Omelie 2014 di don Giorgio: Presentazione di Gesù al Tempio

2 febbraio 2014: Presentazione del Signore
Ml 3,1-4a; Rm 15,8-12; Lc 2,22-40
La liturgia dovrebbe celebrare oggi la quarta domenica dopo l’Epifania. Ma è il 2 febbraio, per cui prevale la festa della Presentazione di Gesù al Tempio. Tra parentesi. La liturgia è del tutto strana. Se càpita una festa importante in onore di Maria, come l’Assunzione o l’Immacolata, allora prevale la liturgia domenicale, e pensare che ogni festa in onore di Maria è legata al Mistero di Dio. Se càpita invece una festa, come quella di oggi, che riguarda un’usanza rituale a cui anche il bambino Gesù, essendo un ebreo, è stato sottoposto, allora salta la liturgia domenicale. Penso che ci sarebbe da discutere su queste scelte liturgiche.
Secondo la legge ebraica, risalente addirittura all’Esodo, ai tempi di Mosè, i primogeniti maschi dovevano essere presentati al Signore, davanti al tabernacolo (allora non c’era ancora il tempio in muratura, ma la Tenda del Convegno), per essere riscattati in quanto proprietà di Dio: il riscatto comportava un’offerta che variava secondo le diverse categorie sociali. Questa cerimonia avveniva dopo quaranta giorni dalla nascita, perché, sempre secondo la legge ebraica, una donna che aveva partorito era considerata impura per un periodo appunto di quaranta giorni. Terminati i quaranta giorni, la mamma si recava davanti al Signore non solo per riscattare il figlio, ma anche per purificare se stessa. Qui potremmo aprire una lunga parentesi, ma non è il momento. Dico solo che anche la Chiesa cattolica ha mantenuto a lungo questa tradizione ebraica, secondo la quale la donna che partoriva commetteva un peccato, e perciò fino a qualche tempo fa la madre doveva recarsi in chiesa per ricevere dal parroco una speciale benedizione di purificazione, e, in certi paesi, prima dei quaranta giorni non poteva nemmeno uscire di casa. Ma immaginate la contraddizione? La Chiesa imponeva di avere tanti figli, ancora oggi, e poi diceva: ogni volta commetti però un peccato. Ancora oggi stabilisce le regole. E poi chissà perché questo valeva solo per la donna! Beh, è vero, oggi non esiste più la benedizione per le puerpere, ma ancora oggi quanti tabù inerenti al sesso! Sembra che la Chiesa veda solo il sesto comandamento!
Allora capite perché la devozione popolare dalla festa in onore della Presentazione del Signore sia passata a venerare la Purificazione della Madonna. Non solo. Questa festa, prima in onore del Signore, poi della Madonna, è diventata successivamente la festa della Candelora, ovvero delle candele. Oggi è rimasta solo la benedizione delle candele. Perché le candele? Anticamente la Messa era preceduta da una processione con le candele accese, come simbolo di luce, in riferimento alle parole, riportate da Luca, che Simeone aveva pronunciato, nel suo canto di ringraziamento al Signore, noto dalle sue prime parole in latino “Nunc dimittis” (“Ora puoi lasciare, o Signore”): Simeone parla di Gesù come “luce per illuminare le genti”, ovvero le popolazioni pagane. Ci sarebbe dell’altro. Sapete che i primi cristiani avevano l’usanza di cristianizzare le feste pagane. Secondo alcuni studiosi, la Candelora fu introdotta in sostituzione di una festa pagana preesistente, che segnava il passaggio tra l’inverno e la primavera, ovvero tra il momento di massimo buio e freddo e quello di risveglio della luce.
Ad ogni modo, anche queste notizie storiche servono a farci riflettere. La prima cosa che si nota è l’importanza che anticamente aveva la luce. È vero che il popolo facilmente riduce tutto a superstizione o a scaramanzia: anche accendere una candela può assumere questo pericolo. Tuttavia non possiamo dimenticare quanta sia preziosa la luce, che anche una piccola candela può rappresentare, quando la si accende. La candela fa luce. Ancora oggi, quando va via la corrente, subito cerchiamo una candela. La candela! Quando sei solo in chiesa, e c’è un po’ di penombra, le candele accese davanti alla statua della Madonna, o davanti al Santissimo, ti dicono tante cose. La candela si consuma, perché è accesa. Anche la nostra vita si consuma, volere o no: il tempo passa per tutti, ricchi o poveri. Nessuno può fermare il tempo. Tuttavia possiamo consumarci per le cose che consumiamo, oppure per gli ideali che assorbono la nostra vita. La fiamma consuma la candela. Così dovrebbe essere della nostra esistenza.
La candela richiama la luce. Pensate che le Chiese anticamente venivano costruite orientandole da occidente a oriente, verso il sorgere del sole, simbolo di Cristo. La festa del Natale di Gesù non ha forse sostituito la festa del “Sol invictus” (Sole sempre vincitore), una festa con cui i pagani celebravano la vittoria della luce sulle tenebre? Pensate anche al Cero pasquale, che si accende la Notte del Sabato Santo, prima dell’annuncio della risurrezione di Cristo.
