L’EDITORIALE
di don Giorgio
Don Primo e don Lorenzo:
quando la riabilitazione è una castrazione
Non mi sono per nulla entusiasmato; anzi, sono rimasto del tutto indifferente o, meglio, mi ha fatto di nuovo riflettere la riabilitazione di don Primo Mazzolari e di don Lorenzo Milani da parte della gerarchia ecclesiastica.
Ho sempre davanti a me le dure parole di Cristo, i famosi sette “guai a voi…” scagliati contro gli scribi e i farisei ipocriti di tutti i tempi. Le riporto anzitutto in latino: “Vae vobis, scribae et pharisaei hypocritae, qui aedificatis sepulcra prophetarum et ornatis monumenta iustorum et dicitis: “Si fuissemus in diebus patrum nostrorum, non essemus socii eorum in sanguine prophetarum”! Itaque testimonio estis vobismetipsis quia filii estis eorum, qui prophetas occiderunt. Et vos implete mensuram patrum vestrorum. Serpentes, genimina viperarum, quomodo fugietis a iudicio Gehennae?» (Mt 23,29-33). Traduco: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri! Serpenti, razza di vipere, come potrete sfuggire alla condanna della Geenna?».
Il testo originale dei Vangeli che abbiamo è quello in versione greca, che è stato successivamente tradotto in latino, e in seguito in tutte le lingue, tra cui l’italiano. Il latino “vae” traduce il greco “oὐαὶ”, la stessa parola che troviamo nella pagina dove l’evangelista Luca riporta le parole con cui Cristo si scaglia contro i ricchi, i sazi, i gaudenti ecc. L’italiano “guai a voi” non rende bene il significato originario greco, che contiene una maledizione: “guai a voi” significa dunque “maledetti voi”. Mi sono dilungato, ma ne valeva la pena per far capire che l’ipocrisia farisaica non è finita. E a proposito della parola “ipocrita” ci sarebbe da aggiungere che anticamente indicava la maschera, che serviva all’attore per interpretare la parte di più personaggi. Da qui la parola “ipocrita” ha assunto il significato di chi porta una maschera, finge di essere buono ma è cattivo, finge di essere onesto ma è in realtà disonesto.
Veniamo a noi. Qualcuno mi potrebbe chiedere: a che serve, ora, una tardiva riabilitazione da parte di chi ha escluso o ucciso un dissidente? Sì, a che serve? Tanto più che i tempi sono cambiati, anche se sono magari passati solo cinquanta o cento anni, e costa poco riconoscere che la gerarchia di quei tempi ha sbagliato.
Ma c’è di più. A me piacciono i profeti ribelli che rimangono sempre tali, ovvero ribelli, e temo ogni tentativo di santificazione postuma, che vedo come una forma di castrazione di un messaggio o di un pensiero, che potrebbe ancora far paura alla struttura del potere, se rimanesse in tutta la sua originaria radicalità. In quest’opera di ridimensionamento o castrazione la gerarchia ecclesiastica è insuperabile.
A parte l’azione purificatrice del tempo, basta poco per addomesticare uno spirito libero del passato: farlo rivivere mettendogli un cappello sopra, meglio se a forma di aureola, togliendogli così quella forza d’animo che gli aveva dato il coraggio di andare contro tutto e contro tutti, pur di far valere ciò che egli riteneva giusto far valere. Oggi riconoscere che, in fondo in fondo, don Milani o don Mazzolari avevano amato molto la Chiesa, non è una presa per i fondelli dei due preti, che avevano sì molto amato la Chiesa, ma qual era la Chiesa che essi avevano amato?
E poi veramente sto male, quando constato che tuttora la gerarchia ecclesiastica distingue tra “buona” e “retta” intenzione, conservandosi il diritto di stabilire ciò che è retto o giusto e ciò che è errato o ingiusto, sempre in nome della struttura religiosa.
