Il messaggio di Mons. Francesco Savino per il primo maggio

da https://www.diocesicassanoalloionio.it

Il messaggio di Mons. Francesco Savino

per il primo maggio

IL LAVORO OGGI
1 Maggio 2024
Festa dei Lavoratori
Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia
ed è ancora per molti tormento,
tormento di non averlo, tormento di fare un lavoro
che non serva e non giovi a un nobile scopo.
L’uomo primitivo era nudo sulla terra, tra i sassi,
le foreste e gli acquitrini, senza utensili, senza macchine.
Il lavoro solo ha trasformato il mondo
e siamo alla vigilia di una trasformazione definitiva.
Adriano Olivetti
La prospettiva ecclesiale sul primo maggio è specifica e si inserisce nella polifonia di una società civile e democratica con particolare attenzione alle gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce di tutti, ma in particolare dei poveri e di chi non ha voce. Ciò chiede di scavare nei numeri e nelle statistiche con cui lo sviluppo economico è generalmente analizzato, per cogliere se il progresso che una società coltiva è integrale e inclusivo.

1. I dati

I dati più recenti mostrano una crescita dell’occupazione, soprattutto quella definita «buona» perché a tempo indeterminato: quasi 500mila posti fissi in più nel 2023. Il tasso di occupazione raggiunge il 61,9%. Ciò però in un contesto di partenza molto basso, per cui siamo del 13% al di sotto della media europea. I motivi sono legati al divario territoriale, di genere e all’elevato numero di Neet.
La buona notizia del calo dei Neet non è compensata dai dati ancora negativi circa la partecipazione femminile e la disoccupazione giovanile (non scende mai sotto il 20%), di cui vantiamo il triste primato a livello europeo. Un altro paradosso è che l’occupazione cresce più del Pil, il che fa supporre diverse concause: l’effetto bonus nell’edilizia ha trainato la ricerca di lavoratori e c’è una corsa delle imprese ad accaparrarsi i lavoratori per timore di rimanere scoperte (skill shorage). Non è improbabile che ci sia anche un fattore legato ai lavori meno produttivi e a retribuzioni più basse. C’è più occupazione ma di qualità inferiore quanto a stipendi e riconoscimenti salariali. Ciò fa dubitare che siamo in situazione di consolidamento dell’andamento positivo dal punto di vista occupazionale. Lo testimonia la disuguaglianza sociale ancora molto presente nel nostro Paese e che spinge verso fenomeni come le dimissioni dal lavoro e il lavoro povero. La crescita occupazionale è fatta per lo più con lavoro povero e con salari bassi.
L’altro paradosso è che in alcune zone del Paese e in alcuni settori si fatica a trovare il personale necessario. L’inverno demografico non crea ricambio, ma anche l’arretratezza del sistema formativo e scolastico non aiuta. Non abbiamo una struttura adeguata in grado di far incontrare domanda e offerta attraverso l’intermediazione del sistema formativo.

2. Il lavoro povero

Il fenomeno dei lavoratori poveri è segnalato dalla stessa Caritas e rafforzato dai dati. Il salario netto mensile medio di un lavoratore italiano nel 2023 è pari a 1.600 euro. L’ultimo rapporto Istat, presentato a metà dell’anno scorso, indicava in 27mila euro la retribuzione lorda annua, che a fronte di un’inflazione cumulata nel biennio pari al 15% è cresciuta del 6,5%, con una perdita di oltre 8 punti. Per un nucleo familiare monoreddito, con un mutuo variabile, la rata mensile, quasi raddoppiata in relazione alla crescita dei tassi d’interesse, ha comportato una perdita cumulata tra mancato recupero del potere d’acquisto e costo del mutuo di circa 6.000 euro. In Europa i salari tedeschi e francesi crescono di 15mila e 12mila euro, quelli italiani sono diminuiti a parità di potere d’acquisto di circa mille euro. Ciò significa che da noi il salario reale vale meno di 30 anni fa.
Il contesto è di disuguaglianze sempre più radicali e spiccate. In Italia il 10% delle famiglie più ricche ha visto crescere le proprie ricchezze anche in questo ultimo biennio. Gli extra profitti degli ultimi anni tra imprese energetiche, farmaceutiche e bancarie sono stati stratosferici. Nelle sole banche, ci sono stati oltre 24 miliardi di profitti aggiuntivi, grazie ai tassi d’interesse.
Circa 6 milioni di lavoratori non arrivano a 12mila euro l’anno, con una crescita forte del part-time involontario, che vede coinvolte soprattutto le donne con minimi contrattuali al di sotto dei 9 euro l’ora. Torna il dibattito sul salario minimo, almeno a garanzia dei lavori più fragili.
Non si deve dimenticare che circa 3 milioni di lavoratori operano nel lavoro sommerso, in nero, non tutelati e senza il rispetto dei contratti di lavoro.
Qualcuno sottobanco deve restituire parte dello stipendio ricevuto in busta paga secondo contratto. L’Italia conserva il primato negativo europeo di oltre 90 miliardi di evasione fiscale. Il tema della legalità è quanto mai attuale.

