Omelie 2024 di don Giorgio: PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE
31 marzo 2024: DI PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE
At 1,1-8a; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
Credo che per tutti sia difficile, nel poco tempo di un’omelia, dire anche solo qualcosa di un Mistero che è il cuore del Cristianesimo, ovvero del Mistero pasquale, che in sintesi è: passione, morte e risurrezione di Cristo. Tale è stato il primo insegnamento degli apostoli, il cosiddetto “kèrigma”, o annuncio pasquale, ridotto all’essenziale.
Dunque, agli inizi del Cristianesimo si predicava solo questo: Cristo ha sofferto, è morto su una croce ed è risorto; tutto il resto, che troviamo nei Vangeli, verrà predicato successivamente. I cosiddetti Vangeli dell’infanzia, che troviamo in Matteo e Luca, sono nati molto più tardi. E negli stessi Vangeli troviamo quanta importanza sia stata data alla passione, alla morte e alla risurrezione di Cristo. Nel Vangelo secondo Marco, che è il più antico, la narrazione della passione ha una parte preponderante.
E diciamo subito che l’annuncio iniziale, strettamente pasquale (Gesù ha sofferto, è stato crocifisso ed è risorto) era già provocatorio: non bastava annunciare che Cristo era risorto, senza annunciare anche la sua passione e la sua morte, sapendo poi che parlare di passione e di morte per crocifissione era “follia” per i pagani e “scandalo” per gli ebrei, come ha scritto lo stesso apostolo Paolo.
Sta qui l’autenticità dei Vangeli: non aver edulcorato, addolcito, mitigato la Buona Novella: il suo cuore sta nel Mistero pasquale: Cristo ha patito, è morto su una croce ed è risorto.
D’altronde, come parlare di risurrezione senza la morte? Ma il problema non è tanto la morte in sé, inevitabile per ogni essere umano, quanto la violenza di un potere che condanna a morte un innocente. Pensate alla stessa Chiesa istituzionale che nel passato ha condannato al rogo migliaia e migliaia di eretici o di mistici ribelli.
E allora possiamo dire che, se la crocifissione di Cristo è stata una follia e uno scandalo per l’umanità, come lo è la morte di ogni innocente per colpa di un potere bestiale, lo è anche la risurrezione di Cristo in quanto parte del Mistero pasquale. Mi spiego.
Se la passione e la morte non si concludessero nella risurrezione che senso avrebbero? Che senso ha soffrire in questo mondo senza una speranza di risurrezione? Che senso ha lottare a vuoto per un mondo migliore?
Noi crediamo che ogni soffrire per una causa nobile abbia un senso, ma il problema è quel voler coprire con un manto di voluta ignoranza, da parte di una società in caduta libera, tutto un insieme di testimonianze (che eviterei di chiamare eroiche, per non ridurne il numero e l’autenticità degli spiriti più semplici), di un nobile passato che, forse anche per vergogna di confrontarsi con l’attuale società, si è offuscato lasciandoci nel buio.
Credere nella Risurrezione di Cristo è credere nella potenza vitale della sua passione e morte sulla croce. E attenzione: evitiamo di dire che Cristo ha voluto patire e morire su una croce per dimostrare solidarietà con il nostro soffrire e morire. In ogni caso, sarà sempre difficile comprendere il Mistero pasquale, da contemplare sì, con quella fede che mi affida a Dio in tutta la sua incomprensibilità umana.
Sappiamo che la parola “pasqua” in ebraico significa passaggio: per gli ebrei richiamava il passaggio dalla schiavitù egiziana alla libertà come popolo in cammino verso la terra promessa. Per noi credenti il passaggio è ancor più radicale: dalla morte alla vita, con tutti i significati più o meno profondi che la parola “morte” e la parola “vita” possono evocare.
Non per nulla abbiamo vissuto la Quaresima come periodo “favorevole” per un distacco anche fisico in vista del dono della Grazia, che si effonde e occupa necessariamente lo spazio libero dentro di noi. Insisto sul “necessariamente”. In una stanza che è tutta occupata da cose la luce del sole non può entrare, ma se liberate quella stanza e aprite le finestre la luce entra necessariamente.
La Grazia è già Risurrezione, che è Luce, ovvero Grazia: ogniqualvolta ci fa rinascere, dopo che abbiamo fatto morire quell’ego prepotente che ostacola ogni possibilità di dialogare con il Divino. Ho detto “possibilità”, sì perché il peccato più grave che possiamo commettere non è tanto un atto o un gesto che viola chissà quale legge, ma è mortificare le “possibilità” divine, che sono infinite.
Da mortificare invece dovrebbe essere l’ego, che deve morire, se vogliamo che la Grazia Luce ci faccia rinascere. Ogni giorno è rinascita, se ogni giorno ci apriamo alla luce della Grazia divina.
Il cardinale Carlo Maria Martini, in una trasmissione televisiva del 2009, “invitò” i suoi ascoltatori a “pensare” alla risurrezione di Gesù come a “un grande scoppio di luce, di vita e di gioia”. Notate le parole: “invitò”, ovvero chiese un atto di coraggio, sì perché ci vuole coraggio a chiedere l’attenzione di un pubblico abituato a sentire magari cose di poco conto; invitò a “pensare”, a riflettere, non basta chiedere al pubblico una certa attenzione, ma bisogna che l’attenzione impegni l’intelletto; non basterebbe un pensiero, e tanto meno freddo, calcolato, prudente, di fronte alle parole “un grande scoppio di luce, di vita e di gioia”.
E se già il nostro pensiero diventasse uno scoppio di luce, di vita e di gioia? Pensare in grande, pensare nobile, pensare in modo entusiastico, come una scintilla che si fa fuoco ardente. E poi ci chiediamo perché i cristiani siano così freddi, indifferenti, si comportino come se Cristo non fosse risorto. Il motivo è uno solo: il loro pensiero è debole, piccolo, ristretto, per non dire spento.
Si parla di gioia pasquale, secondo il detto “contento come una pasqua”, e poi la gioia si spegne subito perché non è sorretta da un pensiero che è come uno scoppio di luce e di vita.
Benedetto XVI la notte di Pasqua del 2006 descrisse la risurrezione di Cristo come «la più grande “mutazione”, il salto assolutamente più decisivo verso una dimensione totalmente nuova, che nella lunga storia della vita e dei suoi sviluppi mai si sia avuta: un salto in un ordine completamente nuovo, che riguarda noi e concerne tutta la storia».
La storia cambia, non da sola, ma se noi cambiamo. La storia è come noi pensiamo e ci comportiamo. Sì, dipende da come noi pensiamo e viviamo la risurrezione di Cristo, che non opera nella storia positive mutazioni o progressi nel Bene Sommo se gli stessi credenti non fanno il salto nell’ordine completamente nuovo dato dalla Risurrezione di Cristo.
Benedetto XVI parla della risurrezione di Cristo come di un salto nella novità divina. E Martini ci inviterebbe almeno a pensare.
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