Ma se la gerarchia fa la sua parte reintegrando, benché a modo suo, ovvero strumentale, ipocritamente, qualche spirito libero del passato, voi credete che al popolo cristiano interessi qualcosa? Voi pensate che al clero di oggi interessi molto sapere chi è stato veramente don Mazzolari o don Milani, al di là di citazioni occasionali di qualche parola, uno slogan buono per ogni stagione?
Infine, anche se so di urtare magari qualche fan di don Mazzolari o di don Milani, vorrei dire che non è questo il vero problema: riabilitare ad esempio don Mazzolari o don Milani. Ma il vero problema è un altro: la Chiesa mai riuscirà a riabilitare tutti gli “eretici” fatti fuori con la spada o mandati al rogo, oppure i mistici medievali, proprio perché il loro pensiero, essendo eterno, non potrà mai essere aureolato, e il fatto di averlo bloccato ha bloccato il cammino della Chiesa, facendole perdere tempo prezioso. E se la Chiesa dovesse riuscire a castrare anche il pensiero mistico, sarebbe veramente la fine non solo della Chiesa, ma del mondo intero.
29 aprile 2017
A prescindere dalla specifica questione, possiamo dire che vi sono determinati ambiti, ideologici, religiosi, politici etc., che definiscono principi che possono essere o meno condivisi.
Ed a seconda delle posizioni assunte nei loro confronti, si viene esaltati o reietti.
Ora, evidentemente, o il pensiero di don Milani e don Mazzolari viene soggetto ad una reductio ad unum, ed interpretato quindi in un certo modo, oppure, evidentemente, non è stato ben compreso.
E’ questo il rischio del filtro interpretativo, cioè ricondurre ad altri principi, rispetto a quelli effettivamente professati.
A me pare che almeno in taluni casi sia erroneo questo tentativo, vista anche una moltelicità di posizioni, peraltro non del tutto coerenti, che talora i diversi pensatori possono assumere.
Consideriamo la vita e il pensiero, ad esempio, di don Mazzolari.
Prima a favore dell’entrata dell’Italia in guerra e cappellano militare, successivamente sostenitore del pacifismo.
E quindi,come si vede, lo stesso pensiero di un autore può andare incontro a posizioni diverse.
Ma anche a voler considerare autori dalle posizioni mantenute nel tempo, il considerarle tramite qualche filtro interpretativo, rischia di farci considerare solo quegli elementi che sono coerenti con il filtro stesso, con il rischio di tralasciare quanto ritenuto scomodo e non conforme al filtro stesso.
Per chi vive la radicalità del vangelo che parte dal dono gratuito di un Dio che si è lasciato immolare sulla Croce, non ha alcun senso perdersi dietro a riabilitazioni che possono anche essere solo di facciata. Gli esempi di don Milani e di don Mazzolari (ho conosciuto un suo stretto collaboratore padre Umberto Vivarelli) vanno ripercorsi con la memoria per capire le tracce che hanno lasciato e per farne tesoro per il nostro cammino. Essere dei fan entusiastici che celebrano o che si danno da fare per la loro riabilitazione vuol dire non aver capito che come preti sono stati “crocifissi”. Vuol dire che è troppo tardi per farli “risorgere” in un tempo nel quale ai più questa “risurrezione” è incomprensibile. Don Primo ha avuto la sua “certificazione” doc dall’allora cardinal Montini arcivescovo di Milano e dal papa Giovanni XXIII che lo ha chiamato “La tromba dello Spirito Santo nella terra mantovana”. Il grido di lamento di don Giorgio, se non ho capito male, è il grido di chi vede una Chiesa “immobile”, statica che non cammina al passo coi tempi.
Ti sei fermato a Matteo 23, prosegui con Matteo 24,28: “Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi”, ripetuto anche in Luca 17,37.
Non abbiamo bisogno di esempi (cadaveri) da santificare per sfamarci come avvoltoi (uccelli di rapina). Basta Lui (dov’è il cadavere?) a saziarci.