1 giugno 2025: DOPO L’ASCENSIONE
At 7,48-57; Ef 1,17-23; Gv 17,1b.20-26
Per comprendere il primo brano della Messa, preso dal libro “Atti degli Apostoli”, bisogna almeno dire qualcosa sul contesto. Si parla di Stefano, uno dei sette diaconi scelti dagli Apostoli tra gli uomini “di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza”, con l’incarico di servire la mensa dei poveri, così da lasciare agli Apostoli più spazio e più tempo per dedicarsi alla preghiera e all’annuncio della parola di Dio.
Pensate: già agli inizi del Cristianesimo gli Apostoli avevano capito di non cadere nel pragmatismo, pur lodevole, di opere assistenziali che li avrebbero distolti dal loro principale dovere: annunciare, pregando, la Buona Novella.
Ma questi uomini retti e saggi – verranno poi chiamati “diaconi” dalla parola “servizio”, in greco diakonìa – tra l’altro (pensate che apertura già a quei tempi!) i nomi dei sette rivelano un’origine greca, diciamo ellenistica, dunque vivevano fuori dalla Palestina, di per sé non avevano solo un compito assistenziale, ma anche ministeriale, ovvero anch’essi erano impegnati nell’opera di evangelizzazione. Pensate proprio a Stefano, a cui possiamo aggiungere Filippo.
Il brano di oggi, dunque, parla di Stefano e del suo martirio. Agli ebrei non importava tanto la sua attività assistenziale (anche i pagani e gli ebrei pensavano ai poveri, assistendoli: nulla di nuovo!), invece ciò che era insopportabile per un ebreo, e lo sarà anche per il paganesimo, era l’annuncio della Buona Novella, che stava sconvolgendo ogni religione, a partire da quella ebraica, sottoposta come religione a un duro attacco, iniziato dallo stesso Gesù Cristo, messo su una croce per il suo messaggio rivoluzionario, e non per le sue opere miracolose. Se Gesù era contestato, lo era casomai perché compiva i miracoli in giorno di sabato. Ma soprattutto fu contestato perché annunciava (pensate al Discorso della Montagna) qualcosa di assolutamente nuovo. Ecco la frase ricorrente: “Fu detto agli antichi… ma io vi dico…”. Notate: “Io vi dico”. Io! Lui, Cristo, in quanto persona talmente autorevole da attingere la stessa autorevolezza alla Sorgente trinitaria.
Pensate al primo annuncio, appena Cristo si presenta in pubblico: “Convertitevi!”, ovvero, secondo l’originale greco, “Metanoèite”, cambiate il vostro modo di pensare. Immaginate la scena: Cristo che urla: “Cambiate mente”, voi state sbagliando a pensare Dio in un certo modo! Già Giovanni aveva parlato di conversione, ma la intendeva in senso moralistico, etico, nell’ordine degli atteggiamenti o nel modo di comportarsi, ma questo lo dicevano anche i pagani. Dire invece: “Cambiate il vostro modo di pensare” questo sì che era sconvolgente, anche se già gli antichi pensatori greci lo avevano detto. Ma tutto era caduto nella dimenticanza, come succede sempre, quando si ha a che fare con qualcosa di assolutamente nobile.
Scusate se insisto. Il Cristianesimo fa paura, sconvolge gli animi, viene osteggiato non per le sue opere assistenziali: anzi, Comuni e Stato ringrazieranno sempre preti o cristiani che si impegnano nelle opere caritative, dando loro anche delle onorificenze, dato che né Comuni né gli enti statali si preoccupano delle opere assistenziali, impegnati come sono a fare tutt’altro.
Il Cristianesimo fa paura ed è combattuto, quando si presenta nella sua purezza di spirito, e spirito significa intelletto, luce.
Notate allora il primo brano della Messa, che ci presenta il martirio di Stefano.
Diciamo subito che l’episodio di Stefano segna una svolta, una tappa determinante nella storia della Chiesa primitiva: la nuova accusa rivolta al Cristianesimo è quella di sconvolgere i fondamenti della religiosità ebraica. Stefano viene accusato appunto di mettere in crisi il Tempio e la Legge, i due pilastri dell’ebraismo. Ed ecco il fatto. Un gruppo di ebrei ellenisti residenti a Gerusalemme, i “liberti” (ex schiavi o figli di schiavi asserviti dai Romani all’epoca della conquista della Palestina, 63 a.C.) si oppone alla predicazione di Stefano e, per farlo tacere, ricorre alla calunnia (antichissimo metodo, sempre attuale, per far fuori i nemici, usato anche al tempo della Inquisizione!) e sparge la voce che il discepolo del Nazareno bestemmia Mosè e Dio stesso. Condotto davanti al Sinedrio (l’organo di governo e tribunale supremo ebraico, composto da 71 membri, che aveva il compito di emanare le leggi, gestire la giustizia e garantire il rispetto della legge di Mosè), Stefano viene accusato di denigrare il Tempio e la Legge. Da notare una cosa: tutta la vicenda è tratteggiata da Luca con alcuni spunti che ricordano il processo e la morte di Cristo, per evidenziare (cosa costante nel libro degli Atti) la continuità tra Maestro e discepoli.
Prima ho detto che ad accusare Stefano c’erano anche alcuni “liberti”, ex schiavi. Una riflessione. Pensavano di aver ottenuto la libertà totale, e invece sono riamasti ancora con le mani legate, nel profondo di loro stessi. L’attualità di questo passare da una schiavitù all’altra è di grande attualità. Liberi fuori, e schiavi dentro.
Stefano, secondo il racconto di Luca, tiene un lungo discorso in sua difesa. Un discorso tutto intessuto di citazioni dell’Antico Testamento, per far capire quei giudei inferociti che già Mosè ebbe a patire gravi opposizioni e anche quando il Tempio fu costruito da Salomone con grande magnificenza, Dio dichiarò nella Scrittura che un edificio fatto da uomini non può contenere la maestà del Signore dell’universo. E che dire degli antichi Profeti che condannavano la durezza di cuore del popolo eletto, che facevano della Legge un tale peso da schiacciare la libertà di coscienza di un popolo, che era stato più volte liberato dalla schiavitù (pensate a quella egiziana e a quella babilonese), ma che poi era caduto nella schiavitù di leggi disumane, imposta dalla religiosità ebraica.
Il discorso di Stefano, accompagnato da persistenti brusii di disapprovazione, non si conclude. Viene interrotto da gesti minacciosi e da grida di furore. Luca scrive: «erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano». Stefano, invece, non si fa prendere dalla paura o da reazioni scomposte. Luca scrive: “Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: “Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”. Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui. Lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo».
“Ecco, contemplo i cieli aperti”, esclama Stefano. Il vero problema sta tutto qui: chi contempla cieli aperti, suscita ira, rabbia, contestazione, condanne a morte. Nei primi tempi del Cristianesimo, era la Chiesa ad essere perseguitata proprio perché predicava una Novità che apriva i cieli. Poi questi cieli la Chiesa stessa li chiuderà, e condannerà a morte chi, nonostante tutto, continuerà a sognare, contemplando cieli aperti.
Commenti Recenti