Settimana santa, detta anche autentica

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Settimana santa, detta anche autentica

Inizia la Settimana Santa, chiamata anche Settimana autentica. Autentica in che senso?
“Autentica” è una parola che deriva dal latino autentikòs, a sua volta dal greco autentèo (da autòs, egli stesso, e entòs, che risponde al latino intus, in, dentro).
Allora possiamo dire che si tratta di una settimana che ha in sé un valore o valori, la cui garanzia sta in qualcosa di vero, ovvero di bene, che attinge al mondo del Divino.
Già dire che è la Settimana per eccellenza, in cui ogni anno si rivive nella Fede il Mistero di un Dio che si è fatto carne, e che ha patito, è morto, per poi risorgere è un forte invito per ogni credente perché prenda sul serio questa opportunità divina, che è Grazia da non lasciar perdere o sottovalutare.
Ho detto “ogni anno”, avrei dovuto dire ogni settimana, in quanto da quella Pasqua dell’anno 30 le settimane hanno preso un altro senso, non più come una quasi monotona ripetizione per 53 volte, tanto quanto dura un anno.
Ho sbagliato dicendo “quasi monotona!”: sappiamo che ogni settimana fa a sé, e tutto dipende anche dal periodo dell’anno, e sappiamo che ogni stagione ha le sue risorse e bellezze. Ma basta la natura o altro per darci quella carica di vivere intensamente ogni settimana, sapendo poi, come credenti, che non inizia col lunedì, ma con la domenica, Dies Domini, il Giorno appunto del Risorto.
Sì, ogni settimana inizia con il Giorno in cui Cristo è risorto, e risorge nell’eterno presente.
Tutto cambia: la settimana inizia con il Giorno del Risorto, e termina con la Domenica, come in un cerchio che però non è da vedere come qualcosa di chiuso, ma come una spirale sempre in progressione o verso l’alto o verso il basso (il Mistero divino è aperto a ogni immagine, di salita o di discesa, verso il cielo o verso il profondo di quel Pozzo divino richiamato da Gesù alla donna di Samaria.
Dunque, ogni settimana non è mai la stessa. Non è solo perché cambiano i tempi o le stagioni, gli umori o interessi della gente. C’è una Stagione, che tutti forse dimenticano, ed è la Stagione di Dio: quella dello Spirito, che non conosce né tempo né spazio. Il tempo e lo spazio limitano, lo Spirito ama muoversi in tutta libertà, come un vento, direbbe ancora Gesù come ha detto a Nicodemo, che “soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai dove viene né dove va”. Forse il nostro problema è che non ne sentiamo più nemmeno un filo di voce, e per sentirlo occorrono orecchi sensibilissimi, quelli dello spirito.
Vorrei proporvi una iniziativa, in vista proprio della Santa Pasqua. Quest’anno con Martina Viganò abbiamo organizzato una esposizione di dipinti con dei commenti, presso la cappella interna alla chiesa parrocchiale di Dolzago (Lc).
Il titolo, Dal “patir Dio” al “viver Dio”, più che accattivante sembra per un verso enigmatico e per l’altro curiosamente stimolante: che significa?
Se può essere almeno intuitivo il senso da dare al “viver Dio”, non lo è il “patir Dio”. D’altronde, “patire Dio” fa parte del linguaggio del mondo mistico medievale, che sappiamo quanto sia affascinante e profondo, come quel Pozzo dove Gesù ha incontrato la donna di Samaria: un Pozzo che da fisico si è trasformato in un Mistero tanto profondo quanto unico nell’offrirci l’acqua dissetante per la via eterna, ovvero nel donarci la Grazia infinita.
Abbiamo preparato un foglietto/depliant, tentando di spiegare il titolo della Esposizione dei nove dipinti a olio.
Eccolo:
Credo di non aver mai letto parole come queste, così radicali e così paradossali, da lasciarle però così come sono, per poterle gustare nella loro più radicale paradossalità, per evitare, spiegandole, di togliere il fascino della loro quasi blasfemica provocazione.
Il fascino della Mistica medievale è tutto nella sua reale assurdità, ed evitiamo di dire che è una assurdità solo apparente, perché in tal modo proveremmo un’altra delusione, proprio per essere stati ingannati.
Dunque, c’è un passaggio paradossale ma reale dal “patir Dio” al “viver Dio”, ma solo se l’identico unico Necessario, che è Dio, sia il nudo “oggetto” del nostro soffrirlo e il nudo “soggetto” del nostro viverlo, nella triplice realtà di corpo, psiche (anima) e spirito, di cui siamo costituzionalmente composti.
A parte i termini “oggetto” e “soggetto” da prendere con le pinze, Dio in quanto nudo “oggetto” è il necessario motivo del patirlo: allora si patisce Dio, nel senso che ci si deve distaccare da tutto ciò che non è Dio nella sua nudità essenziale, che è ciò che lo rende l’unico necessario.
Ciò esige delle rinunce, anche radicali, che comportano quella purificazione o quello spogliamento con cui ci si libera dell’appropriazione o “amor sui”, nel campo del volere, sapere e avere.
In quanto “soggetto”, Dio necessariamente è sempre aperto a effondere Se stesso nel nostro essere, che i Mistici chiamano anche irruzione divina.
Ciò non avviene di colpo: esige un cammino anche del tipo ascetico, ovvero con rinunce anche carnali ed emotive, che si impongono in modo sempre più radicale man mano ci si avvicina al “viver Dio”.
In ogni caso, non si tratta di un cammino da intendere in senso del tutto “lineare”, da un punto di partenza a un punto di arrivo: è invece un cammino diciamo “circolare a spirale”.
Ogni “patir Dio” come distacco porta a “viver Dio” nello spirito più puro. E ogni effusione in noi della Grazia divina esige ulteriori distacchi per ulteriori effusioni divine.
Possiamo allora dire: “patir Dio” e “viver Dio” si richiamano e si esigono a vicenda come quando più ci si disseta di Dio più si sente l’esigenza di tornare ad attingere acqua pura alla Sorgente dello Spirito; o, è la stessa cosa, ma con un’altra immagine, più si scende nel Pozzo divino, più ci si lascia affascinare scendendo a occhi chiusi nel fondo senza fondo, che è lo stesso Mistero divino.
Infine, il cammino dal “patir Dio” al “viver Dio” è di ogni singolo essere umano, ed è dello stesso Cristianesimo che, più si fa tentare dal farsi struttura come religione, più esige il “patir” quel Dio che non è un idolo religioso.
Se, come è scritto nel Libro “Atti degli apostoli” il Cristianesimo è “Odòs”, ovvero La Via, resterà sempre un impegno di conversione per far sì che “patir Dio” e “viver Dio” diventi la stessa cosa.
01 aprile 2023

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