Omelie 2014 di don Giorgio: Festività di Tutti i Santi

1 novembre 2014: Festa di Tutti i Santi
Ap 7,2-4.9-14; Rm 8,28-39; Mt 5,1-12a
Nei primi secoli del cristianesimo, erano venerati solo i martiri: coloro che avevano versato il loro sangue, ovvero la loro stessa vita, per la causa di Cristo e del suo Vangelo.
Erano i tempi delle grandi persecuzioni, durante le quali i credenti venivano messi a dura prova, anche con la confisca dei beni, e torturati. Alcuni cedevano, per paura: erano i “lapsi” (parola latina che significa “caduti”); quando si pentivano, erano riammessi dopo penitenze nella Chiesa; ma se cadevano la seconda volta, rimanevano per sempre esclusi. Onorare i martiri era anche uno stimolo perché i cristiani non cedessero alle pressioni dei persecutori.
Passate le persecuzioni, la Chiesa iniziò a celebrare il culto anche dei “confessores”: coloro che avevano testimoniato in modo eroico la loro fede nel Signore, anche senza aver versato il loro sangue.
Forse ci siamo talora chiesti che senso abbia celebrare una festa in onore di tutti i santi. Ogni giorno la Liturgia ci offre un santo da onorare, come modello per la nostra fede. Talora succede che neppure sappiamo chi siano. Ma si tratta di un santo “canonizzato”, ovvero riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa cattolica. Non posso permettermi di celebrare una Messa in onore ad esempio di un mio parente o di un amico o di una persona che ritengo particolarmente degna di essere venerata. Celebro casomai una Messa in suffragio delle anime defunte.
Nei primi secoli del cristianesimo il culto per i santi era del tutto spontaneo, privato, anche locale, senza la necessità di una approvazione ecclesiastica. E questo durò fino all’inizio del Medioevo. Solo nel XVI secolo, papa Sisto V eresse la Congregazione dei riti e con papa Urbano, nel XVII secolo, venne data una regolamentazione più unitaria al processo di canonizzazione, che verrà poi in seguito modificato fino ai nostri giorni. In poche parole, il culto dei santi venne regolamentato dalla Chiesa, proibendo una venerazione spontanea e privata dei santi.
La festa di oggi, invece, ha proprio questa intenzione: è la festa di tutte le persone buone, di tutti i giusti, siano o non siano stati ufficialmente riconosciuti tali dalla Chiesa-gerarchica. Con la canonizzazione ufficiale, la Chiesa ne riconosce solo alcuni, talora nemmeno i più degni di essere venerati. Solo Dio sa quanti siano i suoi più intimi amici. La Chiesa quando canonizza un santo ha le sue regole, Dio ne ha altre.
In fondo, i santi riconosciuti dalla Chiesa, anche i più grandi, non ci commuovono quanto le persone da noi personalmente conosciute, parenti o amici, che ci hanno colpito per la loro particolare umanità, per la loro fedeltà al dovere quotidiano. Ci viene facile, istintivo ricordarli, tenerli presenti nei momenti difficili, e anche invocare il loro aiuto.
C’è una santità ufficiale, diciamo canonica, e c’è una santità popolare. È la santità popolare la grande energia vitale dell’Umanità. È dalla santità popolare che l’Umanità trae la forza per andare avanti. I grandi santi possono esserci di stimolo, di esempio, un modello di vita, ma fino a un certo punto. Sono le persone buone, sono le persone dabbene, sono i giusti che ci stanno vicino, e che magari non riusciamo a vedere, che sono come l’humus da cui la terra trae la sua linfa.
Tutti stimiamo San Francesco d’Assisi, ma quante parole inutili, quanta venerazione sterile! Ognuno lo tira dalla propria parte, e ne fa una bandiera. Forse ancora oggi non abbiamo colto la sua autentica profezia. In realtà, che cosa ci dice oggi questo grande santo, patrono d’Italia?