3. Le proposte

Le proposte necessarie devono muoversi a diversi livelli. Occorre avere il coraggio di tenere insieme la necessità del salario minimo per rispondere al lavoro povero, ma anche rafforzare la contrattazione nazionale per dare risposta a categorie che hanno contratti scaduti da anni, non rinnovati e tanto meno aggiornati al costo della vita. Il contratto nazionale rappresenta lo strumento principale per tutelare il salario reale. Per un’economia sana è indispensabile che i salari siano in linea con l’inflazione reale e con la produttività redistribuita al lavoro.
Altra iniziativa indispensabile è un investimento forte sulla formazione per colmare il mismatch tra domanda e offerta in alcuni settori produttivi. Serve una mentalità che viva la formazione come parte costitutiva dell’iter lavorativo di una persona. Si apre tutta la discussione circa l’utilizzo delle tecnologie e dell’IA. Lo smart working ha conosciuto un boom nel periodo pandemico, ora si attesta su dimensioni significative, ma non ha ancora raggiunto un equilibrio circa il diritto di disconnessione, di giusto salario in base alle ore effettivamente lavorate e di dimensione comunitaria che talvolta appare deficitaria.
Prendono sempre più piede i Gig-Worker: sono i lavoratori collegati a una piattaforma digitale. Nel giro di due anni in Europa potrebbero crescere esponenzialmente da 28milioni a 43milioni.
Il lavoro è al cuore delle transizioni del nostro tempo: ecologica, digitale e demografica. Se si vuole abitare queste transizioni occorre mettere al centro il lavoro. C’è bisogno di un ricambio intergenerazionale; occorre avere il coraggio di guardare alle tecnologie come strumenti necessari per liberarci da mansioni pesanti e oppressive verso nuovi lavori; è necessario tener conto della tutela ambientale e del risvolto energetico per un passaggio convinto alle rinnovabili (profezia delle CER). È questa la stagione giusta per potenziare competenze tecnologiche e nuovi sistemi di organizzazione del lavoro. Gli investimenti devono poter far fiorire uno sviluppo sostenibile. Il futuro passa da qui.

4. La grande sfida

Tutto questo, in conclusione, rinvia a un’attitudine che la Chiesa in Italia avverte tradizionalmente come propria, ma nella quale sa di non essere sola. Si tratta di quel primato dell’educazione che dovrebbe orientare gli investimenti pubblici e privati nella prospettiva di un nuovo umanesimo. Alla formazione tecnica un Paese come il nostro non può non coniugare ininterrottamente, sfidando persino il senso comune, l’approfondimento di quell’humanitas da cui vengono immaginazione, creatività, cultura democratica, visioni di futuro all’altezza delle sfide che abbiamo di fronte. Il Mediterraneo è un mare di cultura che, con tutti i suoi drammi, deve trasformarsi in una porta di speranza. L’intero mondo del lavoro può farsi attraversare da questa consapevolezza e guadagnarne respiro e nuove idealità.
✠ Francesco Savino
Vescovo di Cassano all’Jonio
Vicepresidente Conferenza Episcopale Italiana

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