www.huffingtonpost.it
20 Marzo 2024
La resistenza dell’Ucraina
sta evitando guai peggiori all’Europa
di Giuliano Cazzola
Tiene impegnato il nostro nemico. Ci concede del tempo prezioso per prepararci a fare da soli, nel caso in cui il Grande Fratello americano decidesse di venderci allo zar. Sempre che l’Ue abbia davvero capito e agisca di conseguenza
Partecipando a un dibattito televisivo Rosy Bindi, ex parlamentare di lungo corso, ha condiviso a proposito della guerra in Ucraina, le considerazioni del Papa nell’intervista che ha fatto tanto discutere. A suo parere, le parole di Francesco sono state le uniche razionali in questo momento in cui o inizia il negoziato o c’è la guerra nucleare. Ha poi giustificato questa sua opinione introducendo un ulteriore elemento, (la speranza di successo) che – oltre al diritto di difendersi da un’aggressione – potrebbe consentire a un cristiano di ritenere giusta una guerra.
In sostanza, la decisione di ricorrere alle armi è moralmente giusta solo se ci sono serie ragioni per ritenere che porterà al disarmo dell’aggressore. Se, invece, la reazione militare non fosse proporzionata e non avesse – per i rapporti di forza in campo – possibilità di contenimento o di vittoria, si sottoporrebbero a sacrifici inutili le popolazioni civili. Da questo punto di vista (che trova riferimenti nella dottrina cattolica) le parole del Papa sono ineccepibili. Certamente la possibilità di una guerra di carattere nucleare è un dato che cambia il contesto di un eventuale conflitto tra superpotenze per gli effetti che si determinerebbero sul futuro dell’umanità e l’esistenza stessa del pianeta Terra.
Dalla storia del recente passato è molto arduo trovare indicazioni sicure per un futuro prossimo. Sarà per via della vecchiaia, ma quando sento evocare, per la guerra in Ucraina, la vaga idea di un negoziato che non potrebbe essere nelle attuali condizioni nient’altro che una resa all’aggressore; quando sento dire, con ostentata sicurezza, che per evitare danni più gravi è necessario rassegnarsi alle pretese del più potente (in armi) perché tanto, prima o poi, finirebbe per farsi dare la ragione con la forza, mi appare negli occhi della mente l’immagine di un’enorme carta geografica dell’Europa, contrassegnata da una data: il 9 febbraio 1941, il giorno, il mese e l’anno in cui sono venuto al mondo (molti anni dopo mi fu chiesto -non ricordo bene il motivo- di esibire il certificato di nascita e scoprii di appartenere -ecco un segno di quei tempi- alla razza ariana).
In quel giorno l’Europa era contrassegnata da un’enorme macchia nera. Le armate naziste occupavano quasi tutti i Paesi del Vecchio Continente, fino ai confini con l’URSS, che sarebbero stati valicati pochi mesi dopo su di un fronte di tremila chilometri, in violazione del Patto di non aggressione sottoscritto nel 1939, in base al quale Germania e URSS si erano spartite la Polonia. Dove non c’erano le truppe tedesche, erano comunque al potere governi fascisti. La Repubblica spagnola, abbandonata al suo destino da Stalin, era caduta nel 1939 ai golpisti di Franco. A parte la Svezia e la Svizzera (che erano neutrali) l’unica nazione che resisteva ormai da mesi sotto i bombardamenti della Luftwaffe era il Regno Unito. La Francia era crollata in poche settimane; era occupata nella parte settentrionale, mentre nella parte restante si insediò un regime collaborazionista.
Le democrazie europee pagavano il fio della politica di appeasement nei confronti della Germania nazista che aveva portato al Patto di Monaco del 1938 che consegnò a Hitler la Cecoslovacchia nella convinzione che ciò garantisse la pace in Europa. L’anno dopo era avvenuta l’invasione della Polonia a cui Francia e Inghilterra avevano risposto con la dichiarazione di guerra alla Germania. L’Inghilterra si affidò a Winston Churchill, un uomo politico di lungo corso che aveva fatto parte dei governi della Grande Guerra e che era emarginato nel suo stesso partito.
