Cascina Monluè, il borgo di Milano diventato oasi di integrazione. Gli abitanti: «Qui nessun mozzicone di sigaretta»
dal Corriere della Sera
Cascina Monluè,
il borgo di Milano diventato oasi di integrazione.
Gli abitanti: «Qui nessun mozzicone di sigaretta»
di Simona Buscaglia
Presente uno spazio per l’accoglienza dei migranti che oggi ospita chi scappa dalle guerre di tutto il mondo. Sull’area medievale in corso i lavori di riqualificazione. Il progetto prevede l’inserimento di bar e ristoranti
Gli unici indizi della vita moderna sono dei suoni: il rumore delle macchine che sfrecciano sulla Tangenziale Est e il rombo dei voli del vicino aeroporto di Linate interrompono a tratti la magia di un luogo che sembra perdersi nel tempo. Gli edifici che costellano la corte della Cascina Monluè, dalla Chiesa di San Lorenzo ai rustici agricoli, sono i testimoni di quel borgo di origini antichissime che dal XIII al XVI secolo ospitò un monastero dei frati Umiliati.
In una mattina della settimana di Ferragosto sono anche in pausa i lavori di riqualificazione dell’Impresa Sociale «La corte del bene comune», partiti all’inizio dell’anno, che in 30 mesi restituiranno ai milanesi questo spazio speciale a pochi passi dal Parco Forlanini. Che il luogo sia particolare si capisce al primo sguardo: l’abbazia di San Lorenzo è uno dei migliori esempi lombardi di grangia medievale, cioè di grande azienda agricola composta da campi, ambienti di servizio ed edifici conventuali, secondo la regola di vita degli Umiliati. Proprio da qui nasce il nome dell’associazione «La Grangia di Monluè», che ha trovato in queste vie la sua casa: uno spazio di 24 posti per l’accoglienza dei migranti, nato nel 1986, che oggi ospita «chi scappa dalle guerre di tutto il mondo. Arrivano da noi quando hanno ancora bisogno di un aiuto, l’ultimo passaggio di accompagnamento verso l’autonomia» spiega Suor Felicita, da otto anni tra le persone che animano queste mura.
E se nella corte della cascina si trovano 20 alloggi del Comune gestiti da Mm, distribuiti su due piani, seguendo la strada, poco più avanti ci si imbatte in chi nel borgo di via Monluè ci vive dalla fine degli anni Ottanta e nel pezzetto di terra vicino coltiva anche delle piante di banano: «Quando sono arrivato qui lo spazio in cui abito era una vecchia stalla. Ho messo tutto a posto con le mie mani» precisa Ionel, 75enne originario della Romania, rifugiato politico, che ha trovato in questo luogo la sua tranquillità: «Ora sono in pensione, nel mio paese ero ingegnere ma in Italia ho fatto l’elettricista e l’idraulico, oltre al meccanico nell’officina che c’era qui dietro fino a poco tempo fa». Mentre mostra orgoglioso le sue piante che colorano la via che fa angolo, racconta anche che proprio in quel punto «una volta c’era un mulino e il Lambro passava qui sotto, ci sono ancora i segni sul muro con le mattonelle che indicano dove sorgeva il piccolo ponte».
Il bello di vivere in questa oasi verde a pochi passi dalla metropoli è che: «tutti gli abitanti curano molto il posto, non si trova un mozzicone di sigaretta per terra perché, se lo vediamo, lo raccogliamo subito e lo buttiamo: è un piccolo paradiso». Dello stesso parere anche la vicina di casa Giulia, originaria della Bulgaria: «Da dodici anni vivo qui, è un posto tranquillo e mi trovo molto bene, in tanti vengono da queste parti nel weekend, io invece ho la fortuna di abitarci».
Il futuro della Cascina è definito: l’intervento di risanamento e di restauro, per un investimento di 7 milioni di euro, è stato autorizzato dalla Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio e consiste nella riqualificazione paesaggistica e funzionale del complesso composto da otto corpi su un’area di circa 3.700 metri quadrati: «La costruzione della Tangenziale Est ha spinto i pochi abitanti rimasti ad andarsene — dice Giovanni Carrara, presidente dell’Impresa Sociale Cascina Monluè —. Paradossalmente proprio l’isolamento ha preservato questo luogo dall’urbanizzazione delle zone limitrofe. Il nostro obiettivo è restituire alla cittadinanza uno spazio di incontro aperto a tutti». Il progetto prevede, ad esempio, luoghi per l’inserimento di persone fragili nel mondo del lavoro, spazi riservati a bar e ristoranti, un’accoglienza residenziale e di accompagnamento all’autonomia per le persone con disabilità, mamme sole o minori stranieri non accompagnati, oltre ad attività didattiche rivolte a scuole e realtà del terzo settore e una foresteria per promuovere il turismo accessibile.
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