L’anniversario della morte di Vittorio Arrigoni: qualche disagio e con una punta di polemica
di don Giorgio De Capitani
Da quando Vittorio Arrigoni è stato barbaramente ucciso nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 2011, ho sempre ricordato gli anniversari della sua tragica morte con un articolo e con un video, ma non mi sono mai limitato a ricordalo in occasione degli anniversari.
Quest’anno lo farò a modo mio, come sempre, ma stavolta con qualche punta di polemica.
Mesi fa, precisamente il 26 ottobre 2016, sono stato condannato dal Tribunale di Lecco.
Vorrei anzitutto ricostruire un po’ la vicenda, riproponendovi l’articolo, scritto bene, apparso la sera stessa su Merateonline, firmato G.C.
«È stato ritenuto colpevole del reato di diffamazione (secondo l’articolo 595 cp comma 1-3) per uno degli episodi contestatigli, risalente al maggio 2011, ma assolto per i fatti dell’anno precedente.
Era gremita l’aula del tribunale di Lecco nel primo pomeriggio odierno, quando il giudice Nora Lisa Passoni, poco dopo le ore 15, ha pronunciato la sentenza che ha chiuso il processo in primo grado nei confronti di don Giorgio De Capitani, residente all’epoca dei fatti a Monte di Rovagnate. Presente insieme ai suoi difensori, gli avvocati Emiliano Tamburini e Marco Rigamonti, il sacerdote era accompagnato da una decina di parrocchiani e amici, che hanno raggiunto il palazzo di giustizia lecchese per assistere all’esito della vicenda giudiziaria, scaturita dalle critiche rivolte dal sacerdote alla giornalista del Tg1 Grazia Graziadei. Al centro del procedimento infatti, vi è un servizio ritenuto ”di parte” dal sacerdote, relativo alla sentenza di condanna in Appello dell’allora senatore Marcello Dell’Utri.
Due gli episodi contestati dalla Procura di Lecco a don Giorgio De Capitani, a seguito delle querele presentate dalla giornalista della televisione pubblica; il primo risalente al 6 ottobre 2010 quando il religioso fece proprie le parole dell’attivista bulciaghese Vittorio ”Vik” Arrigoni, pubblicando sul proprio sito internet le considerazioni nei confronti del servizio della Graziadei riportate da Vik sul blog ”Guerrilla Radio”. E poi uno successivo: il 31 maggio 2011 don Giorgio tornò sulla vicenda ad una manciata di settimane dall’uccisione a Gaza di Arrigoni, ribadendo le proprie accese critiche nei confronti del servizio prodotto dalla giornalista e l’intenzione di andare avanti dal punto di vista giudiziario, per stabilire la verità.
Se il procedimento penale si è estinto alla morte del pacifista bulciaghese, è invece proseguito nei confronti del sacerdote. Dopo un primo passaggio in udienza preliminare al tribunale di Roma, quest’ultima aveva stabilito che fosse della Procura lecchese la competenza territoriale, con il fascicolo – inizialmente assegnato al giudice Gian Marco De Vincenzi – finito nelle mani del successore, la dottoressa Nora Lisa Passoni, dinnanzi alla quale lo scorso febbraio si è aperto il dibattimento, conclusosi questo pomeriggio.
Nella precedente udienza era toccato ai legali di difesa e parte civile argomentare le proprie posizioni – con tesi connesse alla libertà di stampa, di pensiero e ai suoi eventuali limiti – dopo la richiesta di condanna al pagamento di una multa di 3mila euro da parte del sostituto procuratore Paolo Del Grosso. […]
Al termine di una breve camera di consiglio, il giudice Passoni ha sentenziato la condanna di don Giorgio al pagamento di una multa di 500 euro – oltre al risarcimento del danno alla parte civile quantificato in 3mila euro e alle spese legali di costituzione in giudizio – per l’episodio del 31 maggio 2011, assolvendo invece il sacerdote dal capo di imputazione attinente il primo scritto, quello fedelmente riportato dal blog di Arrigoni, poiché il fatto non costituisce reato. Accolte quindi solo per metà, le tesi difensive sulla libertà di opinione.
Ora la difesa attende il deposito delle motivazioni, fissato in sessanta giorni, prima di stabilire se ricorrere eventualmente in Appello».
In sintesi, sono stato condannato per aver scritto, successivamente alla morte di Vittorio, qualche giorno dopo i suoi funerali, celebrati il pomeriggio del giorno di Pasqua, 24 aprile 2011, un articolo ritenuto offensivo” nei confronti della giornalista della Rai, Grazia Graziadei.
Certo, le emozioni avevano fatto la loro parte, ma soprattutto ero stato per così dire spinto a scrivere l’articolo “incriminato” da quanto mi aveva detto il signor Ettore, papà di Vittorio, appena mi aveva visto, quando ero andato a Bulciago per rendere onore alla salma del figlio (era il mattino del sabato santo, il giorno precedente i funerali). Più o meno le parole del signor Ettore erano: “Don Giorgio, è rimasto lei a difendere mio figlio…”.
Non mi giustifico, dico la verità, e la verità è una sola: ho forse esagerato nell’usare epiteti (schiava, schiavetta, leccaculo del potere) nei riguardi della giornalista, ma l’ho fatto per difendere l’onore di Vittorio anch’egli querelato, anche se in realtà non aveva avuto il tempo di ricevere di persona la querela.
Forse oggi è difficile ricostruire i fatti, le emozioni, il motivo di certi gesti, il perché, nonostante la querela, mi fossi di nuovo esposto contro la giornalista, ma il contesto è importante e determinante, e il giudizio di oggi non rende ragione delle mie ragioni di allora.
