VERSO UNA NUOVA COMUNITÀ CRISTIANA DI BASE: Al Dio ignoto/4

di don Giorgio De Capitani

Parlare di Dio è impossibile, per il semplice fatto che Dio è l’indicibile, l’innominabile, l’essere che sfugge ad ogni parola umana. Già dire che è l’Essere è fuorviante, abituati come siamo a pensare ad una entità, con le nostre categorie mentali.

Più che chiederci chi è Dio, dovremmo preoccuparci di togliere definizioni, che col tempo si sono sedimentate l’una sopra l’altra oppure che hanno subito trasformazioni o manipolazioni, sempre nel tentativo di tentare una qualche… definizione. Come si può definire un’entità infinita? Definire significa porre dei limiti.

Vorrei subito specificare una cosa. Dicendo che Dio è Altro non intendevo dire che è un’entità diversa da noi, staccata da noi, lontana da noi. Ma intendevo dire che Dio è Altro dal nostro dio, dal dio della nostra immaginazione, dal dio della classificazione, dal dio degli schemi strutturali, dal dio-idolo della religione. Dio non entra in nessun schema, e tanto meno in quello religioso, che ha l’aggravante di illudere i fedeli, facendo loro credere che il vero Dio è quello che si è rivelato lungo la storia, tramite i profeti, ma quelli di casa, quelli al servizio del potere religioso. La gerarchia poi avvalla tale illusione, imponendo le pratiche religiose, costringendo le anime a credere al dio della Chiesa.

Come dicevo all’inizio, Dio non è un’immagine, non è l’oggetto delle nostre speculazioni, non è un idolo a cui prostrarsi per chiedere grazie, e così via. Da una parte i teologi sono i peggiori cultori del dio falso, e dall’altra il popolo ha sempre bisogno di qualcosa in cui credere, per soddisfare i propri… bisogni. E così la religione, sostenuta e difesa dai teologi, e il popolo schiavo dei propri bisogni, non fanno che tradire il vero Dio.

I mistici più radicali parlano di Dio come di un Essere che è nell’essere di ciascuno, e del creato. Più si scende dentro l’essere, più ci si avvicina a Dio, ma Dio è già nel nostro essere, senza dovergli dare un nome o un volto. Ed è qui, nella nostra intimità più profonda, che la nostra fede entra in crisi: quella fede che è superficiale, esteriore, fatta di credenze, di devozioni, di riti, di cerimonie. Al massimo ci lamentiamo quando il culto è formale, o qualcosa di magico, ma bisogna andare ben oltre: la fede se non è mistica, è falsa, deleteria, ingannevole.

I mistici parlano di fede atea, ma in che senso? Specifichiamo. L’ateismo dei mistici non ha nulla a che fare con l’ateismo di chi non crede in un dio. Anche l’ateo moderno è vittima di uno schema mentale: è contro il dio della religione, ma non va oltre. Marco Vannini, nel suo libro “Oltre il cristianesimo”, scrive:  «Accanto agli ateismi più noti e più ovvii – illuminista, positivista, marxista, ecc., diversi ma tutti quanti accomunati dall’ingenua rappresentazione di un dio-ente-oggetto, che è quello di cui si nega l’esistenza, in apparente opposizione ma, in effetti, sullo stesso piano della religione comune, che invece la afferma –, v’è un ateismo paradossale, che scaturisce dal profondo dell’esperienza spirituale».

L’ateismo dei mistici sta nell’oltre di un dio-immagine, del dio-idolo, del dio-struttura, del dio-religioso. I mistici rifiutano questo dio, sono al di fuori di ogni idolatria. Hanno purificato l’immagine di Dio, scoprendone la nudità, che è l’Essere, spoglio di qualsiasi raffigurazione umana. Sta qui la vera fede: essere anche noi nudi nell’Essere di Dio. Lo so che è un gioco di parole, ma è difficile esprimere con parole umane ciò che è l’essere. Non basta neppure immaginare.

Le conseguenze sono estremamente rivoluzionarie e pericolose per la religione. La Chiesa ha condannato i mistici più radicali, mandandone alcuni anche al rogo (è il caso di Margherita Porete, autrice de “Lo specchio delle anime semplici”).

È chiaro che la Chiesa, che ha tradito il cristianesimo rendendolo una religione, non poteva sopportare la Mistica che metteva in crisi la fede in un dio-idolo, imposto dalla gerarchia ufficiale a tutti i credenti. Neppure oggi la Chiesa è uscita dalla idolatria, e ancora oggi impone un dio-immagine di se stessa.

