Omelie 2021 di don Giorgio: FESTA DI TUTTI I SANTI

1 novembre 2021: TUTTI I SANTI
Ap 7,2-4.9-14; Rm 8,28-39; Mt 5,1-12a
“Mi sento ardere da grandi desideri”
Ma “a che serve la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità?”.
Con questa domanda comincia una famosa omelia di san Bernardo per il giorno di Tutti i Santi.
È la domanda che ci si potrebbe porre anche oggi. E attuale è anche la risposta che il Santo ci offre:
“I nostri santi – egli dice – non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. Per parte mia, devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri”.
Uno commenta: “Ecco dunque il significato dell’odierna solennità: guardando al luminoso esempio dei santi risvegliare in noi il grande desiderio di essere come i santi: felici di vivere vicini a Dio, nella sua luce, nella grande famiglia degli amici di Dio. Essere Santo significa: vivere nella vicinanza con Dio, vivere nella sua famiglia. E questa è la vocazione di noi tutti, con vigore ribadita dal Concilio Vaticano II, ed oggi riproposta in modo solenne alla nostra attenzione”.
Che dire? Anzitutto mi hanno colpito le parole di san Bernardo: “quando penso ai Santi mi sento ardere da grandi desideri”. Che significa?
La Chiesa istituzionale canonizza una moltitudine di Santi, presentandoceli come esempi e modelli, e questo andrebbe rivisto, ridiscusso, per non cadere nel più grosso errore di spostare la nostra attenzione dalle beatitudini evangeliche alla storicità di un santo che oggi può dire nulla o ben poco, e se dice qualcosa è solo perché potrebbe stimolarci a rimeditare le Beatitudini di Cristo. Ciò che ha fatto un santo ci interessa relativamente, o quasi nulla. Ci interessa casomai come ha saputo incarnare nella sua vita o, meglio, “spiritualizzare” le Beatitudini evangeliche.
Già la parola “beatitudine”, in greco μακαριότης, makariòtes, un termine che richiama makròs, “grande”, ci invita ad allargare il nostro pensiero che, da ristretto o piccolo (μικρός, in greco) diventa grande (“makròs”).
Che cos’è allora la beatitudine evangelica?
È quella grandezza d’animo o nobiltà interiore, che c’è, quando il nostro essere nella sua realtà più interiore si apre al Mistero divino, il quale ci immerge in lui, o ci inonda con la sua Grazia, come l’acqua che, rompendo gli argini di un fiume, allaga la pianura.
Dire beatitudine e dire grazia è la stessa cosa: si è beati nella nostra realtà interiore, quando il nostro spirito si unisce con lo Spirito divino.
Capite allora che tutto ciò che si fa conta relativamente. Non è l’esteriorità o la carnalità di un santo che ci deve interessare. Conta è “ciò che si è”, e non “ciò che si fa”.
Certamente, “ciò che si è” incide poi sul proprio agire, in ogni caso non è la spettacolarità di ciò che uno ha fatto che determina la santità: “questo è più santo di un altro perché ha fatto questo o quello, perché ha compiuto i miracoli o perché ha avuto eccezionali visioni mistiche”.
La Chiesa istituzionale ci ha sempre giocato bene sui santi, anche perché ha scelto da canonizzare le persone più ortodosse e, con il passare del tempo, è riuscita a mettere l’aureola perfino sulla testa di dissidenti, togliendo loro quella forte carica interiore che li aveva resi ai loro tempi così scomodi da essere scomunicati. Potrei fare molti esempi.
La Chiesa prima scomunica e poi esalta, ma esalta gli scomunicati, castrandoli nella loro più profonda interiorità. E ci riesce, perché basta poco a ingannare il popolo, sempre alla ricerca di qualche santo, non importa chi, pronto a elargire qualche grazia a buon mercato.
E qui sorge un’altra domanda: la gente come prende i santi? Per la loro profonda fede nel Mistero divino, oppure perché distribuiscono grazie a buon mercato?
E la cosa allucinante, vergognosa, direi oscena, blasfema da parte del clero è favorire questo culto cadaverico e superstizioso.
Pensando ai santi, dunque, come ha detto san Bernardo, è sentire “ardere da grandi desideri”. Desideri di quella santità o Nobiltà che è la vera beatitudine secondo le parole di Cristo.
Basterebbe la prima Beatitudine per cogliere l’Essenzialità del Regno di Dio: “Beati i poveri in spirito”. Attenzione: non c’è scritto “poveri di spirito” ma “in spirito, nello spirito”. Poveri perché lo spirito è la fine di ogni carnalità: ci si spoglia di tutto, per essere liberi nello spirito.
Grosso modo, possiamo dire che, se la carne o il corpo parla di piaceri e la psicologia e la psicanalisi parlano di felicità, la Mistica parla di Beatitudine, ed è quella che riguarda lo spirito.
Dunque, siamo composti di tre elementi: corpo o carne, anima o psiche, e spirito.
Parlare di piaceri carnali come fa la società di oggi, o di felicità come fa il mondo psichico è riduttivo e pericoloso.
Lo spirito, di cui nessuno o ben pochi parlano, è la parte essenziale del nostro essere.
Senza lo spirito siamo come monchi, ed è per questo che la società non potrà mai migliorare.
Il mondo carnale dice: “Sei felice, se ti godi qualche carnalità!”.
Gesù dice: “Sei beato, se svuoti lo spirito di ogni carnalità, lasciando a Dio la libertà di impossessarti del tuo mondo interiore”.

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