Omelie 2018 di don Giorgio: EPIFANIA DEL SIGNORE

6 gennaio 2018: EPIFANIA DEL SIGNORE
Is 60, 1-6; Tt 2,11-3,2; Mt 2,1-12
Epifania, ovvero manifestazione o rivelazione
La parola “epifania” deriva dal greco e significa “manifestazione” o “rivelazione”. Ed ecco subito la domanda: l’episodio dei magi riportato da Matteo (l’unico tra i quattro evangelisti a narrarcelo) che cosa intende rivelarci?
Sappiamo che i Vangeli non sono narrazioni del tipo cronachistico o giornalistico, ovvero dei resoconti di ciò che Gesù ha detto o ha fatto, ma “rivelano” delle verità, perciò da scoprire al di là della cronaca. E talora, vedi ad esempio le parabole, le verità sono rivelate attraverso racconti fantasiosi.
Rivelare, attenzione alle parole!, non significa mettere un nuovo velo, ma il verbo deriva dal latino “re-velare”, ovvero togliere il velo. Nel caso dei magi, il primo velo da togliere è l’involucro storico di un racconto, con cui l’evangelista Matteo ha voluto simbolicamente rivelare una realtà divina, che perciò va colta in tutta la simbologia del mito.
Perciò, Matteo ha rivelato con una bella fiaba verità eterne, che però sembrano tuttora nascoste sotto l’involucro esteriore di un racconto, che è sempre stato letto e riletto in modo letterale, perciò dando un nome storico o geografico o fisico a elementi del racconto, che, essendo una fiaba, vanno invece interpretati in senso allegorico.
Perciò: l’oriente o Gerusalemme non sono da intendere in senso geografico; la stella non va intesa in senso fisico come un corpo celeste; Erode e i dottori della legge non vanno intesi in sento storico; i magi non sono personaggi da identificare come saggi o astronomi, ecc.  Tutto va visto in senso simbolico.
La parola “simbologia” indica quel mettere insieme dei pezzi o degli elementi che ci permettono di trovare l’armonia di un disegno o di un progetto. Perciò, in ogni racconto simbolico non bisogna soffermarsi  su un solo aspetto.
Quindi, la cosa importante da cogliere in ogni racconto allegorico o simbolico è l’insieme dei particolari, e i particolari servono per cogliere l’unitarietà del racconto.
Nel racconto di Matteo non dobbiamo soffermarci sui magi, o sulla stella, o su erode e tantomeno sui doni offerti dai magi. I doni sono l’aspetto meno importante del racconto.
Qual è allora il cuore del racconto di Matteo?
Tutto porta a quel Bimbo straordinario, che è Gesù di Nazaret.
Dovremmo già aver parlato, nei giorni scorsi, della nascita di questo Bimbo straordinario, soffermandoci a chiarire la realtà di una Nascita, che non è da intendere solo in senso puramente storico, ma di qualcosa che rivive nella realtà del nostro essere interiore. Il Natale è la nostra nascita e rinascita nella realtà dello spirito.
Non torno a ripetere cose già dette, ma mi preme ora evidenziare il fatto che siamo in cammino verso quel Bimbo, che non è più il Gesù di Nazaret, ma il Cristo della fede.
Cammino indica movimento, tendere verso, significa dunque ricerca.
Verbi di movimento
Cito volentieri e spesso un prete milanese, don Angelo Casati, perché anzitutto lo stimo, e poi perché dice cose sagge senza tenere gli occhi bendati, e infine perché mi sento con lui in sintonia su tante cose.
Ebbene, don Angelo scrive, a proposito del racconto dei magi: «Entriamo ancora una volta nel fascino di questo racconto che Matteo inventò, con colori e immagini stupende. E nessuno gridi al falso storico, perché Matteo ci passa qualcosa di più di una cronaca di alcuni magi. Ci passa la cronaca di una moltitudine sterminata, e a moltitudine si aggiunge moltitudine, di donne e di uomini. Cronaca dunque reale. Cronache dell’anima».
Dopo aver dimostrato che non è un racconto idillico, don Angelo scrive: «Questa è la storia – sbendiamoci gli occhi! – questa è la storia in cui si colloca il cammino dei magi, il cammino degli uomini e delle donne di tutti i tempi, il cammino della ricerca, dei pellegrini dell’Assoluto».
Dunque, è un racconto dove il cammino ha un’estrema importanza. I magi sono sempre in cammino, anche quando, dopo aver adorato il Bimbo straordinario, tornano nei loro paesi.
Cammino significa movimento, non essere mai fermi, statici, passivi. Si cammina, sempre: anche quando si è stanchi fisicamente, o si è avanti negli anni. Lo spirito non conosce soste, non conosce età, non conosce traguardi raggiunti.
Pensiamo al primo brano della Messa. Provate a contare i verbi di cammino o di movimento: “cammineranno i popoli… tutti costoro i sono radunati, vengono a te… vengono da lontano… verranno a te i beni dei popoli… tutti verranno da Saba».
Notate nel racconto di Matteo il contrasto tra il cammino dei magi, desiderosi di trovare il Bimbo straordinario, e la immobilità di Erode, dei sommi sacerdoti, degli scribi, della città di Gerusalemme. Per Erode, i sommi sacerdoti, gli scribi e la città tutto è scontato: c’è scritto! Ecco il potere che ha paura del nuovo! C’è scritto! Chiuso il discorso. È un dogma! Chiuso il discorso.
L’immagine della luce
Scrive ancora don Angelo Casati: «L’immagine della luce è legata al movimento e non  alla fissità. Paradossalmente dico, perché succede invece che si leghi l’immagine della luce, o se volete, della verità, alla fissità, alla codificazione: fanno le riunioni, consultano i libri, danno risposte, tutto da fermo, e non arrivano a quel bambino che è una verità viva, che cresce, non una verità rinsecchita, morta».
E anche qui pensiamo al primo brano: quanti riferimenti alla luce!. «Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te… Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te… Allora guarderai e sarai raggiante».
Dunque, non si possono scindere il cammino dalla luce. Se la luce è movimento, noi non possiamo stare fermi.
Don Angelo Casati, dopo aver den denunciato i falsi equilibri del potere, scrive ancora: «Quale contrasto con gli uomini che hanno il coraggio degli occhi aperti, il coraggio dei pensieri aperti, il coraggio delle parole aperte: “Al vedere la stella provarono una grande gioia” E a noi? Da che parte stiamo?».

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