Il Vangelo di oggi ci presenta due anziani: un uomo e una donna, Simeone e Anna. Nella Bibbia troviamo frequentemente figure di anziani, su cui il Signore poneva la sua fiducia e le sue speranze. Oggi diciamo: avanti i giovani! Giustissimo. Ma non è l’età anagrafica che conta: è lo Spirito che dà la vita, non l’età. E, se devo dirla tutta, oggi sono i giovani che mi preoccupano: sembrano già morti prima del tempo. Invece vedo anziani che con l’età non spengono le loro energie interiori: anzi, sembrano rivivere man mano passano gli anni. Questo succede nella società civile, e questo succede anche nel mondo ecclesiastico. Ultimamente a cambiare il volto alla Chiesa sono stati in particolare due anziani: Papa Giovanni XXIII e l’attuale Papa Francesco. E per essere ancora più sinceri: dai preti giovani di oggi mi aspetto poco, li trovo omologati al sistema, certo attivi nel loro darsi da fare, nelle iniziative o altro, ma con tanta paura di esporsi e di aprirsi al Nuovo che avanza. Questi preti giovani sono figli del loro tempo, e questo tempo, volere o no, nonostante la precarietà che lo sta consumando, rimane impregnato di tanto borghesismo che intacca ogni apertura. Il sistema ecclesiastico in fondo fa comodo a tutti: si ha un posto sicuro, casa e stipendio, si può fare anche carriera, e si trovano nello stesso tempo, sempre obbedendo almeno formalmente alla struttura curiale, spazi per le proprie esigenze personali. Una volta si diceva: bisogna fare prima un po’ di gavetta, che significa, come dice il dizionario, fare un lungo periodo di apprendistato svolto ricoprendo ruoli modesti. A parte Gesù, il vero Maestro, anche noi preti dovremmo avere come modelli di vita e di fede qualche grande maestro, e non crederci subito degli arrivati. Fare gavetta significa anche fare esperienza, sotto la guida di qualche saggio, pieno di Spirito Santo. Noi preti diocesani abbiamo il vantaggio di non appartenere a nessun gruppo o movimento: siamo liberi nella libertà dello Spirito santo. Ciò che conta è il bene del popolo, e oggi sappiamo quanto questo popolo abbia bisogno di guide sagge, coraggiose, aperte, totalmente al servizio dell’Umanità.
Oggi è anche la trentaseiesima giornata nazionale per la vita. Come ogni anno, anche per questa giornata il Consiglio Episcopale Permanente ha inviato alla Chiesa italiana un messaggio, il cui tema è: “Generare futuro”.
Tutti sanno, o dovrebbero saperlo, che questa Giornata è nata per combattere l’aborto: infatti è stata istituita nel 1979, all’indomani della legalizzazione dell’aborto in Italia (1978) con la cosiddetta legge 194. Dopo 36 anni, la Giornata ha mantenuto ancora questa caratteristica diciamo polemica. Dunque, l’espressione “per la vita” ha un limite di tempo o di età: riguarda il concepimento. Anche il Messaggio dei vescovi per la Giornata di oggi, 2 febbraio 2014, risente di questo limite. A me piace il tema: “Generare futuro”, tutto però dipende dal senso che diamo al verbo “generare”.
Certo, la vita è futuro, ma è anche presente, un presente aperto al futuro, altrimenti che vita sarebbe? Una vita da racchiudere solo in quel breve attimo che sto vivendo? E allora, se fosse così, avrebbe ragione chi vive il motto: carpe diem (afferra l’attimo fuggente e spremilo fin che puoi).
Parlare di vita è parlare soprattutto del contesto socio-politico e religioso, in cui la vita si trova ad affrontare i problemi esistenziali. Se lotto perché tutti abbiano il diritto di nascere, devo lottare anche perché tutti abbiano il diritto di vivere. Non basta dire: no all’aborto, bisogna dire sì alla vita. L’esistenza di una persona può avere un arco di tempo molto lungo: la vita deve riempiere tutto questo arco di tempo, dall’inizio fino alla fine, naturalmente alla fine “naturale”, e non artificiale (quella legata ad una macchina magari sempre più tecnologica e sofisticata), che è un’altra cosa.
Talora mi chiedo, è una domanda che anche voi vi sarete posti: quanta vita do al mio tempo? Oppure: che senso do ad ogni istante della mia giornata? Riempio il tempo di tante cose inutili, senza senso, per nulla vitali, oppure, ecco, riprendendo il motto “carpe diem”, riempio ogni mio istante di un valore tale che, quando l’istante passa, il valore rimane? Prendo l’istante, e lo riempio di vita.
“Generare futuro”: riguarda soprattutto i ragazzi. Ma i ragazzi che futuro hanno davanti se sono costretti a vivere in un contesto che non li aiuta a crescere? Se gli adulti si stancano di vivere in pienezza, con forti ideali, anche i ragazzi ne risentiranno.
“I figli sono la pupilla dei nostri occhi… Che ne sarà di noi se non ci prendiamo cura dei nostri occhi? Come potremo andare avanti?”. Così Papa Francesco all’apertura della XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù ha illuminato ed esortato tutti alla custodia della vita, ricordando che generare ha in sé il germe del futuro.
E noi adulti siamo ancora qui a spendere tutto il nostro tempo a parlare di tasse, di soldi, di economia, di legge elettorale (tutte cose, comunque, che hanno una loro incidenza sulla nostra vita anche democratica), dimenticando che generare il futuro è anzitutto creare il contesto vitale per la crescita dei nostri ragazzi?

 

 

Lascia un Commento

CAPTCHA
*