Il problema sono io, forse

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Il problema sono io, forse

Stavo per crederci, ma l’illusione è durata qualche giorno, forse meno, non solo per la poca rilevanza mediatica (certo, mi sarei aspettato di più!). Il protagonismo personale di qualche prete con maggior rilevanza mediatica ha prevalso, e di nuovo è svanita la speranza di unire le energie, per far sentire la nostra voce di preti “scomodi”, per non dire “ribelli”: ribelli ad una struttura ecclesiastica che non vuole proprio, al di là delle apparenze del papa attuale, aprirsi all’Umanità.
Forse noi preti siamo fatti male: non riusciamo neppure a stendere “insieme” un documento di protesta, o forse è il destino di chi protesta rimanere solo.
Probabilmente stendere un documento insieme o, peggio, firmarlo in tutta fretta senza nemmeno averlo discusso è già sbagliato, visto che ognuno di noi, di una certa età, ha avuto esperienze diverse. Non ci conosciamo neppure, se non perché ogni tanto appaiono sui giornali, anche online, qualche nostro intervento o qualche nostra intervista. Talora condividiamo, e talora no.
Non basta essere “ribelli”: non riusciamo a capire sul perché contestiamo, sulle ragioni profonde che ci hanno spinto a dissentire da questa Chiesa. Ognuno di noi non solo ha una sua storia di fede alle spalle, ma anche una sua visuale politica della società.
Sembra di essere vicini, ma in realtà siamo lontani, anche se la causa per cui lottiamo è la medesima, ma le motivazioni sono diverse.
 Noi preti “scomodi” non ci capiamo neppure sulle parole che usiamo: diamo significati diversi. Il rischio c’è di farci anche noi incantare dalla ideologia “laicista”, per cui ci sentiamo quasi in colpa semplicemente perché siamo preti, ponendoci continuamente la domanda: Dobbiamo lottare per un mondo migliore o più giusto da preti, oppure da cittadini “laici”?
È forse proibito a noi preti in quanto preti impegnarci in difesa dei diritti civili? O, meglio: fin dove ci è lecito dirci pubblicamente che siamo anche preti?
Quando sento parlare di “laicità” mi viene l’orticaria: sento tutto il peso di un passato di ombre che vorrebbero di nuovo tornare, come se il fatto di essere cristiani fosse una colpa o quell’ingombro che ostacola ogni dialogo con il mondo moderno.
Credo di aver sempre lottato in favore dei valori umani, come prete e come cittadino: non ci ho mai visto una dicotomia. Anzi. Il mio essere prete mi dà talora una carica maggiore. E se spesso distinguo la mia fede dalla religione è solo perché il cristianesimo in cui fermamente credo non è affatto una religione, e se lo è diventato è stato per colpa di una Chiesa che ha tradito l’originale pensiero di Cristo.
E allora parliamoci chiaro: mettiamo da parte una certa terminologia, anche se ancora oggi va di moda e può riempire la bocca. La parola “laicità” da contrapporre alla parola “religione” non mi sta bene, se per religione intendiamo quella “sacralità” che costituzionalmente ci appartiene. Se la laicità intendesse distruggere la sacralità del proprio essere, ecco: si commetterebbe un crimine.
Non è necessario dirci “sacri”: basterebbe dirci “umani”. Ma smettiamola di sventolare la bandiera della laicità, se per laicità intendiamo tutto quel mondo che solo apparentemente è umano, ma che in realtà è il più lontano dall’Umanità.
Se mi sento ministro dell’Umanità, intesa nella profonda sacralità dell’essere, come posso sentirmi a disagio quando lotto per un mondo più giusto e più… umano? Certo, sono anche ministro di una Chiesa che fatica ad aprirsi all’Umanità, ed è proprio per questo che lotto perché la Chiesa si apra il più possibile all’Umanità.
So benissimo che la parola “prete” rimanda a un mondo strettamente religioso, ma questo non è un mio problema. È il problema di chi vive ancora di ideologie vecchie e di chi resta vittima di appartenenze strettamente religiose. 
27 febbraio 2016
EDITORIALI DI DON GIORGIO 1
EDITORIALI DI DON GIORGIO 2
 

 

