Omelie 2012 di don Giorgio: Terza Domenica di Avvento – rito ambrosiano
2 dicembre 2012: Terza domenica di Avvento
Is 45, 1-8; Rm 9,1-5; Lc 7,18-28
Partiamo dal primo brano, tolto dal libro di Isaia, precisamente del secondo Isaia. Siamo al capitolo 45, primi otto versetti. Il profeta anonimo, vissuto un paio di secoli dopo l’Isaia classico, rivolge il suo messaggio agli ebrei esuli in Babilonia invitandoli a prendere coraggio e a rientrare nella terra dei padri per ricostruire la nazione, in seguito all’editto di Ciro il Grande (538 a.C.), il nuovo dominatore persiano, che aveva sconfitto i babilonesi, gli artefici della distruzione di Gerusalemme.
Già sul termine “ricostruzione” vorrei fare una prima riflessione, che ritengo di estrema importanza. A parte la nazione ebraica che ha subìto, nella sua millenaria storia, dal capostipite Abramo fino ai nostri giorni, una lunga serie di disfacimenti e di ricostruzioni, possiamo dire che ogni popolo, chi più chi meno, è soggetto alla legge della storia che, per la sua stessa natura, ovvero per la sua innata evoluzione, mette a dura prova, costringendo ogni nazione a confrontarsi con la coscienza universale.
La storia tuttavia alterna fasi di progresso a fasi di decadenza. GiamBattista Vico, filosofo, storico e giurista italiano, vissuto tra il 17° e il 18° secolo, parla di “corsi e ricorsi storici”. Ciò non significa, come comunemente si interpreta, che la storia si ripeta. Significa, piuttosto, che l’uomo in sé, nella sua dignità, come essere, è sempre uguale a se stesso, pur nel cambiamento delle situazioni e dei comportamenti storici. Ciò che si presenta di nuovo nella storia è solo paragonabile per analogia a ciò che si è già manifestato. Così, ad esempio, ad epoche di civiltà possono seguire epoche di “ritornata barbarie”; ad epoche nelle quali più forte è il senso di una determinata categoria, seguono altre nelle quali si sviluppa maggiormente un altro aspetto della vita. La storia, dunque, è sempre uguale e sempre nuova. In tal modo è possibile comprendere il passato, che altrimenti ci rimarrebbe oscuro, perché: “Historia se repetit”. In altre parole potremmo dire che l’essere umano è una potenzialità quasi illimitata, che subisce però degli arresti, o addirittura dei ritorni nel passato, ma che è sempre pronto a rifarsi, a riprendersi, a continuare nel suo percorso verso la realizzazione almeno di qualcuna delle sue quasi infinite potenzialità.
Quando si parla di GiamBattista Vico si ricorda l’espressione “eterogenesi dei fini”, espressione che in realtà è stata coniata da un filosofo e psicologo tedesco, ma di cui Vico ha avuto il merito di teorizzare la concezione. “Eterogenesi dei fini” significa: mi propongo un fino o uno scopo, ma in realtà ne raggiungo un altro. La storia, secondo Vico, raggiunge, tappa dopo tappa, un qualche fine, per la sua stessa natura, proprio perché la storia umana contiene in sé potenzialmente la realizzazione di certe finalità che vanno al di là delle intenzioni degli esseri umani. Tale percorso però non è lineare. Può accadere che, mentre ci si propone di raggiungere alti e nobili obiettivi, la storia arrivi a conclusioni opposte. Ma il ricorso storico è solo temporaneo. Mentre l’umanità si dirige al perseguimento di intenti utilitaristici e individuali, succede che si realizzino invece obiettivi di progresso e di giustizia secondo il principio della eterogenesi dei fini. Con forza, coraggio, fatica e sofferenza ogni volta l’umanità ha saputo e saprà sempre riprendere il suo cammino progressivo. Forse l’immagine più esplicativa per capire il pensiero di Vico è quella della spirale: pensate anche ai tornanti quando si scala una montagna.
Gli uomini saranno anche dotti, ma solitamente hanno poca intelligenza, nel senso più etimologico del termine “intelligenza” (da intus+legere, leggere dentro, in profondità). Anche gli storici più seri tendono a cascare nel tranello di dare tutta la colpa del male a personaggi loschi o di dare un grande merito del bene ai santi o ai giusti, dimenticando che, al di là di tutto questo alternarsi di bene e di male, la Storia umana prosegue nel suo cammino di raggiungere finalità diverse da quelle perseguite dagli uomini. La Storia tende alla piena realizzazione dell’Umanità. In forza di questo principio, evitiamo di essere i soliti catastrofisti. È vero che ci stiamo scavando la fossa con le nostre stesse mani, è vero che ogni ricorso storico crea dei guai all’Umanità, è vero che il mondo sta soffrendo i dolori di un parto che sembra quasi infinito, è vero che l’eterogenesi dei fini la prendiamo nel suo verso negativo: il progresso dell’Umanità è messo continuamente sotto minaccia dagli sporchi giochi dei potenti di questo mondo, è purtroppo vero tutto questo, tuttavia i nostri sforzi per un mondo migliore non saranno inutili se crediamo che Dio sa ricavare dal male anche il bene, se crediamo che nessuno potrà mai fermare la Storia che cammina in un progresso inarrestabile. Va avanti realizzando i suoi fini positivi, che sorprenderanno ogni tentativo di contrapporre ad essi altri fini del tutto negativi.
