da www.huffingtonpost.it
27 Febbraio 2024
Mario Draghi supplica la Ue: “Per favore,
fate qualcosa, non si può dire sempre no”
di Angela Mauro
Incontro a porte chiuse all’Europarlamento. L’ex premier lancia il “whatever it takes” per gli investimenti: “Ce n’è un immenso bisogno, scegliete qualsiasi mezzo”. Pericolo cinese: “Come si può continuare con dazi al 10% per l’import da Pechino, mentre gli Usa fanno il 27% e Trump vuole addirittura il 67%?”
“Per favore, fate qualcosa. Non si può dire sempre di no”. È un appello definitivo quello di Mario Draghi oggi a Strasburgo. Dopo la riunione con i ministri finanziari dell’Ue sabato scorso a Gand, vicino Bruxelles, l’ex premier oggi incontra a porte chiuse i presidenti delle Commissioni dell’Europarlamento per ascoltare la loro sul report sulla competitività del mercato unico che sta preparando per la fine di giugno. “Nonostante i successi ottenuti negli ultimi anni nell’affrontare crisi e shock, ci troviamo in un momento critico”, dice Draghi che trasferisce il suo ‘whatever it takes’ dal salvataggio dell’euro del 2012 all’urgenza attuale per l’Unione di investire. Per salvarsi.
Ora l’Unione Europea ha “un immenso bisogno di investimenti”, che dovrebbe essere soddisfatto con “qualsiasi mezzo” utile allo scopo, dice l’ex premier che anche stavolta, come sabato scorso a Gand, evita di prescrivere ricette. “Ho menzionato un fondo dedicato, ma immediatamente un commentatore ha detto: ‘Ok, ma serve una vera Unione fiscale, non una forma ridotta di Unione’. Non lo so, voglio dire, non mi importa: fate qualcosa, ripeto. Scegliete qualsiasi cosa risulti la migliore”, allo scopo di soddisfare “l’immenso bisogno di investimenti” che l’Ue ha. Si potrebbe anche pensare “ad un mix di molte cose. Una delle cose, probabilmente la più importante, è la capacità di mobilitare i risparmi privati”. Ne va dell’Europa stessa: “Ripensare le nostre politiche economiche per aumentare la crescita della produttività e della competitività è essenziale per preservare il modello sociale unico dell’Europa”, insiste Draghi.
“All’Ecofin informale di Gand, sabato scorso, mi hanno chiesto: ‘Qual è l’ordine in cui tutte queste riforme andrebbero fatte?’. Non ho idea di quale sia l’ordine, ma vi posso dire solo una cosa: per favore, fate qualcosa. Fate qualcosa: scegliete voi che cosa, ma fate qualcosa. Non potete passare altro tempo dicendo di no a tutto”, è l’accorato appello dell’ex governatore centrale, chiamato da Ursula von der Leyen, d’accordo con gli Stati, a redigere un report sulla competitività del mercato unico. In sostanza, quella di Bruxelles a Draghi è una richiesta di aiuto, per salvare l’Ue dopo che super Mario ha salvato l’euro quando era governatore della Banca centrale. Il tour di Draghi presso le istituzioni europee, in vista della presentazione del suo lavoro dopo il voto di giugno, è cominciato all’Ecofin di Gand. Oggi seconda tappa a Strasburgo, in occasione della plenaria del Parlamento europeo. Ma ormai Draghi è in campo, a livello europeo. Da qui a giugno, l’ex premier sarà impegnato in altri momenti di confronto che andranno a sottolineare la sua partecipazione attiva alle scelte europee per il prossimo futuro. Un percorso nel quale potrebbe anche toccargli una carica europea, alla presidenza del Consiglio nel dopo-Michel come si continua a bisbigliare nei corridoi delle cancellerie.
Si vedrà, ma intanto anche a Strasburgo Draghi ripete la sua visione e chiede all’Europarlamento di fare la sua parte. Presto.
“Negli ultimi anni – dice – l’Unione Europea ha ottenuto importanti risultati: dall’adozione di politiche climatiche e digitali all’avanguardia a livello mondiale, alla definizione degli strumenti che guidano la ripresa dell’Europa dalla pandemia di Covid-19 e alla riduzione della nostra dipendenza dalle importazioni energetiche russe. Il Parlamento europeo è stato determinante e spesso ha aperto la strada”. Ma oggi ci sono ben “tre tendenze che ci costringono a considerare come rafforzare la competitività europea nel lungo periodo”. La prima: “La rapida accelerazione della digitalizzazione e dell’innovazione tecnologica continua a migliorare l’organizzazione del lavoro e il suo ruolo nello stimolare la crescita produttiva”. L’ex banchiere centrale cita come esempio “gli sviluppi compiuti nello sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa, le cui applicazioni pratiche in ambiti quali la sanità e l’istruzione sono di vasta portata”. Seconda tendenza: “Il cambiamento climatico sta spingendo il nostro ecosistema naturale a un punto critico, costringendo tutti ad agire per accelerare la transizione pulita”. Terza: “Un contesto geopolitico in rapida evoluzione caratterizzato da una maggiore tendenza al conflitto, sia in termini economici che militari, sta costringendo l’Ue a riesaminare il proprio approccio alla globalizzazione”.
