Umberto Ambrosoli, 40 anni dopo: «È tempo di eroi normali»
da AVVENIRE
24 novembre 2019
Giornata della virtù civile.
Umberto Ambrosoli, 40 anni dopo:
«È tempo di eroi normali»
Paolo Lambruschi
A 40 anni dall’assassinio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, parla il figlio. Giovedì la Giornata della virtù civile
Celebrare «Il senso dello Stato» in memoria di Ambrosoli, Paolo Baffi e del maresciallo Silvio Novembre. È il programma della Giornata della virtù civile che l’associazione civile Giorgio Ambrosoli ha organizzato per il 28 novembre al Conservatorio di Milano sotto l’alto patronato del presidente della Repubblica. Alle 20 si inizia con “Lezione Giorgio Ambrosoli” nel 40° dell’assassinio, nel 30° della morte di Baffi e nel ricordo di Silvio Novembre in collaborazione con il Baffi Carefin Centre dell’Università Bocconi. Dopo l’introduzione di Umberto Ambrosoli, Ferruccio de Bortoli intervista Gherardo Colombo e Donato Masciandaro. Quindi la consegna a uno studente della Bocconi della nona Borsa di studio triennale intitolata all’Associazione Ambrosoli. Alle 21 il Concerto civile Giorgio Ambrosoli dell’Orchestra Sinfonica del Conservatorio Verdi. Sono anche previsti incontri con le scuole.
Il 28 novembre verrà ricordato a Milano, durante la Giornata della virtù civile, il sacrificio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli. Commissario liquidatore della Banca Privata Italiana e delle attività finanziarie del banchiere siciliano Michele Sindona, l’’eroe borghese’ compì fino in fondo il proprio dovere sapendo che rischiava la vita. Infatti fu assassinato l’11 luglio 1979 da un sicario italo-americano, William Joseph Aricò, ingaggiato dallo stesso Sindona con la complicità della mafia. Parliamo dei valori in cui Ambrosoli credeva con il figlio Umberto, avvocato e saggista nonché responsabile dell’Associazione civile Giorgio Ambrosoli.
Quarant’anni fa suo padre veniva ucciso da un killer pagato da Sindona. A fine settembre è morto il maresciallo Silvio Novembre, che fu sempre accanto a suo padre. Quanto è viva negli italiani la memoria di Giorgio Ambrosoli?
Sì, questo è un anno particolare perché ci sono state molte occasioni per ricordarlo. Ma generalmente ricevo sempre con discreta intensità testimonianze di persone che non conosco, non appartenenti alla generazione che ha vissuto quegli eventi negli anni ’70, che mi dicono di aver incontrato questa storia e di averne tratto una ragione d’orgoglio di essere italiani e di stimolo ad essere persone migliori. Sono le dimostrazioni concrete che la testimonianza di vita di papà è ancora viva. Lei aveva 8 anni quando è stato ucciso.
Che ricordi ha di suo padre?
Ricordo in particolare la sua serenità accompagnata da un dolce rigore. E una dimensione affettiva molto forte. Ovviamente ho ricordi di lui che lavorava, di momenti di vita famigliare e divertenti.
Fu un ‘eroe borghese’, come dice il titolo del libro di Corrado Stajano sulla sua storia, e in una lettera del 1975 alla moglie dice di aver operato nell’interesse del Paese. Quali sono i valori che incarnava e nel rispetto dei quali ha chiesto alla moglie di allevare i figli, come ricorda anche lei nel libro «Qualunque cosa succeda»?
Senza dubbio la responsabilità, declinata in occasioni diverse anche attraverso la professionalità; che è un altro valore. Il tutto in una capacità di vedere l’interesse collettivo che supera l’interesse personale. Non a caso quest’anno abbiamo voluto caratterizzare la Giornata della virtù civile con il senso dello Stato, che è poi un’estrinsecazione della sua visione della responsabilità. Anche le due figure alle quali attribuiamo memoria oltre a mio padre, Paolo Baffi e il maresciallo Novembre, sono personalità che hanno scelto di vivere la responsabilità perseguendo un interesse che contrastava con il loro personale e diretto, ma coerente con quello dell’aggregazione sociale.
