1 dicembre 2019: TERZA DI AVVENTO
Is 35,1-10; Rm 11,25-36; Mt 11,2-15
Un po’ di chiarezza sul libro di Isaia
Per non sentir dire e ridire le stesse cose commentando il Vangelo di oggi, vorrei invece soffermarmi sul primo brano, tolto dal libro 35 di Isaia. Ma di quale Isaia si tratta?
Credo che sia sempre utile ripetere, per non cadere nel rischio di fraintenderne le parole, che il libro di Isaia è diviso in tre parti. La prima, dal capitolo 1 al 39, viene attribuita dagli studiosi a Isaia, profeta vissuto nella seconda metà dell’VIII secolo a.C, sotto i re Acaz e Ezechia. I capitoli che vanno dal 40 al 55 appartengono ad un altro profeta, però anonimo, vissuto negli anni successivi al 538 a.C., quando il re persiano Ciro II il Grande, vinti i Babilonesi, aveva permesso agli ebrei esuli a Babilonia di tornare nella terra dei padri, abbandonata nel 586 a.C., al momento della distruzione di Gerusalemme. E poi c’è un altro profeta anonimo (terzo Isaia) che ha scritto i capitoli dal 56 al 66, vissuto durante la ricostruzione di Gerusalemme e negli anni successivi.
Ma, c’è un ma. Non tutti i capitoli dall’1 a 39 fanno parte del profeta di nome Isaia dell’VIII sec. a.C. Ad esempio i capitoli dal 34 al 39 contendono già lo stile del secondo Isaia. Il capitolo 35, di cui fanno parte i primi dieci versetti del primo brano della Messa, è da collegare con il capitolo 34: costituiscono insieme la cosiddetta “Piccola Apocalisse”, un dittico che oppone a una scena cupa di giudizio (capitolo 34) un quadro solare di salvezza (capitolo 35).
La Piccola Apocalisse
Il capitolo 34 inizia con un solenne invito all’ascolto: «Avvicinatevi, popoli, per udire; nazioni, fate attenzione». Ed ecco subito entrare in scena il Signore trionfatore che ha vinto tutti gli eserciti del mondo, sterminandoli in una specie di “guerra santa”. Attenzione al genere letterario. È un modo simbolico per dipingere la vittoria radicale di Dio sul male. Certamente, al lettore moderno il testo risulta molto realistico e impressionante ed è portato a rifiutarlo, ma deve essere correttamente interpretato nella prospettiva della speranza di un nuovo ordine sociale universale. Dunque, questo nuovo ordine sociale universale non sembra realizzarsi in modo del tutto pacifico, ma attraverso la violenza. Dio sembra la violenza personificata. Si parla di una spada divina “piena di sangue”, gocciolante di grasso: è l’esaltazione simbolica dell’inevitabile giudizio di Dio contro i prepotenti. Possiamo dire che è macabra la descrizione della morte di Edom, una popolazione nemica del popolo ebraico, che nella distruzione di Gerusalemme si era affiancata come alleata ai Babilonesi. Volete un assaggio del racconto della distruzione di questa popolazione? I fiumi diventano corsi di lava, la terra è bruciata come zolfo, la campagna arida, i residenti sono soltanto gli animali selvatici, la livella e il piombino sono usati per misurare ciò che si deve distruggere e non ciò che si deve erigere, sparisce la classe dirigente, le città sono invase dalla vegetazione, il deserto si popola di spiriti maligni. È il Signore stesso a spartire il paese di Edom tra le bestie selvagge per sempre, così che non venga mai più abitato. Questa è la “vendetta” del Signore.
Forse bisognerebbe una buona volta chiarire il termine “vendetta” di Dio, che troviamo presente nell’Antico Testamento.
La “vendetta” è vista in funzione della giustizia da ristabilire contro il male e l’oppressione. Una “vendetta” che comporterebbe sangue, violenza, stragi, morte? Dal racconto biblico potrebbe sembrare così, ma la Bibbia va letta con gli occhi dello Spirito. Purtroppo, l’abbiamo sempre letta con gli occhi della carne, che vedono solo all’esterno o dall’esterno la realtà.
Certo, il male in quanto tale va combattuto, come vanno combattuti i comportamenti dei delinquenti e disonesti, politici compresi. Non con la violenza fisica, ma con una condanna anche verbale, dura e ostinatamente violenta.
L’èra messianica
Il capitolo 35 è in forte contrasto con quello precedente. Secondo la tradizione successiva ci troviamo di fronte a una specie di annuncio dell’èra messianica, segnata da una piena e perfetta armonia di tutto l’essere.
Commenta don Raffaello Ciccone: «Il profeta ha davanti agli occhi la desolazione dell’esilio e ancor più quella di Gerusalemme e del monte Sion, diroccato e distrutto. Ma agli occhi del profeta sorge un nuovo mondo, pieno di luce e di speranza. Finalmente si capovolgono le realtà di ingiustizia e di violenza. Finalmente Dio mette mano alla storia e riprende a dare speranza al suo popolo deportato… In questo capitolo si intravede la salvezza che Dio porta: le immagini sono splendide, cariche di poesia e di sogno, ma anche di progetti, di sviluppo, di fecondità, di gioia e di benessere. Nella prima parte il mondo viene rigenerato come un giardino, quasi un paradiso terrestre, e i luoghi nominati: Libano, Carmelo e Saron, sono splendidi e i più rigogliosi nel Medio Oriente. Dio mostra la sua potenza sul mondo che viene rigenerato. Ma la preoccupazione prima è per chi abiterà questa magnifica casa rinnovata. Scompaiono le infermità fisiche e spirituali: “Guariranno i ciechi e i sordi, lo zoppo e il muto festeggeranno nuovamente in pienezza il tempo” (il numero 4 ricorda l’universalità della terra). Nella bellezza della rinascita è fondamentale l’acqua, come nel paradiso terrestre. E l’acqua trasformerà il deserto, ridarà fecondità al mondo e gioia di vivere su queste terre, un tempo desolate. Sarà un mondo abitato, e non deserto, percorso da strade senza pericoli. Neanche gli inesperti si potranno perdere. La via santa, piana e diritta, è simile a quelle che anticamente sono state tracciate davanti ai templi antichi per le processioni che collegano tra loro: su queste strade, in processione, i devoti portano le statue dei loro dèi. Ci sarà gioia piena e ci si richiama all’uso di particolari culti di portare corone di fiori sul capo: “felicità perenne splenderà sul loro capo”».
Immagini, ma solo immagini?
In questo brano il profeta ricorre alla vegetazione come immagine della salvezza. Solo noi moderni abbiamo perso il valore delle immagini, da prendere dal mondo naturale e vegetale. Usiamo immagini tecnologiche, corporali, carnali, meccanicistiche. Abbiamo perso l’anima del creato, e non riusciamo più a inventarci qualcosa di veramente bello, immagine dello Spirito. Pensate al Natale e a tutti i suoi moderni simbolismi: o tanto dolciastri da irritare i sentimenti più belli o tanto banali da toglierci il senso del Mistero. Ci siamo aggrappati al consumismo più becero, perdendo così la mistica dell’essere divino.
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