Omelie 2013 di don Giorgio: Solennità di Pasqua

31 marzo 2013: Giorno di Pasqua

Ionesco, scrittore e drammaturgo francese di origini romene, ha scritto: “Io voglio guarire dalla morte”. È il grido di ogni essere umano. È il sogno di ciascuno di noi, candidati alla morte, ma nello stesso tempo assetati di eternità.
Anche il passare del tempo è in parte un morire. Ma nel tempo che muore c’è un infinito che si avvicina.
“Io voglio guarire dalla morte”. Questo volere ha un nome: resurrezione!
Christian Bobin, altro poeta e pensatore francese, ancora vivente, ha scritto un testo, dal titolo Resuscitare. L’ha scritto dopo essere stato fortemente segnato dal lutto: l’amica Ghislaine, madre di tre bambine; qualche anno più tardi, il padre, malato d’alzheimer. In uno dei frammenti il poeta scrive: “Gli esseri viventi appaiono e scompaiono intorno a me come le colombe che escono dalle mani vuote di un mago. Ho un bel guardare queste mani con attenzione, non trovo alcuna spiegazione”. Resuscitare è allora per Bobin riconciliarsi con la propria vita e con la propria morte, riscoprire l’amore smisurato per la vita, obbedire al tempo cercando il bene nella quotidianità: “Il giorno in cui acconsentiamo a un po’ di bontà è un giorno che la morte non potrà più strappare dal calendario”. Sempre in Resuscitare Christian Bobin afferma che “non è stato ancora scritto quasi nulla sulla bontà, ed è per questo che alla scrittura resta un futuro immenso”.
Scrive don Mirko Bellora, sacerdote ambrosiano: «Due esperienze ci illuminano e lasciano in noi segni incancellabili. Entrambe sono imprevedibili e sorprendenti: un amore, una morte. Forse sono gli unici momenti in cui si impara veramente, poiché portano con sé lacrime e gioia e speranza e domande che ci superano, che vanno oltre ogni nostra capacità di risposta. È attraverso questi eventi che si può diventare più “intelligenti”, più capaci di leggere nel profondo, perché – paradossalmente – ci rendono ignoranti, ci tolgono quasi le parole di bocca. In fondo, Pasqua è tutto questo: un amore, una morte. Una morte per amore, un amore che arriva alla morte e la travolge. Una morte che annienta la morte. E di fronte alla Pasqua di Gesù di Nazareth, di fronte alla solitudine di Gesù, al suo essere tradito dagli amici più cari, davanti alla sua preghiera a un Padre che sembra muto, davanti al suo perdono, alla sua morte ingiusta, davanti a un sepolcro vuoto in uno splendido mattino, si rimane senza fiato, senza parole. Eppure tutto è già scritto lì: la nostra storia e la nostra speranza. Ma bisogna saper vedere, saper leggere, saper credere».
Scrive ancora Christian Bobin: «Parlare di Risurrezione significa entrare in un campo in cui tutte le parole iniziano a tremare. Sapendo di non sapere nulla, ciò mi risulta ancora più prezioso. In effetti è l’unico verbo di cui non conosco nulla, quasi per definizione. Dice una cosa che in un certo senso non esiste. È come una parola che cerchi di incarnarsi».
Ogni Pasqua, ogni domenica, cerchiamo di “dare carne” alla resurrezione. Quando diciamo o scriviamo o leggiamo certe cose, dovremmo anche dar peso a ciò che diciamo o scriviamo o leggiamo. Che significa “dare carne alla resurrezione”? Per “carne” s’intende tutta la nostra realtà esistenziale, secondo il significato dell’affermazione di Giovanni: “Il Verbo si è fatto carne”. Quindi, non solo la nostra vita è già resurrezione, non solo nella nostra esistenza umana c’è già il seme della resurrezione, ma la resurrezione stessa è carne umana.
