1 novembre 2020: SECONDA DOPO LA DEDICAZIONE
Is 45,20-23; Fil 13b-4,1; Mt 13,47-52
Vorrei soffermarmi sul primo brano, che fa parte del testo di un anonimo profeta, chiamato dagli esegeti Secondo Isaia, vissuto nel VI secolo a.C., quando con l’editto del persiano Ciro il Grande del 538 a.C., gli ebrei esuli a Babilonia poterono tornare in patria.
Il testo che leggiamo oggi appartiene nel suo linguaggio ad una specie di contesa giudiziaria. Sono fatti comparire “i superstiti delle nazioni”, cioè i popoli che sono riusciti a sopravvivere nelle grandi prove: guerre, sconfitte ecc. A tutti costoro, che in passato avevano fatto ricorso agli idoli per essere salvati, il Signore indirizza un appello perché “si volgano” a lui. «Solo nel Signore si trovano la giustizia e la potenza».
Un appello ai superstiti delle nazioni
Vorrei farvi notare subito una cosa che ritengo importante. Dio non chiede ai popoli sopravvissuti una conversione, ovvero che i pagani abbraccino la religiosità ebraica. Chiede loro solo una cosa: che tutti si volgano all’Unico Dio che, proprio perché Unico, non è né ebreo né altro. Lui è l’Unico Dio, il Bene Assoluto, Spirito purissimo, l’Unico Salvatore.
L’unicità di Dio non sopporta alcuna forma di idolatria. Nell’Antico Testamento troviamo frequentemente l’espressione “sono un Dio geloso”. Che significa? Dio non tollera che si debba prestare un culto verso gli altri dei.
Ed è proprio sull’idolatria che gli antichi profeti battevano il martello della loro condanna. Duri e anche spietati, essi condannavano soprattutto il popolo eletto, quanto cadeva nell’idolatria, che veniva definita come un atto di prostituzione o di tradimento dell’Alleanza.
Il profeta Ezechiele, ad esempio, senza mezzi termini, si scaglia contro l’idolatria, con un linguaggio forse poco rispettoso della nostra sensibilità ipocrita: «Figlio dell’uomo, gli idolatri hanno collocato nel loro cuore mucchi di merda e tengono continuamente davanti agi occhi l’incentivo della loro iniquità… Tutti gli idoli dietro a cui si è perduta la gente d’Israele sono mucchi di merda» (14,1ss).
Volgare non era la voce del profeta, ma l’adorazione di un pezzo di legno o di una immagine priva di ogni purità. Già risuonava nel grido dei profeti la voce dello Spirito, che si serviva di un linguaggio verista del suo profeta per denunciare la volgarità di un culto carnale.
Ma, a parte le dure condanne dei profeti contro ogni forma di idolatria, vista come un tradimento del Dio dell’Alleanza, ciò che mi chiedo è se l’idolatria sia stata solo una caratteristica dei popoli pagani politeisti, ovvero adoratori di più divinità. E allora, chiediamoci: oggi esiste ancora l’idolatria o, meglio, l’idolatria può convivere in una Chiesa, dove lo Spirito è l’unica legge del credente?
Rispondo dicendo che ogni religione corre il rischio di cadere in qualche forma idolatrica, proprio perché la religione esige per la sua stessa natura un complesso di riti esteriori che sono una continua minaccia alla purezza divina, che è essenzialità assoluta.
Già il popolo in quanto massa è portato a cadere in forme superstiziose e perciò idolatriche, e se poi la religione, diciamo anche la Chiesa cattolica, favorisce culti esteriori, allora il tranello diventa non solo realtà, ma anche una giustificazione in nome del fatto che siamo anche corpo, e non solo spirito. Però mi chiedo se ci sia un limite a tutto questo, oltre il quale si cade in una vergognosa idolatria.
Che il popolo sia continuamente tentato dagli aspetti di culto facendone qualcosa di idolatrico può anche essere comprensibile, essendo la gente in genere più facilmente portata a farsi prendere dall’esteriorità, ma che noi preti favoriamo certi eccessi, allora mi chiedo dove stia quell’impegno educativo, che dovrebbe essere il cuore di ogni autentico apostolato.
Il popolo va educato, guidato verso quella maturità, per cui si deve sentire a suo agio in un cammino di fede che lo porterà ad adorare il Padre in spirito e verità.
Ridurre la fede in Dio a una carnalità, che appaghi i nostri peggiori sensi corporali, è qualcosa non solo di vergognoso, ma di rachitismo spirituale, tanto più che noi crediamo non nel cadavere di un Cristo morto sulla croce, ma nel Dono del Cristo morente, che è il suo Spirito divino.
Più credo nel Cristo risorto o nel Cristo mistico, più mi distacco da ogni forma idolatrica, e l’idolatria peggiore consiste nel prendere il corpo di un santo e di venerarlo con un rito che sa di macabro.
Ammettiamo pure che, in quanto corpo, abbiamo bisogno di un culto sensoriale, però mi chiedo se non sia possibile quell’equilibro che mi fa evitare di cadere nel ridicolo e nell’osceno di un culto ancora peggiore di quello praticato dagli antichi pagani.
E paradossalmente vorrei dire di più: l’equilibrio sta in un di più dello Spirito, se è vero che siamo sì corpo e psiche, ma, se “siamo”, ciò è dovuto al nostro essere interiore, e nell’essere interiore non ci può essere nulla di carnale.
Un di più dello Spirito non è mai eccessivo: lo Spirito sa che la sua presenza non mortifica la creazione, ma la vivifica nella sua realtà come immagine divina.
Anche la parola “idolo” significa “immagine”, ma non è quella trasparenza del Divino che è innata in ogni essere umano.
E succede che oggi, soprattutto oggi, sublimiamo la Natura sentendone i gemiti dello Spirito (così crediamo di sentire!), e poi ci immergiamo nella più volgare idolatria di cose e anche di oggetti sacri, cadendo in forme superstiziose quasi che, a contatto con la Natura ci sentiamo dèi, e a contatto con il mondo del Divino ci sentiamo dei pezzenti che hanno bisogno di un culto carnale.
E se nella antichità i profeti avevano urlato in nome del Dio purissimo dell’Alleanza, oggi succede che a urlare siano rimasti solo i sassi, quando li calpestiamo alla ricerca di reliquie da venerare.
Dove sono i profeti o, diciamo anche semplicemente, dove sono gli educatori al Mistero dello Spirito, un Mistero da scoprire non fuori di noi, ma nella nostra interiorità più profonda?
Più si scende nel pozzo dello Spirito, più siamo divini.
Lo spirito richiama lo Spirito, e noi, esseri umani, siamo anzitutto spirito, prima che carne.
E se siamo anche carne non è perché dobbiamo venerare la carne, ma lo spirito che ci divinizza anche nella nostra carne.
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