Omelie 2015 di don Giorgio: Seconda dopo la Dedicazione

1 novembre 2015: Seconda dopo la Dedicazione
Is 56,3-7; Ef 2,11-22; Lc 14,1a.15-24
Il Rito Ambrosiano è molto più rigido del Rito Romano: se capita che la Festa di un Santo (fosse anche l’Assunta o l’Immacolata o la Festa di Tutti i Santi) cada in Domenica, a prevalere è in ogni caso la Liturgia domenicale. Ecco perché i brani della Messa di oggi sono quelli della Seconda Domenica dopo la Dedicazione.
Tempo di ricostruire e di aprirsi all’universalità
Il primo brano fa parte del cosiddetto Terzo Isaia, un profeta anonimo che è vissuto nel periodo della ricostruzione del Tempio di Gerusalemme distrutto dai Babilonesi nel 586 a.C.. Dunque, gli ebrei, dopo l’Editto del re persiano Ciro il Grande del 538 a.C., erano tornati nella loro patria. Qui, oltre alle rovine, avevano trovato anche popolazioni straniere e, inoltre, gli stessi compaesani che erano riusciti a rimanere dopo la catastrofe e che nel frattempo si erano mescolati con le popolazioni idolatriche. Perciò, non è stato facile agli ebrei esuli, benché entusiasti per il ritorno, partire da capo.
Ed è qui che entra in gioco la parola di Dio, tramite il suo profeta. Non si torna mai alla situazione precedente. Certo, bisogna sempre mantenere i capisaldi, la Legge e il Tempio, ma c’è sempre qualcosa di nuovo a cui aprirsi. Dio non distrugge per tornare a zero, ma per procedere, tenendo conto delle nuove situazioni. Ecco il brano della Messa, che, pur nella sua brevità, contiene molti spunti interessanti.
Anzitutto, il profeta sembra dire: voi, ebrei, popolo eletto, perché siete stati puniti dal Signore? Non avete forse tradito l’Alleanza? Ora, dunque, state bene attenti: forse non avete ancora capito in che cosa in realtà consista il cuore dell’Alleanza, perciò rendetevene conto, e ascoltate la parola di Dio: «Osservate il diritto e praticate la giustizia», intendendo per diritto e giustizia il disegno di Dio sulla storia. Un disegno che, se ha scelto il popolo ebreo come portavoce, vuole però che il popolo eletto non rimanga ancora chiuso, ma si apra a tutte le popolazioni. In altre parole: l’esilio è servito agli ebrei ad aprirsi anche ai gentili; sono rimasti a contatto con loro per decine e decine di anni, ed ora, tornando in patria, si sono trovati di fronte a popoli stranieri. Tutto ciò fa pensare ad una realtà nuova. Bisogna smettere di selezionarsi per razza o colore della pelle, abitudini e culture. Se i capisaldi dell’Alleanza, ovvero la Legge e il Tempio, vanno mantenuti, si dia però loro un significato più ampio, mantenendo la loro purezza religiosa. Dunque, il Tempio sia disponibile anche per gli stranieri, anche per le persone fisicamente disabili, come gli eunuchi, che, più di altri, hanno ragione di lamentarsi, quasi rami secchi di un popolo. Anch’essi sono oggetto della benevolenza di Dio. Così il Tempio diventa il luogo della fratellanza, e non dell’esclusione, e soprattutto “la casa del Signore”, e non di affari o d’altro. Gesù utilizzerà questa espressione, “la casa del Signore”, per rinfacciare ai profanatori i loro misfatti (Mt 21,13).
Alcune riflessioni
Parto dalle parole di don Raffaello Ciccone: «Si dovrà ricordare, insieme, che il tempio è aperto al mondo e che tutti i popoli sono amati e non rifiutati o selezionati da Dio. Ci sono le premesse per il rimescolamento dei popoli, per l’accoglienza degli stranieri, per i tempi della globalizzazione».
