01 dicembre 2024: TERZA DI AVVENTO
Is 45,1-8; Rm 9,1-5; Lc 7,18-28
Prendo altre riflessioni sugli appunti di don Maurizio Bidoglio. Li ritengo ancora di forte stimolo per vivere intensamente questo periodo dell’anno, che la stessa Liturgia definisce “propizio”, “favorevole”, addirittura “forte” per la sua carica anche emotiva, ma soprattutto interiore o mistica.
Certo, ci vogliono anche dei “segni” esteriori diciamo fisici che richiamino l’Avvento. Quando un credente entra in chiesa, durante l’Avvento, dovrebbe già capire che si trova in un momento particolare, perché aiuta a rivivere uno dei due Misteri principali della nostra fede: 1. Unità e Trinità di Dio; 2. Incarnazione, passione, morte e resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo. Basterebbe pensare al semplice segno di croce, che un tempo i cristiani ripetevano spesso, diciamo quotidianamente: con le parole, “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito” c’è il richiamo del Mistero trinitario, e con il gesto di fare una crocetta sulla fronte, sulle labbra e sul cuore richiamiamo il secondo Mistero.
Forse non immaginate quanta suggestione e quanto fascino i segni simbolici abbiano sui più piccoli, e noi preti presi anche stupidamente da altri interessi, stiamo tradendo un po’ tutti, sia la sete della Grazia divina degli adulti sia le migliori energie presentii benché ancora in germe nei più piccoli.
Talora basta poco, anche un semplice tocco più mistico ai riti liturgici, e tutto diventa un contesto di fede nel Mistero divino.
Adesso riprenderò un brano, dal titolo: “Tra dubbi e abbandoni… però nelle mani del Padre”, iniziando da una breve premessa.
«La vita è tremendamente seria e affascinante. Più è seria, più è affascinante. Non credi? Una vita-vita affonda le sue radici nella fede. Cioè in Dio, Verità incrollabile. Più padroni non ti danno più garanzie. La tua sicurezza è nel servire quell’Unico che è Signore e Padre nello stesso tempo. Ti vuole figlio, non schiavo. Servire, nel Regno di Dio, è regnare. Comincia dal tuo interiore. Da lì parte l’avventura, nella libertà eppure nel servizio».
Ora riflettiamo.
«Albero, radici, frutti buoni, scure e recisione, fuoco e distruzione: immagini efficacissime che esprimono quanto la vita sia seria e quanto la nostra libertà debba essere responsabile.
Era questo che Giovanni Battista intendeva dire. La vita non è un gioco: la vivi o perdi tutto. Il cristiano punta gli occhi verso l’orizzonte perché crede nella vita eterna, e scruta il presente perché l’eternità è già qui, in bocciolo.
Cristo è la vita: la vita che viene, la vita che germoglia e la vita che fruttifica. Se non attendo lui, nulla mi potrà svelare il senso che va oltre le cose, oltre la morte. Quel senso profondo che mi darà la forza per affrontare la prova, per superare il dubbio.
La fede — il senso profondo di Dio — mi sorregge nel viaggio verso l’Eterno. La fede è più di una tavola o una corda a cui il naufrago si aggrappa per non affondare.
Non possiamo vivere come canne agitate dal vento, che si piegano e ripiegano per servire, succubi, mille padroni: esse non pensano, al loro posto pensano le folate più forti, i signori del momento.
Le canne agitate dal vento non sopportano i profeti, servi di Dio ma di nessun altro padrone.
I profeti offrono la loro testa sul piatto del festino, pur di non rinunciare alla verità. Una testa mozzata su un vassoio testimonia più che una testa sul collo, ma vuota e ciondolante.
Anche Giovanni ha dubitato: era proprio lui, Gesù, suo cugino, il Cristo veniente?
I dubbi servono per crescere, per verificare a che punto siamo, se ci troviamo sulla strada giusta. Il dubbio ci riporta alla realtà: alla nostra dimensione di creature precarie.
Perché abbiamo paura di interrogarci sulle convinzioni, sulle nostre scelte, sulla gerarchia dei valori?
Ora concentriamoci, e poniamoci qualche domanda. La fede non ci garantisce dai dubbi; anzi, essa teme le sicurezze ostinate, l’orgoglio di un credere senza veli. È lo Spirito Santo a riportarci entro i recinti dei nostri limiti. L’eccessiva sicurezza del credere può condurci lontano da Dio.
Quante illusioni coprono l’orgoglio del credere! I dubbi sono mortificati dalle certezze intellettuali, dalle opinioni umane rese sacre dalla superbia della mente.
Ma i dubbi svaniscono di fronte all’evidenza della carità. Gesù di Nazareth, che ha speso se stesso per i più deboli – ciechi, zoppi, lebbrosi, sordi, poveri –, non può che risolvere i miei dubbi. Come ha risolto quelli di Giovanni.
Incontro Cristo sulla strada della miseria umana. I poveri garantiscono la validità delle mie scelte. La mente si apre, il cuore si rafforza, le incertezze crollano: Cristo è lì.
Posso non vederlo? Sì, posso anche non vederlo, se non vedo il povero che è in me, il cieco, la lebbra che ho dentro.
È assolutamente necessario che io, povero, riceva la Buona Novella, che il cieco che vive in me si apra alla luce, che la lebbra di cui io stesso sono affetto sia mondata.
È sconcertante, ma ancora oggi noi cristiani pretendiamo da Cristo un certificato di buona condotta per ciò che facciamo a beneficio degli altri.
Il miglior certificato è il mio atteggiamento interiore, di povertà, di miseria, di perdono.
Cristo viene per me. Poi, tutto il resto verrà. Nell’umiltà più servizievole e nella carità più disinteressata».
Vorrei aggiungere qualcosa d’altro, tenendo conto che viviamo in questo momento del tutto particolare. Forse anticamente c’era bisogno sì o forse no di momenti forti per rivivere la propria fede. I cristiani la rivivevano ogni giorno, anche nella durezza di una esistenza al limite di sopportabilità. Non erano neppure distratti da desideri, perché tutto era negato, anche il desiderio. Oggi tutto è diventato una rincorsa ai desideri, più o meno realizzabili, ma il desiderio sbagliato è sempre distraente, possessivo, che porta lontano dalla ricerca di quella essenzialità, che è il cuore della fede pura.
Anzi, oggi assistiamo a una rivincita del paganesimo più osceno e dissacrante. Gli antichi idolatri erano più credenti di noi moderni, cristiani solo di nome perché materialmente battezzati. Ma a peggiorare la situazione è una Chiesa istituzionale a cui interessa solo mostrare quanto è ancora bella la sua pelle. Una volta c’erano messaggi stimolanti dei vescovi diocesani, quando si avvinava l’Avvento o la Quaresima. Messaggi che puntavano al sodo del Mistero da rivivere con intensità di fede. Oggi c’è una gara in imbecillità tra comuni e parrocchie, nel proporre solo iniziative puramente esteriori, e i comuni addirittura si sono ripresi qualche facciata religiosa, organizzando strani itinerari di fede visitando chiese in disuso. Tutto ridicolo, da far piangere anche i sassi.
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