Non si tratta di essere anarchici nella fede. Il rischio c’è, ed è questo che la Chiesa teme. Teme per se stessa. E teme che i credenti si perdano in un soggettivismo pericoloso: ognuno potrebbe prendere una sua strada. Ma finché avremo paura a lasciare liberi gli spiriti, e imporremo loro dei freni inibitori, costringendo i credenti a stare negli schemi, negli ambiti stabiliti dalla Chiesa, non conosceremo mai il vero Dio. Ho sbagliato a dire “conoscere”: Dio non si può conoscere. Più credi di conoscerlo, più ti sfugge. E la Chiesa illude i suoi fedeli, con una dottrina talora raffinata sul proprio dio. Ed è qui che il popolino ignorante si fida della Chiesa colta, la quale ha buon gioco, costringendolo a obbedire. Plasma ben bene i suoi ministri, i quali, buoni buoni senza uscire dai sacri canoni e comodamente seduti sull’ovvietà di una pastorale senza Novità, tengono a bada il gregge a loro affidato.  

Non ho paura, comunque, a restare nella Chiesa-struttura, dal momento che nessuno di noi è puro spirito. Ma, proprio per questo, proprio perché ci rimango, vorrei che, nello stesso tempo, la Chiesa non imponesse più un dio-idolo, ma mi aiutasse a scoprire quel Dio che è già dentro di me, senza bisogno che essa me lo imponga. Peggio, se me lo impone a modo suo. Come religione che vive di se stessa.  

Se il vero Dio è dentro ciascuno di noi, nel nostro essere, e qui avviene l’unione mistica, come si è potuto dividersi tra religioni, con la pretesa da parte di ciascuna religione di accaparrarsi Dio come se fosse “suo”? Le religioni possono anche distinguersi sulle pratiche religiose, possono anche avere una loro visione morale che accentua un codice etico invece che un altro, ma nessuna religione deve imporre il suo dio, dal momento che il vero Dio è dentro ciascun essere umano. L’Umanità non può essere divisa in categorie, in classi sociali o in credenze religiose. Ogni essere umano, indipendentemente dalla propria cultura, razza o religione, partecipa allo stesso titolo dell’Umanità. È un essere umano, e basta. La religione non aggiunge altro. E, se lo aggiunge, divide gli esseri umani, li classifica, fa danno all’Umanità. Non è che noi, più siamo figli di Dio, più siamo esseri umani. Talora succede il contrario: più ci fanno credere di essere figli di Dio (pensate al battesimo: la Chiesa dice che diventiamo figli di Dio!), più ci sentiamo dei privilegiati, come se i non battezzati avessero meno Umanità. E poi succede che noi credenti, battezzati, cresimati e santificati con tutti i sacramenti che la Chiesa ci offre con tanta abbondanza, siamo perfetti idioti che se ne fregano dell’Umanità.

Che senso allora dare alla propria appartenenza a questa o a quella religione? Un senso possiamo anche trovarlo, purché la religione aiuti a superare gli steccati invece che fissarli così saldamente da circondare il perimetro della nostra esistenza. Già l’ho detto, e vorrei ripeterlo fino alla noia: non ho problema a sentirmi cristiano, appartenente alla Chiesa cattolica, ma non tradirò mai la mia appartenenza all’Umanità. Nessuno mi potrà mai dire: tradisci te stesso, tradisci la tua coscienza in nome della Chiesa-struttura. Questo mai!


 

(4/continua)

 

8 Commenti

  1. trevize ha detto:

    Nel testo e nelle risposte fin qui date noto che ogni posizione parte da alcuni punti fissi che non vengono messi in discussione. L’esistenza di Dio, la “realtà” della materia formata da atomi, cosa ci è stato trasmesso dalle scritture.
    Per me il punto fondamentale è: cos’è la consapevolezza? cos’è l’io? esso è la base della dualità (il percepire l’altro da sé) o trascende questo inganno?
    Le altre domande non mi interessano più di tanto, perché fra qualche secolo la scienza avrà fatto altre scoperte ed avrà altre teorie che rimpiazzeranno la teoria del big-bang, le religioni e le interpretazioni delle scritture saranno diverse da quelle odierne; l’unica domanda che sarà costante per chi se la porrà è la natura dell’essere.
    Essa è collegata all’esistenza di un corpo fisico o il corpo fisico è il “risultato” dell’essere?

  2. Gabriele ha detto:

    Il dio di don Giorgio è il dio della gnosi.
    Che noia ragazzi…

  3. Gianfranco ha detto:

    Quello che Lei scrive è rispettabilissimo, ma non è più Cristianesimo.