Ne è passato di tempo, secoli e secoli, da quelle parole del profeta, eppure non è che il popolo ebraico abbia imparato qualcosa, se non preoccupandosi di prendersi una propria terra, senza nemmeno trovare un punto d’intesa con i popoli vicini: vedi la questione palestinese che ogni giorno procura violenze e vittime. Osservando il popolo d’Israele dei nostri tempi, chi direbbe che Dio l’abbia scelto come popolo privilegiato, affidandogli un messaggio universale?
Ma guardiamo anche in casa nostra. La parola di Dio riguarda tutti, altrimenti perché ogni domenica la Liturgia ancora oggi propone dei brani, oppure perché la Bibbia è diventato il libro più letto del mondo?
Pace, come riconciliazione universale
San Paolo ci dice che, con l’avvento di Cristo, tutti siamo diventati il nuovo popolo di Dio. Ed è soprattutto con Gesù Cristo che la pace ha assunto il significato più pieno, ovvero di riconciliazione di tutti i figli di Dio nell’Umanità. Dio non ha creato il mondo già diviso, ma è stato l’uomo a dividerlo. Noi, in questo, siamo bravi architetti nel costruire muri che separano. Muri anche fisici: ancora ai tempi di Gesù, nel Tempio c’era una barriera che separava i circoncisi, ovvero gli ebrei, dagli incirconcisi, ovvero i pagani. Chi l’oltrepassava era punito con la morte. Dopo l’ultima guerra, non è forse stato costruito il muro di Berlino? E che dire dei reticolati recenti per impedire ai profughi di entrare in determinati Paesi?
Sì, l’uomo è più bravo nel costruire muri che nel costruire ponti. Eppure parla di pace, come se la pace significasse: ognuno a casa propria!
Nel brano di oggi di San Paolo troviamo un inno, che è forse uno dei più belli e profondi, sulla pace. La pace che cos’è? La risposta richiede uno sforzo mentale, onde superare la crosta che separa la superficie dall’interiorità. Anche questa crosta è un muro, che non permette di entrare nel mistero del nostro essere. Anche come credenti, fatichiamo a superare questo muro, e preferiamo rimanere in superficie. Che cos’è, in fondo, la nostra fede se non una certa pratica religiosa? Quanti cristiani passano dalla esteriorità all’interiorità?
Appena entriamo nel nostro essere, dopo aver superato la barriera della esteriorità, ci troviamo di fronte a qualcosa di sconvolgente. Tutto ci appare diverso: non c’è più l’io e l’altro, scompare ogni divisione: ci troviamo immersi nel Tutto dell’Universo. Ed è per questo che la pace assume un significato completamente diverso da come l’intende l’opinione pubblica, secondo cui la pace è compromesso, cedere su qualcosa da parte di entrambi, tentare un dialogo, allungare i periodi di tregua.
Nel profondo del nostro essere, politica e religione scompaiono, si sciolgono nel Tutto, che non è, tanto per intenderci, come un calderone dove entra di tutto. Riconciliare, secondo il pensiero di Cristo, non è annullare gli spigoli, attutire le divergenze, fare in mondo che ci sia qualche punto su cui andar d’accordo. Secondo Cristo, riconciliare è ricomporre l’unità originaria, che è andata perduta con il peccato, e per peccato non s’intende la mancanza o il venir meno alle leggi umani sia civili che ecclesiastiche. Il peccato, secondo la Bibbia, consiste nello scomporre il piano originario di Dio, che è insito nell’Universo, per cui c’è un tale legame tra le realtà create, nel loro essere più profondo, che costituzionalmente possiamo dirci un solo corpo, da intendere anche in senso fisico, se è vero che siamo particelle di un Tutto.
La cosa strana è questa: la scienza fisica ci apre un mondo nuovo, mentre la politica e la religione insistono, nella loro cecità, a tenercelo chiuso.
Ecco, allora, che cos’è la pace. Rileggo le parole di san Paolo: «Egli (Gesù Cristo) infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,  facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, eliminando in se stesso l’inimicizia. Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito».
Non aggiungo altro.

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