A questo scenario in trasformazione e di per sé preoccupante, si aggiungono “le pratiche anticoncorrenziali di alcuni dei nostri concorrenti”, dice Draghi, che “continuano a compromettere la parità di condizioni a livello globale e l’autonomia strategica aperta dell’Ue. Ciò richiede una riflessione seria sulla riduzione del rischio delle potenziali vulnerabilità”. L’ex premier richiama l’attenzione sulla concorrenza cinese e l’arrendevolezza con cui l’Ue tratta Pechino, per via degli interessi nazionali di alcuni Stati membri: la Germania, anche se Draghi non fa nomi. “La Cina – dice l’ex banchiere centrale – ha largamente sovra-investito in molte cose, una delle quali sono le auto elettriche, ma anche le tecnologie legate alle batterie, negli ultimi 15 anni, sicuramente sussidiando tutti. Ora hanno un’immensa sovra-capacità” produttiva, che “scaricano su di noi”. L’Ue rimane pressoché inerte. “Come può l’Ue continuare con dazi alle importazioni dalla Cina, sulle auto, al 10%, mentre gli Usa hanno il 27%, e mentre Donald Trump, se verrà eletto, ha già detto che imporrà dazi del 67%?”.
L’Ue ha un “immenso bisogno di investimenti”, ma “ i soldi sono solo un aspetto del problema. L’altro aspetto è una profonda rivisitazione delle regole che abbiamo costruito e sulle quali abbiamo lavorato”. “Il mercato unico è un grosso problema. Per almeno 15 anni, non si è fatto molto”. “Le chiamavamo riforme strutturali. È quello che dobbiamo fare ora: riforme strutturali, a livello di Unione Europea. Il mercato unico è altamente imperfetto: ci sono centinaia di direttive che non vengono attuate o che vengono attuate in modo diverso a seconda dei Paesi”. E bisogna “guardare” a come funziona il “mercato elettrico. L’Europa non può essere competitiva se paghiamo l’elettricità tre volte tanto quanto costa negli Usa e il gas naturale cinque o sei volte tanto. Ci sono molte cose che dobbiamo fare, delle quali i soldi sono solo una”.
Uno dei punti deboli dell’Ue è che la ricerca è “scarsamente” finanziata dal settore privato. E allora: “Come possiamo mobilitare meglio i risparmi privati e i soldi pubblici per questi progetti?”. Poi sull’innovazione: “come la stimoliamo nell’Ue?”. L’ex premier cita gli Usa, “perché sono una democrazia. In Cina, chiaramente, la società è molto diversa. Negli Usa circa i due terzi della ricerca vengono finanziati dal settore privato, solo un terzo dal pubblico. Nell’Ue due terzi della ricerca è finanziata dal settore pubblico. Perché il finanziamento privato è così scarso nell’Ue?”. Ma c’è anche la carenza di forza lavoro che “è dovuta alla carenza di competenze. Come si promuove la formazione delle competenze? Un altro fattore che sarebbe stato considerato sono i costi del lavoro. Se andate in giro, il costo del lavoro non è un problema. Nei calcoli che tutte le industrie fanno, è una cosa che non definirei marginale, ma non è una considerazione primaria”.
Niente ricette, ma spronare i vari decisori europei ad agire. È questa la tattica di Draghi, almeno per ora, per preparare il terreno a quello che sarà il suo report. Perché se è vero, come dice ai parlamentari, che “le riforme si fanno solo con il consenso”, è altrettanto vero che anche il suo report sulla competitività può avere un futuro se convince gli eurodeputati, i leader degli Stati membri, le forze politiche. Per questo la relazione dell’ex premier è una raffica di domande, dubbi, interrogativi per stimolare il ragionamento. Senza imporre ricette, ma senza nascondere la sua nota impostazione a favore di una maggiore flessibilità delle regole fiscali. “Una questione rilevante, per la competitività dell’Ue, sono le politiche macroeconomiche – dice – Qual è il livello di debito pubblico tollerabile? È quello degli Usa”, intorno al 124% del Pil alla fine del 2023, “oppure è il 60%”, previsto dal vecchio e dal nuovo patto di stabilità?”. “Non ho la bacchetta magica. Serve una riforma strutturale complessiva a 360 gradi”, serve un “minimo comun denominatore, ritrovare la capacità di agire insieme, nell’interesse collettivo. Non possiamo continuare a dire no a questo e a quello”.
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