Omelie 2017 di don Giorgio: QUINTA DOPO L’EPIFANIA

5 febbraio 2017: QUINTA DOPO L’EPIFANIA
Is 66,18b-22; Rm 4,13-17; Gv 4,46-54
La Bibbia spiega se stessa
C’è un principio basilare per studiare la Bibbia: “la Bibbia si spiega con la Bibbia” o, è la stessa cosa, “la Bibbia spiega se stessa”. La chiave per comprendere una parte della Bibbia è offerta dalla Bibbia intera. Se troviamo un versetto difficile, la spiegazione si troverà guardando in qualche altra parte della Scrittura.
C’è di più: gli eventi del passato, anche i miti (pensate al peccato originale, al diluvio universale, alla torre di Babele, ecc.), lungo la storia ebraica vengono in continuazione ripresi e interpretati alla luce dei successivi eventi, insieme alla verità divina che si rivela progressivamente, di esperienza in esperienza umana. In altre parole: Dio non ha detto tutto di se stesso, subito, fin dall’inizio, ma si rivela progressivamente: neppure Gesù Cristo si è rivelato del tutto, ma (l’ha detto lui) ha lasciato allo Spirito santo di svelare man mano per intera la verità divina. E questo avverrà fino alla fine del mondo. Quindi attenzione: nessuno, neppure la Chiesa cattolica, dovrà imprigionare nei dogmi la Verità. D’altronde, se la Verità è infinita, come possiamo dire di conoscerla già tutta?
Il vero culto e l’universo rinnovato
Ho fatto questa doverosa premessa per comprendere meglio il primo brano della Messa, che è la parte conclusiva del terzo libro di Isaia, i capitoli dal 56 al 66, scritto da un anonimo profeta vissuto durante la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme (dal 520 a.C. in avanti). Il capitolo 66 inizia con un ammonimento nel più puro spirito profetico: non basta ricostruire il tempio e riprendere le celebrazioni rituali dei sacrifici e delle offerte; è necessario convertirsi radicalmente e impegnarsi nella lotta contro l’idolatria e l’ingiustizia. Solo così si entra a far parte della nuova comunità. E la nuova comunità sarà l’Umanità rinnovata, dove ci sarà la confluenza di tutti gli esseri umani, in una conversione cosmica, senza più distinzioni di sesso, di razza, di religione.
La Torre di Babele e l’unificazione cosmica
Ed è qui che indirettamente viene richiamato il mito della Torre di Babele. Il brano di oggi inizia proprio così: «Così dice il Signore Dio: “Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria…”». Il Signore convoca in Sion, simbolo della città ideale di Dio, tutte le nazioni attraverso un segno: ecco confluire verso Gerusalemme un’immensa carovana proveniente dai paesi più lontani allora conosciuti. Con loro marciano in posizione d’onore i figli di Israele, ma la sorpresa è che il Signore sceglierà anche tra i paesi pagani sacerdoti e leviti, con un gesto universale di straordinaria larghezza. Ecco il “segno” della nuova era.
Che c’entra la Torre di Babele? Il racconto voleva simboleggiare il delirio di onnipotenza umana nel tentativo di sfidare Dio. Un racconto da non prendere alla lettera, ma come un mito, del resto presente presso tutte le religioni. Da sempre l’uomo ha voluto lanciare una sfida a Dio. Basterebbe già pensare ai nostri progenitori.
Ora vorrei chiarire come Dio ha reagito nel caso della Torre di Babele. Ci hanno sempre detto che il Signore ha annullato il folle tentativo introducendo lingue diverse, così da confondere gli uomini.
Il racconto (capitolo 11 della Genesi) inizia così: «Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole». Sembrerebbe che prima della sfida a Dio con la Torre di Babele esistesse un unico linguaggio. Ma non è così. Basterebbe leggere i capitoli precedenti. E allora come interpretare la punizione divina? La divisione o la pluralità delle lingue non va vista come una punizione, ma al contrario come una benedizione di Dio.
Con il racconto della Torre di Babele, l’autore sacro intendeva dirci una cosa, ovvero che il Signore ha punito il tentativo umano di imporre una uniformità come dominio. Allora la frase: «Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole» rivela la condizione di una umanità degenerata. “In realtà – osserva Enzo Bianchi – se c’è una parola unica, questa è la parola del più forte, del più potente, di colui che detiene il potere”.
Capite allora dove sta la forza del potere che vuole dominare tutto! Sta nel suo disegno che vuole essere unico, nella lingua che vuole essere unica. Anche oggi si parla di un disegno unico, di un pensiero unico che si vorrebbe imporre a tutti. Quel tentativo degli antichi di sfidare Dio con il linguaggio unico, imponendo un unico disegno sul mondo, è sempre attuale. Il problema, dunque, non è quello di capirci perché parliamo lingue diverse, il problema è quando parliamo lo stesso linguaggio, secondo un unico disegno, che è quello di un potere che vuole dominare il mondo.
Commenta don Angelo Casati: «Voler essere grandi, farsi un nome, svuotare il cielo, è l’anima del progetto. La logica che soggiace è la logica dell’onnipotenza, è la pretesa dell’immortalità. La logica non è “custodire il giardino”, il giardino dell’umanità, ma farsi un nome, avere successo, dominare sugli altri. La torre del controllo: tutto sotto controllo! Sembra di leggere qui l’origine di ogni razzismo, di ogni totalitarismo, di ogni soffocamento della diversità… Il Signore disse: “Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”… Un solo popolo, una sola lingua, un’unità che soffoca le diversità, un’unità che uccide l’immaginazione – il modello è unico, va globalizzato! – un’unità che è la propria lingua imposta a tutti: la lingua della propria religione, della propria cultura, della propria razza… E si dice: abbiamo fatto l’unità. Come quando in una casa parla uno solo. Dio smaschera questa unità, l’unità dell’unica lingua… L’ideale non è dunque un unico centro di potere religioso, politico, sociale, culturale, ma stare dentro la lingua mobile degli altri. La dispersione! Dio non vuole essere rinchiuso in una sola lingua, potremmo dire anche in una religione, se una religione tende a imprigionare Dio… Quando un uomo, una donna, un popolo diventa benedizione? Quando costruisce la torre, o quando discende? Al mito della scalata del cielo la Bibbia risponde con un Dio che scende e cammina: “sono stato con te dovunque sei andato” (2 Sam. 7,9). Risponde con la storia di Gesù, il Figlio di Dio, sceso nella carne dell’uomo. Davvero una benedizione».
Alla luce del mito fortemente didattico e simbolico della Torre di Babele, possiamo comprendere come intendere l’unificazione da parte di Dio di tutte le popolazioni mondiali, nell’armonia delle loro identità culturali, razziali, religiose e politiche.

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