Omelie 2022 di don Giorgio: QUINTA DI QUARESIMA

3 aprile 2022: QUINTA DI QUARESIMA
Dt 6,4a; 26,5-11; Rm 1,18-23a; Gv 11,1-53
Se il tema della luce, anticipato nel Prologo, viene poi sviluppato nel quarto Vangelo con il racconto del miracolo che riguarda il cieco nato, il tema della vita, anche esso anticipato nel Prologo, viene poi sviluppato con il miracolo che riguarda la risurrezione di Lazzaro.
Due temi, quello della luce e quello della vita, che sono complementari, interdipendenti dando però alla luce la priorità come sorgente da cui scaturisce la vita.
Potremmo anche dire che la luce è come un grande infinito grembo in cui si genera la vita.
Solitamente pensiamo a un fascio di luce, e talora ci sta, dipende in che senso vediamo il fascio di luce: come qualcosa di extra che improvvisamente colpisce l’oscurità.
Ma la luce, ricorrendo a una immagine geometrica, è qualcosa di circolare, e il cerchio è simbolo dell’infinito che emette luce in un rincorrersi ininterrotto.
Da notare subito una cosa: i due miracoli non sono ricostruiti sullo stesso schema. Possiamo dire che Giovanni nei suoi racconti non si ripete mai. Rivede ogni evento sempre in una nuova luce. Ogni miracolo ha un senso tutto suo, da cogliere perciò al di là dello stesso racconto, il quale dice e non dice, fa intuire quel qualcosa di profondo, che è nascosto nel segno. Ogni miracolo è un segno, dietro cui c’è qualcosa di Divino.
Nel racconto del cieco nato si parte dal miracolo che riguarda la restituzione della vista fisica al cieco, per poi arrivare alla Fede come visione interiore del Divino. Il cieco può vedere con gli occhi del corpo, e soprattutto può vedere con gli occhi dello spirito. Gesù non compie mai un miracolo a metà, guarisce sì il corpo ma per risvegliare lo spirito che è nel corpo. Gli antichi dicevano che il corpo è nello spirito.
Invece, nel racconto della risurrezione di Lazzaro si parte dall’annuncio della grave malattia e della morte di Lazzaro per arrivare alle parole con cui Cristo urla: “Lazzaro, vieni fuori”.
Possiamo dire che il racconto del cieco nato si svolge tra due miracoli, quello della vista fisica e quello della vista spirituale, con tutta una serie di polemiche tra il primo e il secondo miracolo.
Invece, il racconto di Lazzaro procede in progressione, anche con importanti rivelazioni di Gesù, prima di arrivare al grande miracolo, che sembra quasi una logica conclusione di quanto Gesù aveva prima rivelato alle due sorelle, Marta e Maria.
Perciò, i due racconti vanno letti e interpretati in modo diverso, anche se i due temi, quello della luce e quello della vita, sono, come dicevo, complementari e interdipendenti.
E attenzione: anche se sembra più spettacolare il miracolo di Lazzaro, ciò non significa che sia più importante di quello che ha visto come protagonista il cieco nato.
Ho detto “attenzione”, sì perché dobbiamo andare oltre la spettacolarità del racconto della risurrezione di Lazzaro, leggendo tale miracolo alla luce della Risurrezione di Cristo.
Ho detto “alla luce”, ed è già una risposta. Gesù dice a Marta, sorella di Lazzaro: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?».
“Io sono la risurrezione”, ovvero io sono la Luce. Notiamo le parole “Chi crede in me, anche se muore, vivrà”. Prima, dunque, la Fede; e dalla Fede proviene la vita.
Fede, anche qui, non significa credenza religiosa, ovvero un insieme di riti o di gesti religiosi. Fede è quella purezza di porre fiducia in quel Dio che è purissimo spirito.
Credere significa: “apro gli occhi dello spirito e vedo Dio”. Chi vede Dio scopre la Sorgente della vita.
Ma c’è di più. Chi vede Dio, vive. A che serve scoprire una sorgente di acqua, se poi non mi disseto?
Fede è scoprire Dio, e dissetarsi di Dio.
Gesù dice: “Chi crede in me, anche se muore, vivrà”.
Forse quell’”anche” è un di più. I Mistici medievali direbbero: solo chi muore può vivere.
E prima dei Mistici medievali lo dicevano gli antichi filosofi greci: per Socrate e per Platone solo chi si distacca dal corpo vive. L’anima è come prigioniera del corpo. Il corpo soffoca l’anima o lo spirito.
Il distacco dal corpo è la condizione preliminare indispensabile perché lo spirito possa vivere.
Possiamo allora parafrasare così le parole di Cristo a Marta: chi crede in me – e può credere solo se muore, ovvero si distacca dalla carnalità – potrà vivere in intensità.
Certo, che significa vivere? Qui sta il problema.
Lazzaro è tornato in vita, fisicamente, ma poi sarà di nuovo morto. E allora che significato ha il miracolo di Gesù? Aver restituito a Lazzaro qualche anno di vita fisica?
L’abbiamo già detto: ogni miracolo è un segno che va oltre la fisicità di un gesto. Nel miracolo va colto quel Mistero divino che va oltre la carnalità del tempo e dello spazio.
Fin da piccolo, quando sentivo leggere, talora drammaticamente, le ultime parole di Gesù rivolte alla tomba: “Lazzaro, vieni fuori!”, mi commuovevo, anzi mi venivano i brividi, pensando anche all’urlo quasi violento di Cristo: “Vieni fuori”.
“Vieni fuori!”.
Fuori da che cosa? Dalla tomba!
E la tomba me la immaginavo in un certo modo: quasi una grotta di dura pietra, che oramai teneva prigioniero il corpo cadaverico di Lazzaro.
Si viene “fuori” da una tomba per entrare nella vita. Si viene “fuori” dalla tomba di una carnalità putrefatta.
In questa società carnale, il corpo è già morto! Eppure, non ci accorgiamo, e ci sembra di vivere. Sta qui il dramma: credere di vivere, e siamo morti.
“Vieni fuori!”.
Dunque, esci dalla carnalità putrefatta – anche se apparentemente dirompente, ma è tutta una finzione – per rientrare nella vita, che è dentro di noi.
Siamo fuori di noi stessi, e fuori si è come in una tomba, e Cristo ci urla di uscire dalla tomba di una esistenza cadaverica per rientrare dentro di noi.
Anche il cadavere di Cristo è uscito dalla tomba, ed è Risorto nella sua potenza divina.
Non più come corpo, ma come Spirito. Ed è nello Spirito che noi possiamo risorgere, già ora, in questa talora travagliata esistenza.
Cristo non ha detto a Marta: “Io sarò la risurrezione”, ma ha detto. “Io sono!”.
Già l’essere è una risurrezione.

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