Il trono di Salvini: una montagna di…
di don Giorgio De Capitani
Ero entrato in una specie di foresta, percorrendo uno stretto sentiero, un po’ sconnesso, ma dolcemente invitante al silenzio di alberi svettanti verso il cielo, e al canto quasi noiosamente ripetitivo di uccelli in una salmodia dialogica.
Pensavo che la mia solitudine bastasse a farmi compagnia, nel contesto di una Natura che ha già i suoi richiami eterni, gelosa però del privilegio di essere un coro monacale in perpetua contemplazione con il Divino.
Troppo distratto dalla realtà, misi le scarpe in una pozza di melma, e il mio Pensiero si rabbuiò, perdendo il contatto con il Divino.
Mi sembrò di vedere un’ombra nera come la pece, mi ritrassi come per fuggire, ma una voce mi disse, rassicurandomi: «Non temere! È solo un’ombra: l’ombra di una montagna di merda!».
Mi rattristai al pensiero che quella parola volgare potesse contaminare quell’aria così dolce e melodiosa.
La volgarità subito si dileguò tra gli alberi che sembravano, mentre la parolaccia passava, darle schiaffi a ripetizione. Quasi un avvertimento: che essa giungesse a destinazione su quella montagna di merda, dove stava seduto il Principe della Merda.
Aveva un nome: Matt e un cognome: De Salvy.
Non riuscivo però a immaginare la reazione del Principe della Merda, eppure la volgarità lo avrebbe appassionatamente baciato sulla bocca, grossolana e turgida come quella di una puttana devota di Padre Pio.
Che lo sterco sia il cibo preferito da Matt De Salvy lo sanno tutti, perché, essendo il politico più onnipresente, a tutti arriva il fetore che appuzza anche il cervello.
Uscito dalla pozza, continuai a camminare meditabondo, anche se i piedi puzzavano un po’. Ma pensai al fetore delle volgarità inquisitoriali, quando accompagnavano gli spiriti puri dei Mistici verso la catasta di sterpaglie pronte per ardere.
Tra quei grossolani volti incattiviti dalla presenza dell’Innocenza, intravidi una faccia da culo, che biascicava un rosario di litanie blasfeme, tenendo in mano la carta igienica come se fosse un rotolo sacro pieno di segni osceni.
Gli urlai con tutta la voce che avevo: «Bastardo! Anche qui? Figlio di una cagna sempre incinta per opera di bastoni nodosi come cetrioli dell’orto infernale!».
Non mi rispose, ma si rivolse con la bava alla bocca al suo avvocatuccio, un mingherlino come lo stecco che aveva appena pulito i denti del padrone, anch’esso presente tra la folla che rideva e rideva a crepapelle al passaggio della Dea.
Il Bastardo sbraitò all’avvocato: «Quereliamolo! Gli mozzeremo la lingua!».
L’avvocatuccio, mezzo rimbambito, annuì, pronto pur di far carriera anche a vendere la pelle dell’anima di sua madre. Balbettò: «A-men!, a-men!», e poi con lingua sciolta: «Ai tuoi ordini, come sempre!».
Mi avvicinai e sputai sul volto e sulla bocca del Principe merdoso, per spegnere l’ardore di un incipiente orgasmo.
Si pulì con le zampe animalesche faccia e labbra turgide d’ira.
Poi bofonchiò: «Evirerò con le mie stesse zampe quel porco di un prete!».
Scoppiò un forte temporale, e il cielo mandò giù tutte le sue riserve d’acqua. In lontananza mi sembrò di udire un coro di voci: «Il Capitano sta affogando nella merda!… La testa è al limite di respirazione!… Ha gli occhi stralunati, il volto cianotico, la bocca aperta a dire qualcosa!…».
Poi, silenzio tombale!
La foresta rise sonoramente, poi i suoi rami s’intrecciarono per una danza improvvisata, intonando un canto, le cui parole erano però incomprensibili, forse perché per la prima volta dalla creazione la Natura dimenticava di essere immagine purissima della Bellezza divina.
Ma gli angeli tapparono le orecchie del loro Signore, che finse di non sentire nulla. Non era ancora pronto per giudicare il Principe della Merda: Matt De Salvy.
Lo lasciò in agonia per circa cento anni: la montagna di merda si seccò, lasciando però la testa del Principe merdoso in una pozzanghera di melma, a respirare in attesa del giudizio finale di Dio.
Nel frattempo, quel luogo abbandonato da tutti divenne la latrina dei cani randagi. Solo un uccellino ebbe pietà; si posò sul naso di Matt De Salvy, e disse: «Anche il Signore alla fine perdonerà… prima però si deve godere la gioia dei suoi giusti».
L’agonizzante emise un lamento, che l’uccellino ricambiò con un piccolo ricordo.
………..L’agonizzante emise un lamento, che l’uccellino ricambiò con un piccolo ricordo. Il ricordo, o meglio ricordino, fu una cagatina a spruzzo che infestò la già melmosa barba del De Salvy. Ma l’Onnipotente volle vederci chiaro. Fece pulire il De Salvy da 3 cherubini e, assisolo su di un seggiolone da arbitro di tennis, gli chiese quale fosse il suo segreto, il segreto del suo successo. De Salvy, ironico, fissò l’Onnipotente e gli disse: “ma che cazz…vuoi? A te lì chi ti ci ha messo? Presentati alle elezioni, fatti votare e poi ne riparliamo”. Alchè l’Onnipotente comprese che il putrido e infantile meccanismo vigente nella comunità delle scimmie umane e che loro chiamano “politica” aveva ormai completamente corroso e deviato l’intelletto del De Salvy. Spazientito, il Creatore intimò al De Salvy di mostrargli le poderose armi del suo successo, senza ulteriori frasi di rimando tipiche del De Salvy , tipo: “specchio riflesso buttati nel cesso” o “baciotti”. De Salvy, stremato e un pò impaurito, con un soffio possente, quasi un tifone mefitico, slenzuolò della sua copertura un lago di diarrea fumante in ebollizione, da cui spuntavano tanti piccoli tocchetti di materia fecale, senza sistema cerebrale e disse: eccola: essa è l’origine e la base di tutto. Era la GENTE!