    Dalla Prima Lettera di Giovanni:

    “Ciò che era fin da principio,
    ciò che abbiamo UDITO,
    ciò che abbiamo VEDUTO CON I NOSTRI OCCHI,
    ciò CHE ABBIAMO CONTEMPLATO,
    e ciò che LE NOSTRE MANI HANNO TOCCATO.
    ossia il VERBO della Vita
    poiché LA VITA SI E’ FATTA VISIBILE,
    noi l’ABBIAMO VEDUTA…
    che era presso il Padre
    e SI E’ RESA VISIBILE A NOI…
    La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo.”

    Tanto di cappello alla mistica e ai mistici di tutti i tempi e di tutti i paesi, non cattolici e cattolici, ma la domanda centrale è su Gesù Cristo: è una delle tante manifestazioni del Divino, magari la più sublime apparsa finora, oppure è “Dio da Dio, LUce da Luce, Dio vero da Dio vero,generato, non creato, della stessa sostanza del Padre? Si tratta del Credo di Nicea.
    Grazie al cielo lei non risachia più di fare la fine di Marguerite Porete; così può permettersi, se vuole, di essere coerente fino in fondo.
    Qui non si tratta semplicemente di struttura-non struttura: o uno accetta la Trinità, ed è cristiano; o non l’accetta per motivi suoi e non lo è, pur rimanendo apertissimo alla Divinità.
    A parte questo, quale sfera di cristallo possiede per vedere chi è e chi non è un perfetto idiota che se ne frega dell’Umanità?

    Metto ion conto la replica con accuse di ignoranza, ottusità e quant’altro. Strano metodo per “dialogare”.
    PS Ovviamente rinfrescherò la lettura di Marco Vannini.

    • Don Giorgio ha detto:

      Il problema è un altro. Che cosa intendi per cristianesimo? Il cristianesimo non è una religione. La Chiesa cattolica, purtroppo, è diventata una religione. Informati. Leggi. Approfondisci. Non rimanere fermo alle quattro cose del catechismo. È ora di uscire dalla prigione. Vedrai cieli aperti, orizzonti sconfinati, e non sentirai più la muffa di una Chiesa che vive di se stessa.

  4. Giuseppe ha detto:

    Ragionando in maniera un po’ pedestre, da esseri umani quali siamo, dotati sì di intelligenza, ma di una intelligenza relativa perché condizionata dalla nostra cultura, dalle nostre conoscenze e dalle nostre percezioni sensoriali, quando affrontiamo ragionamenti sul trascendente e più in particolare riguardo alla divinità e all’esistenza di un essere supremo, è inevitabile un senso di smarrimento, perché ci dobbiamo confrontare con l’ignoto e nessuna conoscenza ci può venire in aiuto. Per questo motivo tendiamo a semplificare le cose umanizzando Dio, raffigurandolo come se fosse una persona con caratteristiche ed atteggiamenti profondamente umani, un po’ come facevano i Greci e i Romani con gli dei dell’Olimpo. Perfino le menti più eccelse e i pensatori più illustri si perdono sull’argomento, non riuscendo ad andare oltre qualche speculazione filosofica, il più delle volte fine a se stessa. Presso gli ebrei, che sono i nostri precursori nella fede, Dio è l’innominabile, a lui al massimo ci si può riferire con l’appellativo di “colui che è” come egli stesso si definisce nell’incontro con Mosè attraverso il roveto ardente. E così ogni volta che nella Bibbia si racconta un dialogo tra Dio e i patriarchi e i profeti, le sue sembianze mutano secondo il luogo e la situazione, ma soprattutto per l’uomo è sempre impossibile riuscire ad identificarlo, anche se capisce che si tratta di lui. Trovo emblematico, al riguardo, il racconto dell’incontro con Elia: “Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da spaccare i monti e spezzare le rocce, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosa fai qui Elia?”

  5. GIANNI ha detto:

    Credo sia più facile avvicinarsi a Dio riflettendo su alcuni misteri:
    da dove viene tutta la materia di cui si compone la realtà?
    Dal big bang?
    E la materia e l’energia sprigionatesi dal big bang da dove vengono?
    Da un’universo che esiste da sempre?
    E questo universo perenne non si avvicina al concetto di Dio?
    Spesso banalizzaimo l’esistenza quotidiana, che poi non è così scontata.
    Gli stessi atomi e le molecole di cui ci componiamo, da dove vengono?

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