Ci furono una serie di circostanze fortunate che portarono a quella nomina rivelatasi poi provvidenziale. In primo luogo l’abdicazione, per motivi d’amore, di Edoardo VIII, un sovrano con simpatie per il Fuhrer. Gli successe Giorgio VI, il padre di Elisabetta. Neville Chamberlain -il protagonista del Patto di Monaco- si fece da parte per una grave malattia che lo portò a morire poco dopo. Lord Halifax, vicino al sovrano, non se la sentì di accettare l’incarico perché non avrebbe ottenuto (come accadde per Churchill) l’appoggio dell’opposizione laburista. Poi nel giugno del 1940 il governo riuscì a compiere la prodigiosa operazione (a cui prese parte tutto il naviglio disponibile anche mercantile e privato) di riportare in patria ciò che era rimasto del corpo di spedizione in Francia, circondato dai tedeschi sulle spiagge di Dunkerque.
Senza quell’impresa eccezionale l’Inghilterra sarebbe stata disarmata. Gli inglesi resistettero da soli per molti mesi (la c.d. battaglia sui cieli d’Inghilterra), fino a quando Roosevelt non fu in grado di fare approvare dal Congresso, nel marzo 1941, la legge c.d. affitti e prestiti che permise agli Stati Uniti di fornire, dal 1941 al 1945, a Regno Unito, Unione Sovietica, Francia libera, Cina e altri Paesi alleati grandi quantità di materiali bellici senza esigere l’immediato pagamento. È la medesima operazione che ha compito Joe Biden a favore dell’Ucraina. Nel giugno di quello stesso anno la pressione sull’Isola diminuì perché Hitler iniziò la campagna di Russia. Poi a dicembre 1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour, gli Usa entrarono in guerra. Ma quando Churchill alla Camera dei Comuni, il 4 giugno del 1940, pronunciò il famoso discorso (‘’Combatteremo sulle spiagge, combatteremo sulle piste d’atterraggio, combatteremo nei campi e nelle strade, combatteremo sulle colline, noi non ci arrenderemo mai’’) le speranze di farcela erano davvero poche.
Ma come si sarebbe trovata la mia generazione se l’Inghilterra avesse alzato bandiera bianca? E che cosa sarebbe stato dell’Europa? Mi sono chiesto più volte che corso avrebbe preso la Seconda guerra mondiale, se il governo cecoslovacco, escluso dal negoziato di Monaco e invitato esplicitamente a non fare obiezioni, avesse mandato a quel Paese Chamberlain e Daladier e risposto ai tedeschi con le armi. La Cecoslovacchia ne aveva i mezzi; nel 1938, disponeva di 24 divisioni sul campo e 15 di riserva, di una serie di fortificazioni e di una industria bellica molto importante. E la Germania non aveva ancora messo a punto quella formidabile macchina da guerra che entrò in azione l’anno dopo.
Queste considerazioni mi portano a ritenere che, oggi, la resistenza dell’Ucraina ha evitato guai peggiori all’Europa. Quel popolo sta combattendo per noi perché tiene impegnato il nostro nemico; ci ha concesso del tempo prezioso per prepararci a fare da soli, nel caso in cui il Grande Fratello americano decidesse di venderci allo zar. Non c’è la necessità di mandare truppe Nato in Ucraina, sono sufficienti armi migliori. Il problema vero che l’Unione, Italia compresa, deve porsi lo ha indicato a Strasburgo Ursula von der Leyen: ‘’Non abbiamo il controllo sulle elezioni o sulle decisioni in altre parti del mondo (il riferimento al 5 novembre è chiaro, ndr). Con o senza il sostegno dei nostri partner, non possiamo permettere che la Russia vinca”. Il che significa -ha aggiunto- “potenziare la nostra capacità industriale della difesa nei prossimi cinque anni”. Cinque anni sono il limite di tempo che i servizi ci lasciano prima che l’Europa sia chiamata a fare i conti con Putin.
Commenti Recenti