L’EDITORIALE
di don Giorgio
Riflessioni per un serio esame di coscienza
al termine di un altro anno
Solitamente, quasi un obbligo, alla fine di ogni anno si tirano le somme, facendo una specie di bilancio, non solo economico.
Non solo è noioso, ma è inutile stendere una serie quasi infinita di lamentele, di cose andate male, di disavventure infelici, di perdite o di sconfitte, di delusioni o di amarezze, dimenticando, e una ragione c’è, che tutto è bene e che tutto è male: dipende dal nostro modo di rapportarci con la realtà o con il mondo dei sogni, se ci lasciamo prendere da ansie, o da quella sete stressante di desideri per cose, che è la vera fonte di tutti i mali.
Forse in questi giorni dovremmo rileggere, per farne un serio esame di coscienza, la pagina, che troviamo nel Discorso della Montagna, un invito ad abbandonarci alla Provvidenza divina (Mt 6,19-34).
Ecco alcune riflessioni, che ritengo indispensabili soprattutto in questo periodo di totale pazzia.
Il brano (6,25-34) andrebbe letto collegandolo con i versetti precedenti (6,19-21.24), dove Gesù ci invita a non “accumulare” su questa terra “tesori”, ovvero i beni materiali, le ricchezze. E rimane ancora incisivo il detto di Gesù: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e Mammona» (6,24).
La radice ebraica del termine “mammona” indica quella sicurezza che appaga e dà certezza; richiama qualcosa in cui si pone fiducia, in cui si crede. Gesù con questa parola intende la personificazione del denaro: la ricchezza che come satana si contrappone a Dio. Denaro e Regno di Dio non stanno insieme, sono incompatibili.
La condanna di Gesù nei riguardi dell’accumulo (oggi diremmo capitale) è inequivocabile e, quando l’accumulo si fa “mammona”, ovvero un idolo, allora si mette in pericolo il primato di Dio, l’Essere Supremo, che non può scendere a compromessi con il dio-avere.
Nell’Antico Testamento, il termine “mammona” è sempre legato all’ingiusta ricchezza e indica il “mio” patrimonio, tutto ciò che “mi” dà garanzia e sicurezza, ma che mi mette in opposizione a un altro “Signore”, che è l’Unico Bene Necessario.
Una delle tentazioni costanti della religione sarà sempre quella di cercare di mettere insieme Dio e Mammona, la devozione e il denaro. Dio e “Mammona” sono due padroni assoluti, che chiedono di assorbire tutta la persona, le sue preoccupazioni, il suo tempo. Non si può quindi contemporaneamente servire l’uno e l’altro.
Dio o il denaro? Da questa scelta dipende la nostra vita.
Comprendiamo ora l’invito di Gesù a fidarci della Provvidenza divina.
Gesù ci chiama a vivere nella libertà, ci vuole uomini e donne libere, non schiavi dell’ansia, dello stress o dell’affanno, non schiavi delle nostre paure: paura del giudizio altrui, paura di ingrassare, paura di non essere alla moda, paura di chi ci vive accanto, paura di morire, paura del domani.
Viviamo sotto una grande minaccia! La minaccia che noi stessi ci procuriamo. Le paure sono anzitutto dentro di noi.
Certo, Gesù non si limita a dirci: “non affannatevi”, “non preoccupatevi”. Il suo è un invito a porre fede nella Provvidenza divina. Fa due esempi prendendo lo spunto dal mondo animale e dal mondo vegetale. Gli uccelli non seminano, non mietono e non raccolgono nei granai, ma hanno sempre da mangiare perché il Padre del cielo li alimenta. I gigli del campo non lavorano e non filano, eppure con che eleganza e bellezza Dio li veste!
Ed ecco la soluzione: «Cercate, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose (il cibo, il vestito ecc.) vi saranno date in aggiunta».
Noi sappiamo che la parola “giustizia” nella Bibbia significa il Disegno originario di Dio, prima che il peccato lo inquinasse: ogni cosa va messa al punto giusto, senza creare squilibri, senza uscire dall’armonia o dalla bellezza con cui Dio ha creato il mondo.
Giustizia, dunque, più che ordine o legge, è armonia, è bellezza, è vita. Pensate a quali potrebbero essere le conseguenze anche nel campo sociale. Per noi giustizia è osservanza di certe leggi in un determinato ordinamento socio-politico, fatto dagli uomini. Ma voi pensate che Dio accetti un ordinamento socio-politico dove a prevalere sia la legge del più forte, creando così disuguaglianze tra gli esseri umani?
I due esempi di Gesù, riguardanti il mondo animale e vegetale (gli uccelli e i gigli del campo), non sono solo poetici o tali da sembrare quasi ingenui. A pensarci bene, potrebbero rimettere in discussione tutto il nostro modo di pensare questa vita, lo stesso sistema economico-politico.
