Omelie 2017 di don Giorgio: FESTA DI TUTTI I SANTI

1 novembre 2017: TUTTI I SANTI
Ap 7,2-4.9-14; Rm 8,28-39; Mt 5,1-12a
I santi e i nostri cari morti
La Chiesa ha messo l’una accanto all’altra la celebrazione gloriosa di tutti i santi e la celebrazione di suffragio per le anime dei nostri cari defunti. Due celebrazioni che, in realtà, si intersecano, tanto è vero che nelle parrocchie c’è l’usanza di andare in processione al cimitero il primo pomeriggio della festa dei santi.
Non c’è mai stata una netta separazione tra i santi e i morti comuni, come se i primi appartenessero ad una classe speciale di privilegiati, di testimoni eroici, dunque eccezionali, delle virtù cristiane, mentre i secondi appartenessero ad una classe inferiore.
Ma chi sa distinguere la bontà dei santi canonizzati, ovvero riconosciuti tali dalla gerarchia, dalla bontà dei comuni mortali che, se non si sono distinti per virtù eccezionali come i primi, tuttavia sono stati umili testimoni di una fede e di una vita interiore, che solo Dio può vedere, tanto più, avendo egli gli occhi puramente spirituali, vede solo le realtà spirituali?
Santità canonica e santità popolare
Non è questo il momento di mettere in discussione l’opportunità o meno di continuare ancora oggi a canonizzare i testimoni eccezionali delle virtù cosiddette eroiche. Ma a che serve proporli come modelli di vita, se le loro virtù sono state del tutto eroiche ed eccezionali, ancor più accentuate dalle loro biografie?
Non dovremmo mai dimenticare quella santità, che è ancora oggi diffusa tra la gente comune più di quanto si possa pensare. Dimenticarla o ritenerla inferiore alla santità eroica dei santi canonizzati sarebbe un errore imperdonabile, anche perché non credo che Dio privilegi la santità eroica alla santità popolare, a meno di stravolgere le stesse parole di Cristo sull’umiltà. Ma già il fatto che la canonizzazione sempre più diffusa è ristretta all’ambito dei credenti cattolici, ciò non può far nascere qualche dubbio, ovvero che l’intento della Chiesa sia quello di auto-incensarsi proponendosi al mondo come ideale perfetto di santità, sia nel campo dottrinale che in quello morale?
Le virtù spirituali dell’essere umano
Diciamolo apertamente: le virtù appartengono al genere umano, indipendentemente dal fatto che uno sia cattolico oppure no. La virtù, per la sua stessa natura, è una realtà interiore ad ogni essere umano. Dunque, la virtù non nasce da una struttura religiosa. Lo stesso discorso vale per le strutture civili o politiche. Ma restiamo nel campo religioso.
Non spetta alla religione gerarchizzare le virtù, stabilendone dunque i valori come in una scaletta, ma sono le virtù interiori a dare alla struttura religiosa la sua qualità migliore.
La santità in che cosa consiste nella sua essenza interiore? È la Bontà dell’Essere Supremo, come dicevano gli antichi filosofi greci, in particolare Platone. Dio è il Bene, ovvero la Bontà. Restituiamo alle parole il loro vero significato. Buono deriva da bene. Non banalizziamo, dunque, la parola bontà.
Dunque, Dio è il Bene assoluto: assoluto in latino vuol dire “sciolto da, libero da”, dunque non soggetto ad  alcun  condizionamento. Nulla può condizionare Dio come Bene, come il Bene Assoluto. La nostra libertà di fronte al Bene diventa necessità di scelta.
Non siamo liberi di scegliere al di fuori del Bene. Libertà è scelta del Bene. È chiaro che, essendo esseri mortali imperfetti, la libertà sta in una scelta tra il bene minore e il bene maggiore. Ed è qui il nostro impegno: tendere al meglio, verso il Bene Sommo. Ma attenzione: quando la Chiesa canonizza i santi parla di loro come se avessero raggiunto la perfezione. Nessuno, su questa terra, può raggiungere la perfezione del Bene Assoluto.
Bene Assoluto, sorgente di ogni altra virtù
Dal Bene Assoluto che è Dio deriva, per riflesso, ogni immagine che riflette il Bene, più o meno visibilmente. La bellezza, ad esempio, è il riflesso o immagine più visibile del Bene. Ed è proprio tramite la bellezza che possiamo pensare al Bene e spiritualizzare, di conseguenza, la nostra vita. Certo, anche l’arte, ma soprattutto la bellezza del creato. È a contatto con la natura che si pensa al Bene divino. Mi chiedo come mai, pur immersi nella bellezza della natura, restiamo talora così bifolchi, insensibili al bene, egoisti a tal punto da spegnere ogni voce di bene che proviene dal nostro essere interiore.
Dal Bene Assoluto deriva anche la giustizia e l’amore, che sono dunque immagini, riflessi del Sommo Bene. Quando parliamo di amore, possiamo anche fare uno sforzo intellettivo per avvicinarci a Dio, ma quando parliamo di giustizia allora tutto diventa così orizzontale, di rapporti sociali tra gli esseri umani, che si perde di vista la nostra essenza spirituale. La giustizia nasce dal nostro interiore, e diventa Bene comune, quando siamo figli dello stesso Spirito santo.
Ecco perché la Chiesa, in tal caso giustamente, chiama giusti i santi. I veri giusti non sono tanto coloro che lottano per i diritti da estendere in modo equilibrato a tutti gli esseri umani. I veri giusti, invece, sono coloro che riscoprono in se stessi il Bene sommo, e  vi tendono con tutti i loro sforzi di distacco dall’egoismo, che, paradossalmente, notatelo, sembra la caratteristica delle lotte sindacali.
Di fronte al Bene Sommo, e la giustizia ne è un riflesso, non ci sono diritti, ma doveri. E Simone Weil, a proposito della soppressione di tutti i partiti, ha scritto che solo il Bene è un fine, tutto il resto non che è un mezzo, che è utile solo quando in quanto serve il Bene. Se non serve il Bene, bisogna eliminarlo.
Ricordando il giorno dei defunti, vorrei chiudere con le parole di una epigrafe che ho trovato sulla tomba di un parroco di Barzanò. Maxima cum intelligenti – Charitate non ficta – Pro Christo – Pro grege – cursum consumavit. Traduco un po’ liberamente: “Con un lodevole spirito di carità, intelligente e autentica (letteralmente non falsa), ha speso tutta la sua vita per Cristo e per il suo gregge”.
Non c’è bisogno di commento. Le parole parlano da sole.

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