Omelie 2018 di don Giorgio: SS: TRINITÀ
27 maggio 2018: SS. TRINITÀ
Es 33,18-23; 34,5-7a; Rm 8,1-9b; Gv 15,24-27
Numeri e terrminologie filosofiche
Qualcuno giustamente ha fatto notare che oggi, Festa della Santissima Trinità, mentre la Liturgia della Messa si sofferma sui numeri e anche su una certa terminologia filosofica (pensate al Prefazio), invece i testi biblici ci raccontano qualcosa del Mistero di Dio.
Come tutti sappiamo, i numeri possono essere freddi, hanno qualcosa di gelido, per non parlare poi di una certa terminologia filosofica (essenza, sostanza, natura, persona), incomprensibile da parte della gente comune, mentre il Mistero di Dio ha qualcosa di particolarmente caldo, come caldo è l’Amore di un Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo.
Non sto qui ad elencare tutti i litigi, le controversie e le eresie che hanno riguardato la Trinità divina, e che hanno comportato scismi e condanne da parte di Concili, le cui dichiarazioni ufficiali interessavano solo imperatori per timore di divisioni all’interno del loro impero e i papi per evitare confusioni tra la gente comune, la quale capiva solo una cosa: che la Chiesa stava complicando la fede in Dio, con una terminologia che aveva del sadico.
Non parliamo poi che a suscitare le più accese discussioni è stato proprio lo Spirito santo nel suo rapporto con il Padre e con il Figlio. Sì, proprio Lui, lo Spirito, non era ben accettato nella teologia cattolica dei primi secoli. Sembrava un intruso.
Ancora oggi alla gente comune non interessano né i numeri (che Dio sia Uno o Trino), e tanto meno il loro rapporto di uguaglianza e di relazioni.
Non credo che, quando compariremo davanti a Dio nell’aldilà, saremo interrogati sulle “processioni” trinitarie.
Perciò, vorrei soffermarmi sui testi biblici della Messa, che narrano in modo caldo il Mistero di Dio.
Mosè e la gloria di Dio
Partiamo dal primo brano. Prendiamo per storica la figura di Mosè (qui non c’interessa questa questione che ha però una sua importanza, anche per leggere la storia d’Israele), e perciò cerchiamo di comprendere il brano, che fa parte del libro dell’Esodo, anche se non è di facile interpretazione.
Non si capisce perché Mosè osi tanto, chiedendo l’impossibile, ma c’è scritto che egli quasi ordina a Dio: «Mostrami la tua gloria», come se a Mosè, un pragmatico condottiero, interessasse qualcosa della realtà divina.
Tutti i condottieri della storia, e sono tanti, dicono di aver avuto delle visioni superiori. E ancora oggi c’è chi si appella ad una visione divina per far valere il proprio potere. Non parlo poi delle religioni e dei leader religiosi, che fondano il loro carisma su di una certa rivelazione divina, a garantire il loro potere.
Non so, forse perché sono particolarmente allergico per non dire fortemente scettico o diffidente, non ho mai sopportato visioni di un certo tipo.
E il motivo mi sembra semplice: Dio parla dentro di noi, ma parla con la voce del suo Spirito che non ricorre a qualcosa di sensibile.
La risposta di Dio
Dio come risponde dalla richiesta assurda di Mosè? «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà».
Chiariamo ancora una volta che cosa significhi bontà, per non cadere nel solito discorso moraleggiante. Bontà significa bene, e nel campo divino è il Bene Sommo. Dunque, Bontà è il Bene che è Dio stesso. E dal Bene deriva tutto il resto, come un riflesso o un insieme di riflessi: pensate alla bellezza, pensate alla giustizia, pensate alla misericordia, alle relazioni sociali di diritti e di doveri ecc. Tutto è un riflesso del Bene Sommo.
Sorge subito una domanda: come Dio ha potuto dire: ”Farò passare davanti a te tutta la mia bontà”?
Ma, il racconto dell’Esodo continua, e diventa interessante. Dio invita Mosè a entrare nella cavità della rupe. Mosè, con la mano di Dio che gli copre il volto, non può vedere Dio che gli passa davanti. Quando Dio toglie la mano, Mosè può vedere solo le spalle, il retro di Dio che è già passato, senza farsi vedere nel volto.
Prima dicevo che il testo non è di facile comprensione, anche se, come avete potuto notare, è affascinante nella sua simbologia. Che cosa potrebbe significarci?
Dio è l’Invisibile, l’Ineffabile, in tutto il suo Mistero di luce. Un Mistero, perciò, che richiede occhi particolari per poterlo vedere. Sono gli occhi del nostro spirito interiore, gli occhi della caverna del nostro cuore. Quando pretendiamo di vedere Dio con gli occhi della nostra carne, o di una struttura religiosa, in realtà non vediamo che il retro di Dio.
San Paolo: la legge della carne e la legge dello Spirito
San Paolo è chiaro, direi chiarissimo, quando distingue la legge della carne dalla legge dello spirito. E per l’Apostolo lo Spirito è lo Spirito divino. Altro che un intruso!
Lo Spirito santo è la legge dell’essere umano: è la nostra natura divina. Siamo fatti essenzialmente di Spirito, e di Spirito noi viviamo, naturalmente se intendiamo per vivere “essere ciò che siamo”, e non carne di ciò che non siamo, ovvero di apparenze cutanee.
Scrive testualmente l’Apostolo: «Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, tendono verso ciò che è spirituale. Ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace».
Come potete dire che queste parole non sono chiare?
Specifichiamolo un’altra volta: carne sta per tutto ciò che non appartiene al mondo dello spirito: quindi, sta per ventre, ma sta anche per una concezione materiale dell’esistenza; carne sta per pelle, ma sta anche per ogni struttura che mortifica il mondo del nostro essere interiore.
E l’Apostolo conclude: «Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi».
Sì, lo Spirito di Dio abita in noi: fa parte del nostro essere. Già dire essere è dire realtà dello Spirito, mentre dire avere è dire realtà materiale, qualcosa di esterno allo Spirito.
Ciò di cui oggi il mondo ha bisogno non è “un di più” di carne, di pelle, di ventre, di populismo, di una religione del fare, ma “un di più” di essere, ovvero di Spirito, da cercare all’interno di noi stessi.
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