L’EDITORIALE
di don Giorgio
Il Bene Assoluto, da cui il Bello…
Vorrei partire da una domanda, che mi pongo in continuazione: se, come è un dato di fatto riconosciuto universalmente, l’Italia è il paese più incantevole, sia per le sue bellezze naturali che per le sue opere artistiche, come mai la gente che ci vive non sembra così bella e nobile d’animo, alla pari della bellezza che la coinvolge volere o no?
Se è vero che “la bellezza salverà il mondo” (frase su cui bisognerebbe discutere all’infinito) non sembra proprio che la bellezza finora abbia salvato gli italiani da una imbecillità la più brutale.
Vivere in mezzo a una natura che odora infinitamente di bellezza o in città ricche di opere d’arte non aiuta forse a crescere in armonia con il Divino? Sembrerebbe di no: come mai? Che noi italiani indossiamo corazze così tenaci da proteggerci da ogni raggio del sole divino?
Bruti nell’animo fino a dissacrare ogni sacralità, viviamo solo di carnalità o di superficialità estetiche tali da farle apparire come segno di progresso culturale.
Esagero? Ma che dici? Mi trattengo per non sporcare questi fogli con parole che andrebbero urlate nel posto giusto, ovvero nella tana dei bruti.
Parlare di bello e di bene non è facile per una massa di cretini, ma è un dovere, anche per un solo giusto che temesse di farsi influenzare dalla massa dei bifolchi.
Ero tentato di offrirvi integralmente un testo scritto da Simone Weil quando aveva appena sedici anni, che ha come tema “Il bello e il bene”. Ma preferisco dire qualcosa che possa stimolare la vostra riflessione, tenendo conto delle parole d’esordio della filosofa francese: «L’uomo vive secondo tre modalità: pensando, contemplando, agendo. Quindi, ritenendo che nell’universo qualcosa corrisponda a queste tre modalità, si forma le idee del vero, del bello e del bene. Se si considerano, in particolare, il bello e il bene, si potrà pensare che, posto l’essere uno dell’uomo, il bello e il bene non possano essere assolutamente separati».
La Scolastica medievale parlava di “trascendentali”, pensando appunto al bene, al vero, al bello, nel senso che ognuno non è un valore a sé, ma interscambiabile e inseparabile. Una cosa per essere bella deve essere anche necessariamente vera e buona, e così via.
Secondo anche il pensiero di Platone e di Plotino, Dio è il Bene Assoluto, di cui la Bellezza è un riflesso, una emanazione. Dalla bellezza si risale al Bene. Ogni segno di bellezza è un richiamo del Bene. La bellezza dunque non è qualcosa a se stante, tanto meno una determinata cosa o una determinata persona. Ogni cosa e ogni persona col tempo perdono il loro fascino esteriore, mentre l’Idea della bellezza rimane. Ogni Idea è eterna, perché partecipa dello Bene assoluto.
Dunque, di per sé la bellezza non salverà il mondo, ma il Bene assoluto. Già dire che la bellezza è un riflesso o una emanazione del Bene assoluto mette necessariamente la bellezza in riferimento al Bene. Una bellezza è tale in quanto riflesso del Bene, altrimenti non è bellezza, ma solo una apparenza: una bellezza di superficie, carnale, esteriore.
Allora i casi sono due: o che la bellezza naturale sia talmente offuscata da non essere un riflesso del bene Sommo, e che le opere d’arte siano belle forme ma solo carnali, oppure che gli italiani siano talmente rozzi e ciechi da non vedere nulla di buono o di bello. Forse un po’ tutto questo: un popolo che ha messo un velo impenetrabile sulla natura e che ha spento ogni genio d’artista e che, quando va in giro a contemplare qualche bellezza naturale o a visitare mostre d’arte, fa il turista che cerca qualche soddisfazione godendosi qualche curiosità, o per apparire sensibile al bello quando ha tagliato i ponti col Divino.
Certo, ogni bellezza è un richiamo del Divino: Simone Weil parlava di “trappole” deposte dal Creatore in ogni zolla del Creato, ma l’imbecille ci cammina sopra, senza sentire nemmeno un gemito che lo Spirito emette come risposta provocatoria.
Ma come si può cogliere qualche stimolo di bellezza in una società dove il brutto sembra predominare, la zizzania ha soffocato ogni seme divino? Me lo sto chiedendo, e forse senza avere quella fede pura richiesta per spostare le montagne. Ma basterebbe un solo granello, se le montagne sono macigni irremovibili? Eppure, fede o non fede, basterebbe una piccola attenzione, d’intelletto attivo, per disseppellire qualche seme divino.
NOTABENE
Ho trovato queste annotazioni.
L’associazione di “bello” e “buono” è profondamente radicata nella cultura greca classica dove questo ideale era espresso con il termine kalokagathía, (unione di kalós, “bello”, e agathós, “buono”).
La bellezza, infatti, nella concezione greca, riguardava l’umanità nel suo insieme: era il “modo di apparire” di un “modo di essere”, di pensare e comportarsi. Un obiettivo a cui tendere
Poeti, artisti e filosofi della Grecia classica aspiravano tutti a questo ideale di bellezza e bontà, percependo che nel suo manifestarsi c’è una parte di mistero e che esso si accompagna sempre a tutto ciò che è “Bene” nel senso più ampio (per esempio, in ottica di verità e di giustizia).
Tuttavia, Platone precisava che la bellezza può coincidere con la bontà, ma solo a condizione di compiere un processo di purificazione da praticare attraverso l’ascesi (cioè “esercizio” e “applicazione”) per essere davvero capaci, contemplando il bello, di apprezzare l’idea di bontà che gli è connessa.
La corrispondenza tra bellezza e bontà è piuttosto un obiettivo da perseguire e chi lo persegue apparirà bello dentro (anche se “brutto” all’apparenza, come era, per esempio, Socrate).
Anche il greco del Nuovo Testamento usa kalós per indicare il “buono” e il “bello”: perché la trascendenza del Dio ebraico-cristiano unisce in sé, in modo unitario, verità e bellezza, bontà e giustizia.
La categoria estetica diventa, quindi, sia attraverso la tradizione classica, sia attraverso quella cristiana, la grande categoria interpretativa del concetto di “Bene”.
11 maggio 2024
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