Gesù critica il fatto che la preoccupazione per il cibo occupi tutto l’orizzonte della esistenza delle persone, senza lasciare spazio a sperimentare e gustare la gratuità della fraternità e dell’appartenenza al Padre.
Per questo, il sistema neo-liberale è criminale perché obbliga la gran maggioranza delle persone a vivere ventiquattro ore al giorno, preoccupandosi del cibo e del vestito, e produce ad una minoranza ricca assai limitata l’ansia di comprare e consumare fino al punto da non lasciare spazio a null’altro.
Gesù dice che la vita vale più dei beni di consumo! Il sistema neoliberale impedisce di vivere il Regno di Dio.
Certo, non è peccato occuparci anche dei beni materiali, ma il vero problema sta nel non farci “occupare” da questi beni, diciamo esterni al nostro essere interiore.
Si tratta, cioè, come scrive don Angelo Casati, di «non subire una occupazione, un’invasione, un dominio. Non hai più la mente sgombra, non hai più l’anima libera. La tua testa è altrove. Sei occupato. Perdi le persone, le cose, gli eventi. Con la testa sei altrove».
Capiamo ora l’imperativo positivo: “cercate, invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia… “.
Il regno di Dio è là dove Dio abita, e Dio abita anzitutto nel nostro essere. Non dobbiamo cercarlo fuori di noi. Ridare il primato a Dio e dare il primato al nostro essere è la stessa cosa. E allora: chi ha ragione? La Mistica o la religione?
L’equilibro tra l’essere e l’avere lo potremmo trovare nella Natura, al di là del suo aspetto puramente estetico. La natura è senza perché: non fa calcoli, è lontana da ogni interesse. Cito solo le parole di un grande mistico, Angelus Silesius, vissuto nel settecento. “La rosa è senza perché: fiorisce perché fiorisce. A se stessa non bada, che tu la guardi non chiede”.
Questa si chiama Gratuità pura. Dire che Dio è Padre e Provvidenza non significa forse svelare il volto più bello e affascinante della Gratuità divina?
Il «Padre nostro» non è solo stupenda invocazione corale o straordinaria contemplazione mistica. È la realtà quotidiana di una presenza che investe, nella fede, tutto il nostro vivere e sperare. L’oggi, e il domani. Ad ogni raggio di luce, o di notte quando sogniamo stelle mai stanche di farci sognare.
Cristo, oggi, mi mette in guardia non tanto dalle cose di questa vita. Nulla è male, se esce dal pensiero d’amore di Dio. E tutto è stato fatto, e redento, con sapienza e grazia.
Ogni cosa, al suo posto. E ogni cosa, a suo tempo. Così la sapienza antica. Così la nuova.
Ma non si deve vivere con l’ansia da cardiopalma per un domani già preteso nell’oggi, già tutto qui, nella mia corsa sfrenata ad affrettarne voglia, e possesso.
L’oggi e il domani sono il presente di Dio. E Dio non ha fretta. Ci chiede di camminare, con pazienza. Al ritmo di una libertà da conquistare giorno per giorno. Il Mistero d’Amore sa dare alla mia speranza di oggi serenità e gioia, il giusto peso delle cose, un animo pacato.
Il credente vive l’oggi di Dio, e spera. Senza affanno. Certo, occorre lottare perché l’oggi di libertà e di giustizia sia di tutti, anche e soprattutto dei più deboli e poveri. Ma la lotta del cristiano non è mai ribellione cieca, urlare al vento, odio di massa, pura vendetta.
Quante lotte per una giustizia tradita anche dal mio delirare invano!
E il Signore è qui, a dirmi: Fidati una buona volta di me! Guarda e ammira: non vedi campi pieni di turgide speranze e messi ridenti al cielo e all’uomo? Non vedi il verde ancora puro e fili d’erba cullati dal vento?
Il Signore riveste ogni cosa di luce e di calore, ed io me ne sto qui – chiuso nella mia avidità – arrabbiato con tutto e con tutti, a chiedermi angosciato: “E domani?”.
Il Regno di Dio è già qui, ora, ricco di ogni possibile libertà umana, e perché allora ci teniamo stretti sogni voraci, che svaniscono prima di sera, e ci culliamo dentro speranze già abortite?
E domani? Che ossessione, mio Dio!
E subito si è in cammino, travolti da voracità brucianti.
Non si ha più tempo neppure di fermarsi un istante a contemplare
l’albeggiare di un giorno nuovo.
Tutto è già affanno, al primo risveglio: subito in piedi,
col cuore gonfio di inquietudini.
E si è al tramonto, di primo mattino.
Odorare un fiore, stare in ascolto di un canto melodioso
non è richiamo di una Provvidenza promettente?
Perché allora caricarci di troppi domani,
se l’oggi ci può bastare?
Dacci il nostro pane quotidiano:
il pane per oggi, questo sì.
Il domani non è nelle tue mani, Padre celeste?
30 dicembre 2023
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