Un’anima per l’Europa

da rivista.vitaepensiero.it

Un’anima per l’Europa

01.06.2024
di Antonio Campati
Per molti osservatori, gli esiti delle elezioni europee che si terranno il prossimo fine settimana assumeranno un peso maggiore rispetto a quelle delle legislature precedenti. In effetti, il contesto geopolitico internazionale richiede che l’Unione europea sia sempre più capace di acquisire una fisionomia ben marcata, che concretamente significa fissare degli obiettivi di medio-lungo periodo rispetto a questioni cruciali e lavorare per raggiungerli. Per fare ciò è necessario che dal prossimo parlamento emerga una maggioranza coesa, quindi legata da un programma coerente e pronta anche a sostenere cambiamenti significativi nei meccanismi di funzionamento delle diverse istituzioni europee. È una previsione realistica?
Proviamo a fare una riflessione distinguendo il livello italiano e quello europeo, senza tentare di dare una risposta compiuta all’interrogativo appena espresso, ma lasciandoci provocare da esso.
A livello nazionale, ancora una volta, la campagna elettorale è alimentata da diatribe interne alle coalizioni e ai partiti. Purtroppo non è una novità e, per molti versi, è inevitabile che sia così. Innanzitutto, per via della legge elettorale proporzionale che spinge i singoli partiti a enfatizzare sempre di più le loro battaglie identitarie (talvolta anche con un eccesso di fanatismo) e quindi ad alzare il livello di scontro tra di loro e al loro interno, dove competono singoli candidati alla ricerca del maggior numero di preferenze individuali. La logica – lo ricorderanno i più anziani – è quella che ha orientato in larga parte le dinamiche della cosiddetta Prima Repubblica, seppur in un contesto molto differente, a partire dal livello di organizzazione territoriale dei partiti.
A proposito di questi ultimi, essi sono comunque organizzazioni nazionali, seppur collegate a gruppi parlamentari europei. Poteva avere un senso – almeno come esperimento – la proposta avanzata dopo l’uscita dalla Gran Bretagna dall’Unione che prevedeva di assegnare i seggi inglesi attraverso liste o comunque competizioni transnazionali, in modo da individuare dei parlamentari che effettivamente rappresentassero il «popolo europeo». Inoltre, in Italia – e similmente in altri Paesi – la competizione si gioca soprattutto a livello personale, in uno scontro esasperato ed esasperante tra leader dei partiti, il cui esito è spesso ridotto a (ri)definire il loro destino personale.
In tutto ciò, le rilevazioni demoscopiche evidenziano un’accentuata polarizzazione tra i cittadini italiani rispetto alle sorti delle istituzioni europee: ci sono fette della popolazione che sono fortemente pro-Europa e altre con idee diametralmente opposte e spesso le linee di frattura sono legate al titolo di studio, alla provenienza geografica, alla posizione lavorativa.
A livello internazionale, il ruolo dell’Unione europea, soprattutto a partire dalla guerra in Ucraina, è potenzialmente cruciale, sia geograficamente che politicamente. Ma le incognite sono molte. Per quanto riguarda la composizione del prossimo parlamento, i sondaggi non preannunciano cambiamenti dirompenti ma, come ci indicano alcuni studi sul comportamento elettorale, non pochi cittadini potrebbero decidere per chi votare negli ultimissimi giorni, talvolta persino all’interno della cabina elettorale, e quindi una calcolata prudenza è necessaria. Rispetto alle strategie di lungo periodo, è possibile avanzare qualche auspicio più preciso: non sarebbe sbagliato se le istituzioni europee nel loro complesso (quindi non solo il parlamento) iniziassero a ragionare seriamente, senza retorica e con impegni concreti, sulla possibilità di cooperazioni rafforzate su alcuni temi, primo tra tutti la difesa comune. Proprio per lo scenario internazionale così complesso e delicato, uno scatto in avanti su questa materia sarebbe auspicabile, il che non significa inseguire improbabili progetti utopici, ma affrontare con coerenza le urgenze che impone la realtà.
I risultati delle prossime elezioni europee ci diranno in termini quantitativi se la distanza tra le istituzioni europee e i cittadini europei è aumentata o se si è ridotta. Potremo estrapolare qualche risposta innanzitutto dal tasso di partecipazione al voto e poi anche (seppur in maniera meno evidente) dal consenso che verrà dato alle forze politiche apertamente euroscettiche. Oltre ai numeri, però, non possiamo nascondere il fatto che – ormai da diversi anni – ad essere in crisi è il «progetto europeo»: questa formula indica la difficoltà nel riconoscere quale sia, oggi, il corpus ideale e valoriale che anima la vita di istituzioni importanti come quelle europee. Ce ne accorgiamo quando osserviamo le reazioni alle crisi che si verificano periodicamente: talvolta le risposte sono immediate e convincenti, altre volte titubanti, altre ancora totalmente inefficienti. Si dirà che tutto ciò fa parte del ciclo di vita delle istituzioni, ma ogni volta sembra mancare un sostrato comune. In altre parole, la soluzione che viene trovata è quasi sempre figlia di un compromesso, che è indispensabile per far vivere le istituzioni, ma che non può esserne la ragione costitutiva.
Chi dunque deve attivarsi per rinvigorire il progetto europeo? I passi avanti ci sono stati: le istituzioni hanno messo in moto iniziative per ridurre lo storico deficit democratico che le caratterizza (si pensi alla Conferenza sul futuro dell’Europa), i partiti politici, nonostante tutto, tentano di promuovere iniziative realmente europee (specialmente attraverso i think tank di riferimento), la società civile si impegna in iniziative di partecipazione dal basso, soprattutto rivolte alle giovani generazioni. Le iniziative funzionali sono tutte importantissime, ma è forse ancor più importante ritrovare l’anima del progetto europeo, cioè le motivazioni di fondo che spinsero i padri fondatori a creare le prime forme istituzionali di cooperazione: la promozione della pace, della democrazia e della solidarietà tra i popoli. Non è retorico ricordare, specie in questi mesi, che un progetto politico – per resistere nel tempo – deve fondarsi su valori e ideali e non solo su procedure e direttive.

Antonio Campati

Antonio Campati è ricercatore di Filosofia politica presso la facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove collabora con Polidemos (Centro per lo studio della democrazia e dei mutamenti politici). È membro del comitato editoriale della «Rivista italiana di filosofia politica», di «Power and Democracy» e del «Dizionario di dottrina sociale della Chiesa». Fa parte delle redazioni di «Rivista di politica» e «la Società». I suoi interessi di ricerca vertono principalmente sulle trasformazioni della rappresentanza politica e sul ruolo delle élite e dei corpi intermedi all’interno delle democrazie. Su questi temi ha scritto diversi saggi apparsi su riviste e volumi collettanei.

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