Anche sul problema del lavoro lui riesce sempre a sorprenderci, dicendo proprio nulla!
di don Giorgio De Capitani
Neppure nel tono della voce cercasse almeno di migliorare un pochetto, non dico tanto: una persistente cantilena da assopire chi lo ascolta! Un sonnifero!
Vedi sul volto della gente lo sforzo per non distrarsi, per evitare di offendere un ministro di Dio, il quale però non fa nulla, proprio nulla, per attirare l’attenzione almeno di chi, per esserci, magari ha rinunciato ai propri impegni, ha percorso chilometri e chilometri, anche per assolvere un dovere istituzionale (pensate alle forze dell’ordine) per assistere ad un incontro, non cercato né desiderato ma imposto.
Niente, lui proprio fa l’indifferente, non si schioda dalla sua imperturbabilità disarmante: una cosa impressionante sentirlo pronunciare parole e parole, intervallate da qualche attimo di incertezza, suscitando magari un dubbio come se si trattasse di una specie di stratagemma comunicativo.
Ma il dubbio dura poco, perché si vede che arranca, tra lo scritto e un voler parlare a braccio, inventando una cosa davvero nuova: una tale fusione (l’armonia è un’altra cosa!) tra lo scritto e la parola, per cui il tono della voce è il medesimo, l’attenzione del pubblico è la stessa, in più il rischio che l’omelia possa durare il doppio.
Io mi chiedo: se tu, Delpini, stai parlando del sesso degli angeli oppure delle processioni trinitarie, nulla di male, tanto la gente se ne frega, non si sente per nulla coinvolta; ma se tu parli del mondo del lavoro a degli operai, preoccupati di come poter sfamare la famiglia, senza rinunciare alla propria dignità umana, come puoi parlare e non parlare, tergiversare, rifugiandoti nel solito discorso di fede, che è chiaramente un’evasione dalla realtà?
Io, operaio, avrei anche accettato un discorso su Dio, sulla preghiera, sulla necessità di guardare oltre il pane materiale – Cristo, rispondendo a Satana, cita un versetto del Deuteronomio (8,3): «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”) – ma il problema è che tu non hai detto nulla della Parola nutriente di Dio. Di cose da dire di veramente interessante ce n’erano, ma tu avevi la testa nel vuoto.
Chi conosce Simone Weil e le sue lotte sindacali, il suo coinvolgimento personale (ha fatto esperienze lavorative presso alcune ditte), sa quanto lottasse in difesa dei diritti degli operai costretti a lavorare in ambienti brutali, e sa anche la sua forte rabbia nel constatare che l’ambiente di lavoro costringeva l’operaio a non pensare. NON PENSARE! Non credo che oggi gli ambienti lavorativi, almeno qui in Italia, siano così brutali come ai temi della Weil, eppure neppure oggi il lavoratore trova il tempo per pensare. Questa è la tragedia!
E tu, Mario Delpini, parli di preghiera, come di un talismano per uscire da ogni crisi. Ma la vera crisi che riguarda l’uomo d’oggi, e dell’operaio, è la sua colpevole non volontà di PENSARE.
Questo dovevi dire. Con coraggio, con parresia!
Caro don Giorgio.
Per quanto i preti possano sforzarsi di ascoltare, di rimanere aggiornati, mi dispiace dirlo ma del mondo del lavoro non ne capiranno proprio niente. I media raccontano ciò che vogliono o meglio ciò che fa notizia, le persone solo un loro punto di vista. Per parlare di lavoro bisogna essere coinvolti; ieri ero nella mia chiesa e il celebrante (tralascio ogni commento) esaltava la solidarietà tra i dipendenti delle aziende in crisi. Di cosa sta parlando? Forse di sporadici casi in cui tutti erano toccati da forme di riduzione di stipendio. La normalità è dire “MENOMALE” quando la cassa o la solidarietà tocca ad altri e non a noi. Parliamo dei manager, che prendono lauti stipendi fino all’ultimo giorno di vita dell’azienda senza essere mai toccati da alcuna riduzione. Ma di cosa state parlando? Parlate di Vangelo, teologia, morale….ma dei luoghi dove non avete mai messo piede abbiate la decenza di stare zitti. Superbi e ipocriti!
Quando mi appare Delpini sul TG Regionale non so perchè ma mi vien da ridere. Con un po’ di “umiltà” (parola forse difficile per lui) bastava che rileggesse la “Laborem excercens”. Avrebbe trovato qualche spunto: “Ancora una volta va ripetuto il fondamentale principio: la gerarchia dei valori, il senso profondo del lavoro stesso esigono che sia il capitale in funzione del lavoro, e non il lavoro in funzione del capitale”. Poteva sviluppare un commento dicendo che “si sviluppa così una gerarchia di valori in cui il capitale è per il lavoro, e il lavoro è per la persona” (Martini). E dare un significato della preghiera sul lavoro attraverso il salmo 90: “Signore, rafforza per noi l’opera delle tue mani”. Forse chiedo troppo a Delpini?