Omelie 2023 di don Giorgio: TERZA DI AVVENTO

26 novembre 2023: TERZA DI AVVENTO
Is 51,1-6; 2Cor 2,14-16a; Gv 5,33-39
Mi soffermerò sul primo brano della Messa.
Siamo verso la fine dell’esilio di Babilonia (sec. VI a.C.), e il profeta anonimo, detto Secondo Isaia, vuole incoraggiare il suo popolo perché incominci a intravedere un futuro di liberazione. Il profeta sa che il Signore mantiene le sue promesse, e quindi osa smuovere la desolazione e la rassegnazione con un richiamo fortissimo.
Tutto il capitolo 51, giocato sulla garanzia di Dio che finalmente parla di novità, per tre volte richiama il verbo “ascoltare”: un verbo prezioso e di dialogo, qui ricordato nei primi otto versetti.
Dio parla, e a noi spetta ascoltarlo. In che senso, se Dio non parla con il nostro linguaggio? Possiamo rispondere che Dio parla tramite i suoi profeti e, qualcuno aggiunge, anche tramite la sua Chiesa. Il problema rimane: dietro le parole dei profeti e della Chiesa, qual è la Parola vivente di Dio? I profeti sono stati fraintesi, e ci è voluto Gesù Cristo a svelare il vero senso delle parole dei profeti dell’Antico Testamento: diciamo che, essendo la Sacra Scrittura ispirata dallo Spirito santo, allora non è sempre facile cogliere nelle profezie o, in genere, nelle parole e nei fatti della Sacra Scrittura, quel senso pieno, come dicono gli esegeti, che va al di là di una lettura puramente letterale. Ogni parola, ogni evento, ogni simbolo contengono “in fieri”, ovvero non ancora realizzato del tutto, qualche impronta divina che, come un seme, si sviluppa man mano nella storia.
Una domanda possiamo, dobbiamo porcela: allora Dio come, quando e dove ci parla, perché possiamo dargli retta?
Ma prima di dargli retta, Dio va colto con una attenzione che dire unica non rende ancora esattamente l’idea. La parola “attenzione” richiama un movimento: “tendere a… verso…”, quasi fosse una spinta in avanti. Ma prima di tendere, o di attendere, ovvero di prestare attenzione, occorre purificarci dentro, far sì che l’attesa coinvolga il nostro essere nella sua più pura realtà.
Qualcuno parla anche giustamente di silenzio interiore e di silenzio anche esteriore: occorre cioè far silenzio dentro di noi e fuori di noi. C’è da chiarire soprattutto sul silenzio esteriore. I cosiddetti maestri spirituali (tra parentesi, altra cosa dagli psicologi di oggi: pensate, cosa ridicola, che oggi i nuovi preti hanno uno psicologo di sostegno, noi preti anziani avevamo un padre spirituale), dunque i grandi maestri spirituali erano concordi nel dire: se vuoi ascoltare Dio, cercalo nel silenzio.
Dio ci parla nel silenzio del cuore, così pensava S. Agostino e tanti altri santi. Nel frastuono è più difficile sentire la voce di Dio. Una Santa ha scritto: «Una bocca silenziosa è oro puro e dà testimonianza di santità interiore» (S. Faustina). Un’altra grande Santa, tra l’altro molto attiva nel campo assistenziale per i poveri, ha scritto: «La cosa più importante è il silenzio. La cosa essenziale non è ciò che diciamo, ma ciò che Dio dice a noi. Gesù ci aspetta nel silenzio: nel silenzio parla alle nostre anime e ci è dato di poter ascoltare la sua voce» (Madre Teresa di Calcutta).
Il nostro rapporto interiore con il mondo del Divino è un rapporto di Grazia, che parla quando restiamo in silenzio. Dio, quando ci parla, non urla. E quando noi urlando gli poniamo domande, egli non risponde.
