e le loro tradizioni.
Bartolomeo de Las Casas, nella sua Brevissima relazione sulla distruzione delle Indie, scrive pagine raccapriccianti. Lui era cappellano degli occupanti, ma cambiò atteggiamento di fronte alla conquista e all’evangelizzazione delle Indie quando fu testimone a Cuba del crudele supplizio al quale fu sottoposto Hatuei, capo delle resistenza degli indios: giudicato eretico e ribelle fu condannato a essere bruciato vivo. Il cattolicissimo condottiero spagnolo Hernan Cortés, massacrò e cancellò dalla faccia della terra intere popolazioni in Messico. Cortés può essere ritenuto l’inventore della “guerra preventiva”: l’invasione di un paese con lo scopo di impadronirsi delle sue ricchezze, ma con la giustificazione di volervi portare valori postivi (cristianesimo, democrazia, etc.). Hernan Cortés invitava i suoi soldati a sterminare ferocemente tutti, uomini, donne, vecchi e bambini “per spargere e inculcare il terrore della loro ferocia in ogni angolo di quelle ter-re; onde incutere durevole timore tra quei greggi di agnelli mansueti, in ogni contrada ove entrano sono usi commettere per prima cosa un crudele e memorando massacro”. Terminato il massacro, le mani delle vittime venivano infilzate in lunghi bastoni “cosicché gli altri indiani potessero vede-re quanto era stato fatto in quel villaggio”. “E egualmente gli spiedi coi bambini a rosolare a fuoco lento fra le urla delle madri, per terrorizzare i villaggi, e i bambini gettati in aria a decine per i giuochi dei conquistadores, in gara tra loro a chi li infilzava nella spada con più destrezza prima che rotolassero a terra” (cf G. Zizola, in Rocca, 20/2004, p. 52). Naturalmente le motivazioni, per la guerra, sono sempre oscene e menzognere, ma rivestite di nobili intenti. Lo sterminio delle popolazioni dell’America latina “era l’estirpazione dell’idolatria e la conversione degli indigeni alla fede cristiana” (D. Ulloa, Los predicadores divididos. Los dominicos en Nueva España). Non è stato Maometto, ma un papa, Urbano II, a lanciare la prima guerra santa, e al grido di “Dio lo vuole” (Deus lo vult), non fu difficile trovare tutti i supporti teologici per giustificarla. È pertanto evidente che l’adesione ai principi di testi ritenuti sacri non è sufficiente per esorcizzare la violenza nei con-fronti degli uomini. Per questo non basta che un testo sia considerato sacro, occorre anche che l’uomo venga considerato sacro. Se il bene dell’uomo non viene messo al primo posto co-me valore sacro, non solo i testi dell’Antico Testamento, ma persino i Vangeli possono essere usati per fare il male anziché per compiere il bene. San Tommaso arriverà ad affermare, commentando il testo di Paolo “La lettera uccide, ma lo Spirito dà la vita” (2 Cor 3,6), che “Per lettera si deve intendere ogni legge esterna all’uomo, precetti della morale evangelica compresi, che possono uccidere se non esistesse nell’intimo la gra-zia sanante della fede” (I 2a q.106 art.2). La Parola di Dio si svela solo a quanti mettono il bene dell’altro al primo posto nella loro esistenza. E’ questa la verità che permette l’ascolto della voce del Signore (“Chiunque è dal-la verità, ascolta la mia voce”, Gv 18,37). Quando ciò non ac-cade, si rischia di disonorare l’uomo per onorare Dio, come fa il sacerdote, protagonista della Parabola del Samaritano (Lc 10,30-37), il quale, trovandosi di fronte a un ferito, non ha alcun dubbio su quel che deve fare. Il rispetto della Legge divina è per lui più importante della sofferenza del moribondo. Per rispettare la Legge, che proibiva a un sacerdote di toccare un ferito (Nm 19,16), sacrifica l’uomo. Lo stesso vangelo, quando non è più a servizio del bene e della felicità degli uomini, ma viene usato come strumento di potere per sottometterli, si fa portatore di morte anziché di vita. Il potere esercitato in nome di Dio è il più perverso, perché ha con-vinto gli uomini della necessità di sottomettersi ai suoi rappresentanti quale unica via di salvezza. Questo rende le persone non solo schiave, ma complici di questa schiavitù accettata e assunta a valore.
Per me “la Chiesa istituzione/religione non riuscirà a togliere al Mistero di Dio la sua infinita creatività. Nella poesia di Rainer Maria Rilke, figlio di una famiglia cattolica, c’è un passaggio che mi ha colpito:
“Senza quasi guardarli Dio profonde
sulla vanità dei ricchi il loro scintillare;
ma per sé sceglie con cura: una donna come stanza,
e la fa colma del suo tempo più lontano.”
E’ quel scegliere, di Dio, per sé con cura una donna come stanza. Alla vanità dei ricchi lascia il loro scintillare. Lasci alla Chiesa istituzione la vanità delle loro dottrine e si tenga ben stretto il Dio in cui crede. Se Dio l’ha scelto per essere voce critica all’interno della Chiesa, non si scoraggi. E’ successo anche ai profeti passati e recenti. Ricordo cosa ha subito David Maria Turoldo dalla Santa Madre Chiesa.
Magnificat:
Risaliva lei per la collina, già pesante, incredula oramai
al conforto o alla promessa, e al volere anche ch’era in lei;
eppure, quando l’altra matrona, anch’ella incinta,
le si accostò solenne e fiera – e tutto
già sapeva, senza averne mai da lei udito cenno -,
d’improvviso nell’intimo ebbe pace;
accorte l’una verso l’altra, s’arrestarono – entrambe
erano colme – finché così la giovane parlò:
E’ per me come se fossi, amica, da oggi
ormai per sempre. Senza quasi guardarli Dio profonde
sulla vanità dei ricchi il loro scintillare;
ma per sé sceglie con cura: una donna come stanza,
e la fa colma del suo tempo più lontano.
Me ha trovato, pensa! E i suoi comandi ha dato
per ciò che mi riguarda a ogni stella!
Magnifica ed esalta, anima mia,
nell’alto, più che puoi: il SIGNORE.