26 aprile 2020: TERZA DI PASQUA
At 19,1b-7; Eb 9,11-15; Gv 1,29-34
I Vangeli, prima predicati, poi messi per iscritto
Vorrei fare anzitutto una premessa. Sono cose che ho già detto, ma che occorre ripetere.
I Vangeli, che sono quattro, prima di essere messi per iscritto dagli autori (Marco, Matteo, Luca e Giovanni), sono stati predicati oralmente, a voce, per anni e anni, dopo la risurrezione di Cristo.
Predicati da chi? Anzitutto dagli apostoli, testimoni diretti di ciò che Gesù aveva detto e aveva fatto: predicati in quattro comunità di cristiani di provenienze differenti (c’era chi si era convertito dall’ebraismo e chi si era convertito dal paganesimo), ecco perché non c’è un solo vangelo, anche se l’annuncio annunciato oralmente era unico, ovvero, come dice la parola vangelo (dal greco εὐαγγέλιον), la Buona o Bella o Lieta Notizia o Novella (che in questo caso non vuol dire fiaba). Novella deriva da nuovo, novità. Dunque quattro scritti, ma uno solo il messaggio, la Buona Notizia, quella di Cristo.
La Novità era il messaggio annunciato da Cristo, o meglio Novità era Cristo stesso. Attenzione: non intendo distinguere tra fatti e parole, come se le parole fossero più importanti dei fatti, ma, come del resto scrive Giovanni, i fatti, soprattutto i cosiddetti vanno letti come “segni”, perciò come un messaggio che rivela qualcosa di profondo, che va al di là del fatto in sé. Cristo stesso è il messaggio in persona, la Buona Notizia.
Naturalmente, quando, per anni e anni, la Buona Novella veniva predicata oralmente, le diverse comunità venivano coinvolte: nell’ascolto, nella discussione, nella meditazione e nella liturgia, soprattutto quella eucaristica, chiamata inizialmente la “fractio panis”.
Arrivò il momento di mettere per iscritto il Vangelo: Marco è stato il primo a scrivere il Vangelo che era stato predicato alla sua comunità di credenti, provenienti in genere dal mondo pagano. Poi sarà la volta di Matteo, di Luca e infine di Giovanni.
Giustamente non si dovrebbe dire “Vangelo di” Marco o di Matteo o di Giovanni, ma “Vangelo secondo” la stesura di Marco, di Matteo, di Luca e di Giovanni, perché, dietro alla stesura del Vangelo c’era una comunità vivente che ha dato il proprio apporto alla stesura del Vangelo. Senza dimenticare che il Vangelo è Cristo stesso.
Alcune domande e riflessioni
Ora sorgono alcune domande. Anzitutto, come vanno letti i quattro Vangeli? Dobbiamo leggerli tenendo conto che sono stati predicati dopo la risurrezione di Cristo, e perciò Cristo, anche nei suoi aspetti storici (ciò che ha fatto e ciò che ha detto) viene presentato alla luce della risurrezione. In altre parole, chi legge il Vangelo lo deve leggere con gli occhi della fede nel Cristo risorto. Ovvero, per essere ancora più chiaro, nei Vangeli troviamo la fede delle prime comunità cristiane, nate dopo la risurrezione di Cristo. Per cui, l’ideale sarebbe leggere il Vangelo, ognuno dei quattro, non dall’inizio, ma dalla fine.
E c’è un’altra domanda per me fondamentale. Il Cristo che viene rappresentato nei quattro Vangeli corrisponde perfettamente al Cristo storico? La comunità cristiana che sta dietro a ogni Vangelo e lo stesso autore o evangelista non è che abbiano messo qualcosa di loro? Risulta chiaro che ogni evangelo ha una sua caratteristica particolare; soprattutto il Vangelo secondo Giovanni si distacca dagli altri tre, evidenziando ad esempio episodi, incontri, miracoli, che non troviamo nei Vangeli secondo Marco, Matteo e Luca. Pensate all’incontro di Gesù con la Samaritana, all’incontro di Gesù con Nicodemo, al miracolo del cieco nato, al miracolo della risurrezione di Lazzaro, per non citare altre particolarità o originalità, ad esempio Giovanni non dice nulla sulla istituzione dell’eucaristia, però presenta l’episodio della lavanda dei piedi. Possiamo dire che il quarto Vangelo ha un taglio tutto suo, sembra più mistico degli altri tre.
E c’è una terza domanda, a cui non possiamo sfuggire. In realtà, il Cristo che viene presentato nei Vangeli, nella sua realtà diciamo storica, come essere umano, era mistico oppure un Cristo troppo orizzontale: pensava soprattutto a fare miracoli, a trascinare le folle, a combattere le istituzioni religiose?
Mi hanno colpito in proposito le parole di don Angelo Casati: «Altri avrebbero toccato con mano quale Spirito abitasse quel rabbi di Nazaret, il riverbero degli occhi quando lui parlava; non erano, le sue, parole pallide come quelle degli scribi e dei farisei. Gli si incendiavano gli occhi quando vedeva una religione svigorita in un ginepraio di osservanze prive di un’anima. Gli si leggeva commozione negli occhi di fronte alle mille aggressioni del male, gli si accendevano gli occhi quando parlava loro di un Dio che è un padre e non un padrone. Era un uomo vivo, ispirato, non di quelli che ripetono alla noia la loro litania, ma i volti tradiscono paurosamente come a condurli sia tutt’altro. In lui lo Spirito non veniva e andava. Rimaneva. Ed era un fermento unico. Lui era un creativo, come sembra suggerire l’immagine della colomba, un’immagine che riconduce alle prime pagine della Bibbia, dove lo Spirito è detto che aleggiava sulle acque, uno Spirito che dalle acque fa emergere vita, fa emergere cose, suscita vita…».
A proposito del verbo “rimanere”, il brano del quarto Vangelo sottolinea per due volte che lo Spirito santo “rimaneva” su Gesù. Ma non era un rimanere all’esterno, ma all’interno di Gesù. Lo Spirito era in lui, restava in lui, come una presenza fissa. Parlo dell’uomo Gesù, del Gesù di Nazaret.
Dunque, il Gesù di Nazaret era essenzialmente mistico, già come uomo, e per dirci che anche noi, esseri umani, lo dobbiamo essere: mistici, in quanto abita in noi, perennemente, lo Spirito santo che però richiede, esige che il nostro spirito sia sveglio, sia vivo, e non soffocato da tutto quelle cose che provengono dall’esterno.
C’è anche una cosa che dobbiamo evidenziare: quando Gesù compiva i miracoli, prima esigeva la fede come presupposto necessario perché li compisse. Ma quale fede?
Siamo sempre al solito punto. Si tratta di quella fede che proviene dal nostro mondo interiore, e qui vorrei specificare una cosa, per rispondere a qualche obiezione.
Quando si parla di fede interiore, di mondo spirituale, di mistica, non si intende quell’intimismo che è chiusura alla realtà, e che rende certe anime troppo chine su se stesse come se esistessero solo loro, fregandosene della società, ecc.
La vera Mistica è vivere la realtà interiore che è l’unica Sorgente, da cui partire per liberare il mondo esterno da quella alienazione che lo rende schiavo di una carnalità che distrugge ogni dignità umana.
Ecco, io leggo il Vangelo così: dando ad ogni aspetto anche carnale di Cristo quella visuale mistica che poi esploderà sulla Croce, quando Gesù donerà lo Spirito santo, nella risurrezione.
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