A un giovane che gli aveva chiesto: “Ho pregato Dio che mi dicesse qualcosa, ma non mi ha risposto!”, un saggio monaco così disse: «Dio ci parla sempre. Ma, per capirlo, dobbiamo stargli vicino e mantenere il silenzio interiore. Dio parla senza alzare la voce».
E come non ricordare l’episodio del profeta Elia che si accorse della presenza di Dio, che non era nel terremoto, nel vento gagliardo, o nel fuoco, bensì nella “voce tenue di silenzio”.
Mi è piaciuto questo altro commento, che vorrei riproporre anche a voi. «Il silenzio è oggi l’unico fenomeno “senza utilità”. Del resto non s’addice all’odierno mondo dell’utile, si limita ad esistere e sembra non avere alcuno scopo, né si presta a qualsivoglia sfruttamento. Tutti gli altri grandi fenomeni sono stati annessi dal mondo dell’utile. Persino lo spazio tra cielo e terra è diventato soltanto un luminoso anfratto, nel quale sfrecciano gli aerei. Anche l’acqua e il fuoco sono recuperati dal mondo dell’utile; del resto li si nota solo nella misura in cui sono incorporati in questo mondo dell’utile, privati di qualsivoglia esistenza autonoma. Ma il silenzio è estraneo al mondo dell’utile, non se ne può fare nulla; dal silenzio non si cava letteralmente nulla, è “improduttivo” e per questo non conta affatto. Eppure, dal silenzio promana più aiuto e più salvezza che da tutto ciò che è utile. Esso, l’inutile, si pone accanto a ciò che è fin troppo strumentale, appare improvvisamente al suo fianco e spaventa per la sua assenza di scopo, interrompe il meccanismo continuo di ciò che è fin troppo utile. Il silenzio rafforza quanto vi è di intangibile nelle cose riportandole dal mondo dell’utilità disgregante al mondo dell’esistenza integra. Dona alle cose un poco di sacra inutilità, poiché proprio questo è il silenzio: sacra inutilità».
E ora una serie di citazioni, che possono aiutarci a scoprire il valore del silenzio interiore.
«La Parola zittì chiacchiere mie»: così Clemente Rebora, nobile spirito di poeta milanese, descrive con rude chiarezza gli inizi della sua conversione. E Carlo Maria Martini commenta: «Possiamo anzi dire che la capacità di vivere un po’ del silenzio interiore connota il vero credente e lo stacca dal mondo dell’incredulità».
Scrive Isacco di Ninive: «Il silenzio degli uomini belli è preghiera, perché i loro pensieri sono moti divini. Infatti, le pulsioni di un’intelligenza pura sono voci silenziose con cui si canta al Nascosto nascostamente».
Giovanni Climaco afferma: «Il silenzio cosciente è padre della preghiera». Angelo Silesio: «Taci, carissimo, taci! Se sai tacere del tutto, Dio ti offrirà più doni di quanti ne desideri».
Isaia di Gaza: «Custodisci la lingua, affinché il tuo cuore sia illuminato». E Georges Bernanos: «“Custodire il silenzio”, strana espressione. È il silenzio che ci custodisce».
Scrive Isacco di Ninive: «Innanzitutto sforziamoci noi di tacere, e allora, dal nostro silenzio, sarà generato in noi un qualcosa che ci condurrà al silenzio. Che Dio ti dia di sperimentare ciò che dal silenzio è generato. Se infatti intraprenderai questa condotta, non so quale grande luce a partire da lì si leverà in te … Dopo un certo tempo, dalla condotta di questa pratica è generata nel cuore una qualche dolcezza ed [essa] induce violentemente il corpo a perseverare nel silenzio».
Racconta sant’Ireneo di Lione che Abramo, prima di ascoltare la voce di Dio già lo cercava “nell’ardente desiderio del suo cuore”, e “percorreva tutto il mondo, domandandosi dove fosse Dio”, finché “Dio ebbe pietà di colui che, solo, lo cercava nel silenzio”.

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