Ritrova ancora in quest’Italia un simile senso dello Stato?
Sono un osservatore privilegiato perché, anche attraverso un premio istituito con un’associazione dedicata alla memoria di papà, ho la fortuna di ricevere ogni anno diverse storie di persone che, lontano da qualsiasi forma di clamore e pubblicità, sono espressione di sentimenti e valori analoghi a quelli che mio padre ha interpretato nella particolare situazione di difficoltà in cui si è trovato. Ho dunque ragione di continuare a credere nel fatto che la cittadinanza sia composta in buona misura anche da persone che hanno comportamenti e una gerarchia valoriale di gran lunga migliore di quella che comunemente ci capita di osservare.
C’è ancora bisogno di ‘eroi borghesi’?
Non c’è questo bisogno di eroi secondo me perché ci sono molte persone che nel loro piccolo operano secondo quei valori. E questo è ciò che nel nostro Paese ha impedito e impedisce una deriva. C’è bisogno di più diffusa assunzione di responsabilità.
Però ci sono le commistioni tra mafia, politica e affari e la corruzione che paiono addirittura irrobustite, soprattutto al Nord e in certe zone del Mezzogiorno. Non viene voglia di arrendersi e chiudersi nel privato?
Comprendo che tale sentimento possa animare alcuni, ma a me è stato insegnato a vedere in questo genere di condizioni delle ragioni ulteriori di impegno.
Pensa che il sacrificio di Giorgio Ambrosoli sia stato capito?
Per me sì. So che per molti italiani, per usare una frase ricorrente, la sua memoria è stata d’aiuto in momenti in cui dovevano assumere decisioni difficili.
C’è molto fermento nella generazione degli under 25. Non solo per l’ambiente, ma anche per il no all’odio e al razzismo. Può avere ancora fascino la figura di Giorgio Ambrosoli per chi è nato in questo millennio?
Penso proprio di sì, come tutte le figure portatrici di valori. Sono convinto che, paradossalmente, proprio il passaggio del tempo aiuti a identificare gli elementi essenziali della sua figura e il loro valore al di là dello specifico contesto storico nel quale la sua testimonianza si è sviluppata. È un esempio, quello di papà, che genera speranza. Quindi ragione di impegno.
È il settembre 1974 quando l’avvocato milanese Giorgio Ambrosoli, 40 anni, viene nominato commissario liquidatore della Banca Privata Italiana del finanziere siciliano Michele Sindona, sull’orlo del crack. Ambrosoli non tarda a scoprire gli intrecci perversi degli affari occulti di Sindona, tra loggia P2, politica e mafia, e i legami con l’altra oscura vicenda del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi; comincia a subire pressioni e minacce affinché la sua relazione, nascondendo reati e responsabilità, avalli il salvataggio della banca di Sindona a carico dello Stato. Ma l’«eroe borghese», come venne poi definito Ambrosoli, pur rendendosi conto dei rischi personali che corre, non cede al ricatto, contando praticamente sull’unico sostegno del maresciallo della Finanza Silvio Novembre – che gli fu sempre vicino – e del governatore di Bankitalia Paolo Baffi. La sera dell’11 luglio 1979, vigilia della deposizione dei risultati della sua inchiesta, mentre rincasa in centro a Milano, viene ucciso da un killer americano pagato da Sindona.
Per Bertolt Brecht era sventurata la terra che aveva bisogno di eroi. Non è sventurata ma incosciente. Se no daremmo ragione ad Andreotti che aveva liquidato l’assassinio di Giorgio Ambrosoli con la frase famosa “se l’è cercata”. Son passati 40 anni, cos’è cambiato? Se penso a come ci sono rimasto quando nel 2013 i lombardi a Umberto Ambrosoli hanno preferito come governatore Roberto Maroni (ex demoproletario). Come ci rimango quando vedo la devozione per Salvini (ex centro sociale) e per la Meloni (ancora fascista?)? In silenzio. “Nel silenzio l’uomo può più facilmente preservare la sua onestà.” (Meister Eckhart).