Se è vero che, come ho detto poco fa, la Storia non è fatta solo da personaggi loschi e nemmeno dai santi, però la Storia si serve di alcuni di loro per i cosiddetti corsi e ricorsi storici. La Bibbia parla di castighi o di punizioni di Dio, ma parla anche di purificazioni e di pentimenti, sempre chiamando in causa personaggi storici o politici. Un caso è quello di Ciro il Grande. Il primo brano di oggi è esplicito in questo senso.
Ciro viene chiamato addirittura “unto”, cioè consacrato dal Signore, e insediato sul trono (“preso per la destra”) alla maniera degli stessi re di Giuda. Come costoro erano scelti dal Signore per essere strumenti di giustizia e di pace per il popolo, così ora è Ciro ad essere lo strumento per la salvezza e la liberazione che Dio vuole offrire a Israele esule a Babilonia. Con la differenza che, mentre non tutti i re d’Israele sono stati all’altezza della loro missione, il pagano Ciro si sente investito di una missione che, pur non conoscendo il mandante misterioso, eseguirà con fedeltà i suoi voleri. Già qui vediamo la concezione profetica della storia biblica, secondo la quale è Jahwe, il Signore universale, che esercita la sua signoria sul mondo e sulla storia.
Non so se interpreto bene la Bibbia. A me sembra che anche noi moderni dovremmo imparare tante cose. Dio si serve di tutti, anche al di fuori della nostra religione, per farci ravvedere e riportarci sulla strada della giustizia evangelica. Anche noi credenti siamo soliti dire: Non è uno dei nostri, non possiamo fidarci di lui! Che cosa di buono possiamo aspettarci da un ateo o da un anticlericale o da uno che non appartiene alla nostra religione? A dividere Martin Luther King, Gandhi, Madre Teresa di Calcutta, san Francesco d’Assisi, Bonhoeffer è stata la religione, non la loro fede nell’Umanità. Quando, come facciamo ancora oggi, giudichiamo come bravi i politici dalla loro fede cattolica o dal loro impegno in difesa dei valori cosiddetti cattolici, non penso che siamo in linea con il progetto misterioso di Dio, la cui Provvidenza non ha per fortuna i nostri occhi o paraocchi.
Ma il primo brano è ancora più interessante verso la fine. “Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia! Si apra (si squarci) la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia! Io, il Signore, ho creato tutto questo”.
Gli studiosi dicono che si tratta di un breve inno, molto simile al Salmo 85,9-13. Attraverso l’immagine della fecondità assicurata dall’acqua, che scende dal cielo e fuoriesce dalla terra, che produce fiori e frutti (senz’acqua non c’è vita, abbiamo avuto una prova durante la siccità dell’estate scorsa), si rappresenta un mondo trasformato e trasfigurato nella giustizia e nella pace. Soprattutto nella tradizione cristiana questo mini-inno è divenuto un testo messianico che celebra l’incarnazione di Cristo disceso dal cielo ed entrato nella terra degli uomini. La liturgia ha preso questo inno e l’ha fatto un canto caratteristico del tempo d’Avvento. Non ha forzato l’interpretazione originaria che naturalmente riguardava più da vicino l’attesa di un liberatore, stavolta nei panni di Ciro il Grande, ma ha colto il cosiddetto “senso pieno” di una profezia che va ben oltre il momento storico. Neppure i profeti del tempo riuscivano a comprendere in pieno ciò che dicevano o scrivevano. Quante volte gli evangelisti riportano la frase: In tal modo si sono realizzate le profezie degli antichi! Le profezie si colgono dopo la loro realizzazione. O meglio, col tempo la profezia si avvera, e man mano se ne capisce tutta la sua portata, il suo valore, appunto il senso pieno.
Infine, solo una brevissima riflessione sul secondo brano della Messa. Sulla figura di Giovanni il Precursore mi soffermerò nell’omelia della quinta domenica di Avvento, il prossimo 16 dicembre.
In poche parole, nella sua lettera ai cristiani di Roma, l’ebreo Paolo mostra con un grido accorato tutto l’amore per il suo popolo: “Ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua”. E arriva a dire: “Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne”. Parole forti che ancora oggi potrebbero sembrare quasi una sfida allo stesso Dio. Che importa di me, della mia salvezza? Dio mi condanni pure ma salvi il mio popolo! Ecco in sintesi le parole di Paolo. Oggi potremmo dire: Che Dio mi mandi all’inferno, ma salvi la Chiesa! Per il bene dell’umanità sarei pronto a qualsiasi cosa, anche alla mia condanna! Se una cosa la devo dire, la dico anche se dovessi andare all’inferno!
Chi oggi direbbe queste cose? Chi sarebbe pronto a farsi crocifiggere nella più totale umiliazione per salvare questa società? Tutti pronti a parole, a suon di promesse elettorali, tutti pronti a parlare di bene comune, di bene del paese, di bene della propria religione, e poi? Ognuno pensa a salvarsi l’anima propria, e possibilmente anche il proprio corpo. Diciamo: i propri interessi, la carriera, un bel conticino in banca!
Lei, don Giorgio, dice “…il pagano Ciro si sente investito di una missione che, pur non conoscendo il mandante misterioso, eseguirà con fedeltà i suoi voleri. Già qui vediamo la concezione profetica della storia biblica, secondo la quale è Jahwe, il Signore universale, che esercita la sua signoria sul mondo e sulla storia.”
Infatti, Dio promette al suo eletto “Io marcerò davanti a te”
Per questo ritengo che il Sionismo non c’entri niente con la Storia del Popolo Eletto, in quanto nella profezia è l’Emanuele che conduce e non la decisione umana.
Questo, a mio avviso, è causa delle difficoltà attuale dell’umanità e della mancanza di Pace nel mondo!