Omelie 2023 di don Giorgio: NELL’OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE

31 dicembre 2023: NELL’OTTAVA DEL NATALE DEL SIGNORE
Pr 8,22-31; Col 1,13b.15-20; Gv 1,1-14
La Liturgia, in quest’ultimo giorno dell’anno civile (e ultima domenica), propone ancora il Prologo, un inno che non finisce mai di stupirci, che introduce il quarto Vangelo.
Tantissimi anni fa, quando la Messa era ancora in latino, me lo ricordo benissimo, ero giovane prete, ogni celebrante, al termine di ogni Messa, in ginocchio, davanti all’altare, recitava in latino tutto il Prologo, iniziando con quel In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Lo provano le cosiddette “cartegloria”, tabelle anche di valore artistico che erano disposte sull’altare maggiore, solitamente tre, tra cui quella che riportava appunto il Prologo del Vangelo secondo Giovanni.
Dicevo che, in questo ultimo giorno dell’anno, che càpita in domenica, la Liturgia ci propone ancora il Prologo, dunque da leggere e rileggere come ulteriore occasione per contemplare il Mistero della Nascita di Gesù, scendendo in profondità. Quasi un ulteriore richiamo perché non ci facciamo distrarre da ulteriori esteriorità formali di riti che di sacro non hanno nulla, o come ultimo tentativo per farci rinsavire, dopo una sbornia di facili sentimentalismi e di accomodanti gratificazioni umanitarie.
Vorrei però dire subito che il cuore del Prologo è il Logos, termine greco, tradotto in latino Verbum, in italiano Parola, che meriterebbe una particolare attenzione, proprio perché risale all’antico pensiero greco, quando il “logos”, termine presente negli scritti di Eraclito (vissuto tra il VI e il V sec. a.C.), pur con significati anche diversi, indicava anzitutto una mente, un ordine, un’armonia di origine divina.
Interessante notare come il primo brano della Messa, che fa parte del Libro dei Proverbi, parli della Sapienza personificata, come fosse una Divinità, che così presenta se stessa: «Io ero con lui (l’Onnipotente) come artefice ed ero la sua delizia ogni giorno: giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo». Quasi un’architetta/fanciulla!
Carlo Maria Martini, cercando di cogliere il senso più profondo, contenuto nel termine “logos”, anche per capire il motivo per cui l’evangelista Giovanni nel Prologo ha chiamato Logos il Figlio di Dio che si è incarnato, dopo aver riconosciuto che è una parola “disperante”, nel senso che ha più significati (può indicare la mente, la ragione, il conto della spesa, e molte altre cose estremamente disparate), dà una sua interpretazione, tenendo conto di ciò che aveva già intuito il filosofo greco Eraclito: il logos è “la ragione ultima d’essere della realtà”.
In altre parole: il Creato ha un suo senso che va colto in profondità, anche se è presente in modo talora oscuro da richiedere il nostro intelletto più attivo.
Da qui gli esempi sono molteplici: devo rispettare la natura, ovvero il creato, perché non posso venir meno o tradire il suo intimo senso, che è lo stesso Logos, o mente ordinatrice, quella mente che ha guidato il Creatore a donarci un mondo in sé meraviglioso.
Il Logos allora è la Sapienza che armonizza il tutto, e ci aiuta a cogliere, al di là dei particolari, il Tutto divino. L’uomo quando violenta la natura la violenta nella sua profonda armonia, nel suo logos: rompe l’ordine, frantuma quell’unità originaria, per cui il Creato è uscito dall’Uno divino e torna all’Uno divino.
Il quarto Vangelo comincia risalendo ancor prima dell’inizio del nostro tempo, spostando l’attenzione sull’Eternità divina. Per questo oggi, ultimo dell’anno, fermiamoci sul “principio”, consapevoli che, al termine di ogni attività, occorre tornare indietro, ricominciare, chiedendoci in verità quali sono le cose importanti compiute e quali sono quelle che tratteniamo perché pensate secondo Dio.
In questo giorno, comunemente detto “di san Silvestro”, papa, che ha avuto la sfortuna di morire il 31 dicembre (poveri santi così maltrattati!), siamo abituati a festeggiare e magari a “stordirci” come se in tal modo, stordendoci, potessimo dimenticare di colpo tutti i mali di un anno passato, augurandoci un nuovo anno tutto di felicità: in salute, in avere, in carriera, e così via. Proprio per non cadere in questo tranello, passando da disgrazie ad altre peggiori, è fondamentale custodire dentro di noi uno spazio in cui rendere grazie per quel “principio” che, nel corso dell’anno che si chiude, ha orientato ogni nostra scelta di bene, le parole pronunciate, i gesti compiuti. Innalzeremo così con gioia il nostro “Te Deum”, oggi forse sparito anche dalle nostre liturgie.
Ma la Liturgia della Chiesa di Cristo ci invita a ripensare proprio oggi alle parole del Prologo di Giovanni, che non ammettono traduzioni ridotte per evitare di farci provocare nel profondo del nostro essere.
E facciamoci un esame di coscienza: quante parole vuote, insulse ci hanno ormai abituati a farci ingannare: chi parla troppo ha l’intento di ingannare, il Logos è l’unica Parola che conta, l’unica parola necessaria.
Diciamo di più. Il Logos eterno, il Figlio di Dio, è Essenza silenziosa o Silenzio essenziale, che emette solo vibrazioni profondamente spirituali.
Et Verbum caro factum est, il Logos si fece carne: potremmo anche tradurre: il Logos si fece silenzio, zittendo ogni parola umana, per imporsi come Logos eterno che parla solo allo spirito nella sua purezza più radicale. La luce e la vita partoriscono nel grembo del nostro essere, quando tutto è fecondo silenzio nello Spirito vitale.
Il termine Logos traduciamolo pure “parola”, ma al singolare: è La Parola, unica e semplicissima, non molteplice o frammentata. Dire “Parola di Dio” è dire radicalità di un Dio che non ama le parole, perché Lui è la Parola solo da ascoltare, perché parla in sé in quanto parola, senza emettere alcun suono. Certo, diciamo che è voce, come unico brivido di un’Arpa celeste che incanta nel silenzio più profondo del nostro essere più puro.
Commenta Sant’Agostino: «Le parole che noi pronunciamo percuotono l’aria, e poi si disperdono… A forza di parlare, le parole pèrdono valore… C’è però anche nell’uomo una parola che rimane dentro: il suono solo infatti esce dalla bocca. È la parola che viene pronunciata automaticamente nello spirito, quella che tu percepisci attraverso il suono, ma che non si identifica con il suono».
Certo, il Logos si è fatto carne, ma per dirci che la carne umana, se non muore sulla croce, non può emettere lo spirito santo. Tutto ciò che Gesù di Nazaret ha fatto o ha detto non conta più nulla, se, come hanno fatto Marco, Matteo, Luca e Giovanni, non leggiamo i fatti e le parole di Gesù alla luce della Risurrezione.
Torno a ripetere: la Nascita di Cristo non conta niente, se il Logos eterno non si rigenera nel grembo del nostro essere. Solo da qui parte la rivoluzione che può trasformare, ribaltandola radicalmente, questa società che è alla deriva.

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