1 ottobre 2017: QUINTA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Dt 6,4-12; Gal 5,1-14; Mt 22,34-40
Anche i tre brani della Messa di oggi ci offrono una serie di interrogativi, che vanno alla radice non solo del nostro rapporto religioso con Dio, ma della stessa identità di Dio e del nostro essere umano.
Il nostro rapporto con Dio dipende da ciò che per noi Dio è e da ciò che noi crediamo di essere di fronte a Dio. In altre parole, possiamo dire che i tre brani ci invitano a riflettere su Dio e sul nostro essere.
Primo errore: amore per un Dio politico
Il primo brano parla del dovere da parte del popolo eletto di amare l’unico Dio, ma, attenzione, è un dovere che diventa un ricordo di quanto Jahvè ha fatto nel passato liberando gli ebrei dalla schiavitù egiziana. Dunque, l’amore di Dio diventa un amore interessato, e il ricordo è sul piano di un liberatore politico.
Sì, si parli di peccati, o, meglio si parla del peccato: l’aver tradito l’Alleanza ma del tipo politico, tanto è vero che, di conseguenza, Dio ha punito il popolo rendendolo schiavo di una nazione.
In breve, tu, popolo eletto, non devi dimenticarti di Dio che ti ha dato questo e ti ha dato quello, che soprattutto ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù.
Questa idea di un Dio salvatore e benefattore nel senso politico (ti darò una terra e ti renderò un popolo forte) attraversa tutta la storia del popolo ebraico fino alla venuta del Messia, e, quando il Messia arriverà, non sarà riconosciuto dagli ebrei proprio perché non rientrava nelle loro categorie politiche, da secoli accarezzate e attese.
In fondo, gli stessi profeti erano caduti in questo grossolano equivoco, anche se, occorre precisarlo, erano fortemente animati dalla missione di fustigare i tradimenti del popolo eletto, sempre pronto a tradire l’Alleanza divina in nome di altre alleanze terrene, ritenute ogni volta più promettenti e vincenti sempre sul piano politico.
Certamente i profeti, in quanto ispirati dalla luce divina, invitavano ad allargare gli orizzonti, senza tuttavia avere idee chiare su quali fossero questi orizzonti, dipinti ora con immagini positive ora con immagini negative.
Sarà Gesù Cristo che rileggerà quelle antiche profezie alla luce di una liberazione interiore, ma il popolo non capirà e lo manderà a morte sulla croce. E Cristo non verrà capito neppure dalla Chiesa istituzionale, che ripeterà gli stessi errori del popolo eletto.
Secondo errore: amore per un Dio legislatore
Paolo, nel brano di oggi, se la prende con quanti, anche tra gli stessi apostoli, volevano imporre la circoncisione fisica ai cristiani. Paolo fa un semplice quasi elementare ragionamento: la nuova fede fonda tutta la sua ragion d’essere sul primato dello Spirito santo, che Cristo ha donato proprio sulla croce, nel momento stesso in cui moriva. Sulla croce moriva la legge ebraica, per lasciare il posto allo Spirito divino.
Ecco dove sta la novità del cristianesimo: nella libertà dello Spirito. La legge intesa alla lettera schiavizza, procura morte.
L’Apostolo scrive chiaramente: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. E dichiaro ancora una volta a chiunque si fa circoncidere che egli è obbligato ad osservare tutta quanta la legge. Non avete più nulla a che fare con Cristo voi che cercate la giustificazione nella legge; siete decaduti dalla grazia».
Parole senza ombra di dubbio. Con Cristo è finita l’epoca del Dio legislatore, del Dio mosaico. Con Cristo è iniziata l’epoca della libertà “dello” e “nello” Spirito.
Anche qui, la Chiesa è caduta come l’antico giudaismo nella schiavitù della legge. Non c’è bisogno di dimostrarlo.
Il nostro vero maestro non è il legislatore, ma il maestro interiore.
Terzo errore: amore per un Dio moralistico
Nel terzo brano Cristo stesso ha tolto ogni dubbio, riducendo al minimo, che è poi il massimo, la legge dell’amore. Alla domanda: “Qual è il più grande comandamento della legge?”, Gesù risponde: “Ama Dio con tutto te stesso, e ama il prossimo come te stesso”.
Se abbiamo detto no a un Dio politico, no a un Dio legislatore, ora dobbiamo dire no a un Dio moralistico. Se gli ebrei ai tempi di Cristo erano costretti a osservare 613 precetti, tra negativi e positivi, non credo che possiamo contare tutti i precetti di vari tipo, moralistici ed ecclesiastici, stabiliti e imposti dalla Chiesa in duemila anni. Qualcuno parla di migliaia. Eppure, Cristo aveva ridotto all’essenziale il comandamento dell’amore: Dio e l’essere umano, uniti in modo indissolubile tra loro.
Secondo Carlo Maria Martini, c’è una gerarchia nelle indicazioni etiche, ovvero c’è qualcosa di grande, di assoluto, d’importanza estrema, e c’è qualcosa di meno assoluto, di meno grande, di meno importante. Non si può, dunque, appiattire tutto sullo stesso registro. Occorre dunque trovare l’essenziale.
Quando ero prete di parrocchia, e partecipavo agli incontri dei Consigli pastorali, chiedevo sempre, tra le mille cose in cantiere da fare o da non fare: “Qual è la cosa più importante, da cui dipende la vita della comunità? Qual è la cosa che veramente conta per il ben-essere della parrocchia?”. E ogniqualvolta ero costretto a ripetere in che cosa consisteva il ben-essere, ovvero quel bene che riguarda l’essere nella sua realtà più interiore.
Ma era tempo perso. Parlavo al vento. Si continuava a litigare su questo o su quello, senza capire che la cosa più importante è cogliere l’essenziale, ovvero il meglio dal punto di vista dell’essere.
Capisco quanto oggi sia difficile cogliere la realtà spirituale del Divino, al di là degli aspetti puramente etici o religiosi. Magari contestiamo la Chiesa, senza però capire che ogni vera contestazione punta al meglio o all’essenziale, ma questo comporta un impegno personale non da poco, ed è per questo che contestiamo gli aspetti esteriori, magari proponendone di peggiori.
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