4 Commenti

  1. Daniela ha detto:

    Dopo averla sentito predicare questa sera, penso che a lei del suo essere prete e’ rimasto ben poco. Se la sua vita , come dice deve essere dedicata alla lotta per ottenere diritti , dovrebbe aver coraggio a rinunciare ufficialmente alla sua scelta di essere prete e a dedicarsi alla politica , o al sociale totalmente.( o forse nn vuole rinunciare a una platea quale quella della Chiesa, poiché’ forse senza di questa non avrebbe più nessuno che la ascolta e diventerebbe uno fra tanti). Sì perché se lo facesse forse sarebbe più ammirato di quello che ora è’.
    Oggi dopo averla sentita predicare mi ha fatto una gran compassione, poiché lei più di tanti altri ha bisogno della Misericordia di Dio. Parole piene di rabbia , di una rabbia che ormai la accecata e le ha tolto il senno. E se la gente se ne va dalle chiese e per preti ipocriti come lei che oramai del prete non hanno più nulla. …… Ma non hanno neanche il coraggio di ammetterlo.

    • Don Giorgio ha detto:

      Anzitutto, una domanda: ti riferisci al video “Il problema sono io, forse” (hai messo il commento sotto il mio editoriale) oppure all’omelia durante la Messa a Dolzago (in tal caso avresti dovuto mettere il commento in un’altra sezione, sotto l’omelia). Vedo che sei un po’ confusa! In ogni caso, se ti riferisci al video, non si tratta di una predica. Se invece ti riferisci all’omelia che ho tenuto ieri sera durante la Messa a Dolzago, allora, ecco alcune considerazioni. Anzitutto, durante la mia lunga esperienza sacerdotale non ho mai svuotato le chiese, e neppure ora (come avrai ben notato a Dolzago!), a differenze di tanti altri preti, sullo stampo della tua falsa religione, che la stanno svuotando. Solo una domanda: ieri sera, a Messa, eri lì per caso oppure ci vieni frequentemente? Se vi vieni frequentemente, qualcosa nel tuo cervello non va e nel tuo cuore c’è tanta malafede. In altre parole, sei una grande ipocrita! Perché ci vieni alle mie Messe, se poi stai male? Non sei obbligata. Se era la prima volta, come puoi giudicare da una sola omelia il mio modo di essere prete? Sei una perversa nell’animo!|

  2. GIANNI ha detto:

    Talora le voci dissenzienti si uniscono, come quando si prende posizione sulla Cirinnà, certo in disaccordo con quanto previsto dalle gerarchie curiali.
    Altre volte, dove stanno i punti comuni?
    Certo, non basta essre contro, bisogna anche vedere a favore di cosa.
    Ed allora di comune potrebbe esserci solo solo questo, cioè la posizione ufficiale della chiesa gerarchica.
    Se desidera sostituirla con qualcosa di diverso, ognuno può avere idee diverse.
    Ce lo insegna la stessa storia del cristianesimo.
    Pensiamo alle diverse confessioni.
    Ognuna di queste non esprime qualcosa di diverso dalle altre su taluni temi?
    Qui sta la molteplicità di opinioni che si possono avere, che magari nascono da una critica comune a qualcosa, per poi, però, trovarsi in disaccordo con cosa sostituire quanto criticato.
    Ma questo, in verità, riguarda in generale la storia del pensiero e delle dottrine, non solo la religione in senso stretto.

  3. Giuseppe ha detto:

    Nel corso di questi anni ho conosciuto tanti preti, uno spaccato variopinto di umanità, ma francamente sono ben pochi quelli che hanno lasciato una traccia significativa e di cui ho un ricordo positivo. A prescindere, infatti, dal rispetto dovuto verso i ministri del culto, non ho potuto e non posso fare a meno -come tutti- di farmi un opinione che, forse, a volte ha più il sapore di una critica. Penso che dipenda dal fatto che ciascuno di noi, magari senza rendersene conto, specialmente di fronte a persone che hanno seguito una vocazione o scelto una attività o una professione che ha un forte impatto sul sociale, si aspetti determinati comportamenti e speri di trovare una comprensione e una disponibilità che dovrebbe essere tipica di chi si pone come obiettivo l’aiuto verso il prossimo, ma specialmente i poveri, i malati, i bisognosi e in genere le persone afflitte da qualche forma d’ansia e di inquietudine. Siamo tutti esseri umani, con le nostre qualità e le nostre imperfezioni, perfino quelli che la Chiesa ha riconosciuto come santi, spesso non erano esenti da difetti, per questo dovremmo accettarci di più, anche se ci costa fatica. Forse, per non andare incontro a delusioni dolorose, sarebbe opportuno non aspettarsi mai troppo dagli altri e fare si che, a loro volta, essi non si aspettino troppo da noi,

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