La Chiesa dovrebbe maggiormente puntare sulla santità popolare, che è fatta non di gesti eroici, ma del quotidiano servizio, umile e costante, per il bene di questa società, la quale non è una parola vaga o l’insieme anonimo di persone, ma è quel pezzo di terra che è la nostra esistenza. Qui, su questo pezzo di terra, noi tutti i giorni lottiamo, ci diamo da fare, siamo chiamati a servire. Santità popolare, santità del quotidiano, santità legata al proprio paese. Quanto è difficile stare sul posto, e lavorare per il bene comune! Non sopporto quella mania di uscire, di andare altrove, di sfuggire alla realtà locale.
E poi, diciamola tutta, la Chiesa con la canonizzazione dei Santi, propone chi entra nei suoi schemi, nelle sue direttive. La parola canonizzazione richiama la parola “canone”, che significa “regola”. Ci sono delle regole ben fisse per stabilire se uno è o non è santo per la Chiesa. Difficilmente la Chiesa canonizza i profeti scomodi, coloro cioè che sono usciti da certi canoni, che non hanno accettato di stare nel gregge, perché vedevano oltre gli steccati.
A me piace parlare di santità popolare, e anche di santità sregolata o “proibita”, o, meglio, di santità fuori dagli schemi comuni. Quante volte diciamo: è una brava persona, anche se non va in chiesa, anche se è atea. Che significa allora che una persona è ammirevole? Che significa essere onesti, buoni, rispettosi, aperti ad ogni valore umano?
La canonizzazione ufficiale della Chiesa Cattolica rischia di offuscare la santità che non è solo prerogativa della Chiesa cattolica, ma che appartiene a tutto il genere umano. C’è una santità universale, cosmica, al di là di ogni fede religiosa. Ci sono grandi santi fuori della Chiesa cattolica, e ci sono santi che appartengono alla Chiesa, ma senza per forza rientrare nei suoi canoni.
Il vero criterio per stabilire, casomai, se fosse necessario, la santità non è se questa persona è in funzione di una determinata struttura, ma il vero criterio è se uno serve l’Umanità, nei suoi valori che non appartengono a questa o a quella religione, ma sono valori che appartengono all’Umanità.
La santità popolare o la santità sregolata è proprio questa: riguarda quei valori che escono dai canoni rigidi, stabiliti da una struttura, la quale ha bisogno di eroi da sacrificare sul proprio altare.
La società ha un concetto falso di eroismo, così pure la Chiesa. L’eroismo popolare non ha nulla di eccezionale: è la fedeltà quotidiana al proprio dovere. Non si parla di diritti, ma di doveri. Uno agisce in forza di ciò che è. Se siamo esseri umani, dobbiamo comportarci da esseri umani. I diritti provengono dal fatto che siamo esseri umani. Quindi, prima il dovere, poi il diritto. La santità popolare consiste nel vivere nel migliore dei modi ciò che siamo: se siamo esseri umani, dobbiamo vivere da esseri umani. Dove sta dunque l’eroismo? In un gesto eccezionale, che esce dalla normalità?
La frase, attribuita a Bertolt Brecht: “sventurata quella terra che ha bisogno di eroi”, non è condivisa dalla nostra società e dalla stessa Chiesa che dice esattamente il contrario: “benedetto quel paese o quella religione che produce eroi”.
Credo invece che avesse ragione il drammaturgo tedesco: quando c’è bisogno di eroismo, vuol dire che la normalità non funziona, che la società è arrivata al punto limite, che la Chiesa è sul punto di affondare.
La società e la Chiesa hanno bisogno del bene comune, vissuto nella normalità del proprio dovere quotidiano. In loco, sul posto, in cui ciascuno di noi è chiamato a vivere.

1 Commento

  1. Lina ha detto:

    Condivido la sua omelia, che rispecchia appieno il mio pensiero. Quanti santi sconosciuti in Paradiso, persone che proprio nella loro normalità non hanno asservito Idoli, ma hanno vissuto appieno la loro UMANITA’, quell’umanità di cui GESU’ si è fatto esempio.

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