Avrei offeso la giornalista? Ma che ne sai tu, signora Giudice, di ciò che c’è nell’animo umano di chi vuole un mondo migliore? Mi fermo qui, perché altrimenti potrei beccarmi un’altra querela.
Ma vorrei dire altro, e lo dico con tanta amarezza.
Sì, sono stato assolto per il fatto di aver ripreso sul mio sito le dure parole e le immagini (prese dal mondo della prostituzione) usate da Vittorio Arrigoni nei riguardi della giornalista della Rai. Da quanto poi risulterà dalle motivazioni depositate dalla Giudice Nora Lisa Passoni, non sono stato giudicato colpevole perché, in sintesi, avrei ripreso le parole di Vittorio senza entrare nel merito dell’articolo, quasi mi fossi limitato a fare una rassegna stampa del tipo amatoriale. Il che significa che la mia assoluzione non è entrata nel merito dell’articolo di Vittorio. In altre parole, se fosse qui oggi Vittorio, sarebbe stato probabilmente anche lui condannato.
Vorrei aggiungere che più volte, prima del processo, i miei legali sono stati contattati perché io parteggiassi o anche semplicemente perché ritrattassi pubblicamente ciò che avevo scritto: in tal caso la querela sarebbe stata ritirata. Non ho accettato, pensando che in tal modo avrei tradito l’onore di Vittorio. Sì, potevo salvarmi da una eventuale condanna, ma non l’ho fatto.
Mi chiedo: perché nessuno ha colto questo mio disagio e la mia correttezza che mi ha portato poi alla condanna? Non ho difeso il mio onore, ma l’onore di Vittorio. Se ho offeso qualcuno, nel nostro caso la giornalista, l’ho fatto per onorare una causa, che era anche quella di Vittorio: la causa della veridicità dei fatti e della libertà di parola, da svincolare dal potere di turno (nel caso in questione, quello di Augusto Minzolini).
Siamo ricorsi anche noi in Appello per ottenere l’assoluzione anche per il secondo articolo, quello da me scritto, e per il quale sono stato condannato. Ma nello stesso tempo sono ricorsi in Appello anche il Pubblico Ministero e la Giornalista per ottenere che io sia condannato anche per il fatto di aver ripreso sul mio sito l’articolo ritenuto perciò “infamante” di Vittorio. Che succederà?
Di una cosa mi sento particolarmente amareggiato: dal giorno della mia condanna, il 26 ottobre 2016, non ho mai ricevuto fino ad oggi una parola di sostegno né da parte dei numerosi amici di Vittorio Arrigoni e nemmeno da parte della signora Egidia Beretta, madre di Vittorio. Vedo che è molto impegnata nel girare l’Italia per parlare del figlio “martire”. Non vorrei dire la mia su questa “enfatizzazione” del figlio. Sarebbe un lungo discorso che potrebbe degenerare in polemiche di troppo. Vorrei solo ricordare le sue prime parole dopo la notizia della morte di Vittorio: “Mio figlio non è un martire né un eroe, solo un ragazzo che credeva nei diritti umani”. Lei sa, signora Egidia, quante persone umili hanno lottato e stanno lottando per i diritti umani senza tanto chiasso?
Potrei anche fregarmene della solidarietà degli altri, e dire: “Sono a posto con la mia coscienza, ed è questo ciò che conta”. Ma… siamo umani, o no?
Trovo tutto questo paradossale, come se ci si trovasse di fronte a una farsa della giustizia.A parte il modo di esprimersi più o meno colorito, se non sbaglio nel nostro paese il reato di opinione non esiste più da un pezzo. Oppure per qualcuno è ancora in essere? Tra l’altro sappiamo bene che “l’amico Minzo” nel periodo in cui ha diretto il TG1 era solo il sicario di Silvio Berlusconi e tutta la redazione era composta da simpatizzanti del caimano sopravvissuti all’epurazione.
La diffamazione ancora sussiste nel codice penale.
Si tratta di valutare, come io ritengo, e come ritengono gli avvocati di don Giorgio, se norma implicitamente abrogata con l’entrata in vigore della costituzione, o meno.
A quanto pare il giudice di primo grado ha ritenuto che ancora sussista.
Bene avrebbe fatto la recente normativa in fatto di depenalizzazione ad abrograre la diffamazione eplicitamente, invece si è limitata all’ingiuria.
Peraltro a mio avviso di questo si trattarebbe, più che di diffazione, altro motivo, tra i tanti, per cui ritengo infondata la motivazione della sentenza.
APPUNTO!
Sugli aspetti legali non mi dilungo, avendo formulato una loro analisi in un commento ad altro articolo.
Colgo invece l’occasione per una riflessione filosofica, basata sul concetto di hortus conclusus.
Mi pare che oggi, non saprei dire se più o meno rispetto al passato, come dire…si tenda da parte di molti a vivere in ambiti separati dagli altri.
Ognuno per sè, con le proprie conoscenze, e via dicendo, anche quando, invece, alcuni interessi comuni suggerirebbero maggior sostegno reciproco.
Non conosco chi siano gli amici di Arrigoni o quale sia l’atteggiamento dei genitori, della signora Beretta ecc., ma da quello che leggo nell’articolo desumo, appunto, proprio il concetto che ho detto.
In altri termini, anche gli amici magari lo seguivano in certe battaglie, ma poi, forse, si disinteressvano di altri che pure facevano proprie quelle battaglie.
Ed allora, forse, gli stessi concetti usati da Arrigoni vengono in parte disattesi.
Don Giorgio ha tutta la mia solidarietà. Auguri per una Santa Pasqua
Mi associo al messaggio di solidarietà e agli auguri per la S.Pasqua, con un ringraziamento per la compagnia che ci tieni tutti i giorni, ogni volta con uno spunto di riflessione diverso.