A noi sembra – e talora siamo presi da un certo timore quando ci pensiamo – che il nostro vivere sulla terra sia come un pellegrinaggio verso la tomba. Come le donne del Vangelo che, tremanti nel cuore e nei loro passi, vanno verso il sepolcro, verso Gesù, il loro Maestro e Signore, morto: «Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Magdala e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro» (Mt 28,1).
È un pellegrinaggio silenzioso e lacerante di cui ciascuno di noi fa esperienza: quell’andare verso la terra, verso qualcosa che non c’è più, che ci sembra di aver perso per sempre. Ma c’è qualcosa che ci sostiene nel desiderio che non tutto è finito. È il desiderio, quasi la pretesa, di eternità. Ed è proprio quello che ci promette Gesù: tu non morrai! E quel pellegrinaggio verso la morte, si trasforma in un pellegrinaggio verso la vita… Perché cercate fra i morti colui che è vivo?
Vittorio Messori scrive: «Pasqua è il più grande evento della storia dell’universo. A riflettere sul suo significato, ci si sente mancare il fiato per l’incredibile verità che ci fa conoscere. Una verità che tocca ciascuno di noi negli interessi più reali, più “fisici”, in quanto Cristo ha promesso che anche noi tutti risorgeremo come lui. Eppure, forse, mai come nel nostro tempo, si parla poco di questo evento e del suo sconvolgente significato».
E allora che cos’è la Pasqua? Faccio mie queste riflessioni.
«Far Pasqua è nascere nuovi ogni mattina. Far Pasqua è temere di meno e sperare di più. Far Pasqua è gettare nel cestino della cartastraccia gli occhiali affumicati, i pensieri vestiti di lutto. Far Pasqua è scrollarci di dosso la polvere della stanchezza, della noia. Far Pasqua è non imbalsamare Cristo. Far Pasqua è spargere la vita, la gioia, la pace. Far Pasqua è organizzare la risurrezione del mondo».
Il pastore protestante Dietrich Bonhoeffer, ucciso in un campo di concentramento nazista, uno dunque che ha saputo vivere e morire a partire dalla resurrezione, un testimone credibile della verità della Pasqua, ha lasciato scritto queste parole indimenticabili che sono un invito potente per ciascuno di noi:
«Le persone religiose parlano di Dio quando la coscienza umana è giunta al limite (talvolta per pigrizia di pensiero) oppure quando le forze umane vengono meno… io vorrei parlare di Dio non ai confini, ma al centro; non nella debolezza, non nella morte e nella colpa, ma nella vita e nella bontà dell’uomo… La Chiesa non risiede là dove la capacità dell’uomo non ce la fa più, ai confini, ma in mezzo al villaggio. Certi cristiani, nella loro testimonianza religiosa, danno l’impressione di essere rimasti fermi al Venerdì Santo. Presentano il messaggio del Cristo con toni lugubri, severi, quasi rintocchi funebri… A sentir loro, si ricava l’impressione che Dio sia nemico della gioia dell’uomo. Che Dio quasi se l’abbia a male se qualcuno gode in questa “valle di lacrime”. Dio è il Dio della vita, non della morte. Dio è al centro della vita, non ai suoi margini».
È il mio augurio: che il Cristo risorto sia sempre al centro della nostra vita, e non ai margini; che Gesù risorto sia il nostro quotidiano compagno di viaggio. Potrà capitare a volte, come è capitato a Maria Maddalena e ai discepoli di Emmaus, di non riconoscerlo. Ma Lui cammina ugualmente e sempre insieme a noi, gioisce e soffre con noi, per noi.
Concludo con la preghiera di don Tonino Bello:
«Aiutaci, Signore, a portare avanti nel mondo e dentro di noi la tua resurrezione. Donaci la forza di frantumare tutte le tombe in cui la prepotenza, l’ingiustizia, la ricchezza, l’egoismo, il peccato, la solitudine, la malattia, il tradimento, la miseria, l’indifferenza, hanno murato gli uomini vivi. E mèttici una grande speranza nel cuore».

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