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02 Febbraio 2023
Flagelli d’Italia.
Vita, opere e topiche dei caporali
di Giorgia Meloni
di Alessandro De Angelis
Le conversazioni al 41 bis, l’archivio anarchico da bruciare, la moneta elettronica spacciata per moneta privata, Dante padre della destra. Hit parade delle assurdità di una classe dirigente
Primo posto. Andrea Delmastro, rieccolo. E guai a chi gli tocca il microfono. Quando non è in tv, concede interviste ai giornali. Alla centesima, a Repubblica, fa sapere che l’informativa del Dap non l’ha letta nel tinello che condivide con Giovanni Donzelli e, per l’amor di Dio, non ci pensa nemmeno a cambiare coinquilino. Alla centunesima, al Foglio, invece, fa sapere che, per evitare equivoci, magari cambia casa, anche se i contenuti dell’informativa del Dap glieli ha spifferati in Parlamento: “Prendeva appunti, mentre gliela leggevo. Ma ha sbagliato a diffonderla”. Scaricandolo, ammette che la colpa è anche sua, essendo atti riservati. In attesa della prossima scenetta da Totò e Peppino, toglietegli il microfono.
Secondo classificato. Riecco anche Federico Mollicone, presidente della commissione Cultura. Proprio così: Cultura. Si presentò chiedendo la censura per un episodio di Peppa Pig, il cartone della maialina dove compariva una famiglia arcobaleno. Confondendo i sogni con la realtà, si lanciò: “Le coppie gay in Italia non sono ammesse”. Non ha resistito alla tentazione di regolare i conti con Bakunin, usando Alfredo Cospito: “Revochiamo il riconoscimento di interesse storico agli archivi anarchici”. E perché non buttiamo giù le aquile imperiali di Corso Francia o l’obelisco con la scritta Dux, come chiedeva qualcuno a sinistra, fortunatamente senza successo (la storia non si oblitera, si studia, negli archivi magari)? Non ditegli che Giuseppe Mazzini, per fare l’unità d’Italia, non predicava fiori nei fucili, sennò si rischia di dover cambiare nome alle piazze di mezza Italia. #salviamomazzini.
Terzo. Gessati impeccabili, sguardo freddo, postura composta. E invece anche Adolfo Urso, racconta il Foglio, ha fatto vibrare l’ugola al ministero. Pensava che avrebbe fatto riaprire le pompe di benzina, disinnescando lo sciopero a tre ore dalla chiusura, vendendosi il successo a Giorgia Meloni. Già pronto a concedere l’ennesima intervista (tra lui e Guido Crosetto, la gara è aperta sul ministro più ciarliero ma lui, a differenza di Crosetto, Bella ciao non la canta). Sciopero confermato e dimissioni di portavoce e capo di gabinetto, causa urla e strepiti del ministro. È il made in Italy, bellezza, da noi si strilla.
(Parentesi: nel frattempo, a proposito di disordine di governo, si è dimesso anche il capo di gabinetto di Elisabetta Casellati, ministro per le Riforme, ma non fa notizia. Da presidente del Senato ha cambiato una decina di portavoce. Magari crede nel turnover spinto)
Quarto. Fabio Rampelli – e ci risiamo coi riflessi pavloviani – ha proposto una commissione d’inchiesta sugli anni di piombo. Come noto, è in cima alle preoccupazioni degli italiani. Peccato che si dimentica le vittime di sinistra e nomina solo le vittime di destra, solito omaggio catacombale alla retorica degli anni Settanta. Vabbè, è incazzato nero. Giorgia l’ha scoperta lui, e ora lei prima non l’ha candidato a sindaco, poi non l’ha portato al governo, poi non l’ha candidato alla Regione, poi gli ha commissariato il partito romano. Lasciatelo sfogare.
Fine degli ultimi quindici giorni. Mandando indietro il nastro – e sono solo cento giorni – ecco Ignazio La Russa, coi suoi busti duceschi ostentati e le sue uscite da numero due del partito più che da seconda carica dello Stato. Poi Giovanbattista Fazzolari, insignito dal Giorgia Meloni del titolo di “ideologo” e “uomo più intelligente del mondo” che scivolò su Bankitalia e sui pagamenti elettronici – niente di mirabolante: le carte di credito – effettuati tramite “una moneta privata”, e toccò spiegargli che, contante o bonifico, sempre di euro si tratta. E poi ancora il desaparecido Marcello Gemmato, sottosegretario alla salute, che ha parlato solo una volta per mettere in discussione i vaccini, e ora non parla più. E il cinema di Gennaro Sangiuliano, che voleva una fiction su Oriana Fallaci, peccato che era già andato in onda. Poi ha ripiegato su Dante, in quanto “padre del pensiero di destra”, roba talmente grossa da meritare un “guarda e passa”. A proposito: Giuseppe Valditara, l’anti-Montessori che lodò l’umiliazione, prima di correggersi, tra un’intemerata sul Sessantotto e una proposta sulle gabbie salariali.
Basta, risparmiamoci il pistolotto sull’inadeguatezza della classe dirigente, che altro c’è da aggiungere, se non una domanda su questa storiella, che accompagna di spifferi di Palazzo Chigi su “Giorgia irritata” a ogni errore, gaffe, sgrammaticatura dei suoi: lei, meglio dei suoi, che sarà forse pure vero, ma i suoi sono lì perché lei ce li ha messi, nell’ossessione della fedeltà e del controllo, criteri anteposti al merito. Non sarà che l’operetta è frutto dell’opera sua di questi anni? Mica la cancella un po’ di draghismo in legge di bilancio per tenere buoni i mercati. Ribaltiamo la classifica. Primo posto: Giorgia Meloni.
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01 Febbraio 2023
Arcianalfabeti.
Donzelli e Delmastro, più surreali che superficiali
di Mattia Feltri
Usano le intercettazioni proprio come il governo non vorrebbe fossero usate. E senza accorgersene spiegano perché Cospito non deve stare al 41 bis
La definizione di “analfabeta istituzionale” data di Giovanni Donzelli – parlamentare di F.lli d’Italia e vicepresidente del Copasir, il comitato di controllo dei servizi segreti – è probabilmente eccessiva, nel senso di eccessivamente generosa. Perché nel suo intervento parlamentare di ieri, nei quattro minuti cruciali, Donzelli è stato capace di salire su vette del nonsenso fin qui ancora inviolate.
Capiremo meglio nelle prossime ore se la diffusione di conversazioni fra l’anarchico Alfredo Cospito e compagni di prigionia di affiliazione mafiosa costituisca un reato. Da quello che abbiamo capito, forse no, poiché non sono intercettazioni ordinate dalla magistratura, quindi non c’è violazione del segreto istruttorio. Più facile si tratti di intercettazioni riservate a beneficio dell’amministrazione penitenziaria e del ministero della Giustizia. Di certo, prima della prodezza di Donzelli, erano sconosciute al mondo e sconosciute sarebbero dovute restare. Una delizia, se si pensa al dibattito in corso proprio sulle intercettazioni e in particolare sull’uso improprio imputato ai giornali dal governo Meloni. Il portabandiera è il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e ora si ritrova uno dei suoi sottosegretari, Andrea Delmastro, che ha girato intercettazioni riservate al compagno di partito e coinquilino Donzelli perché le riversasse nel luogo più pubblico che c’è, il Parlamento, e per farne strumento di contesa politica. Cioè, meglio dare una sintesi precisa: il governo in battaglia contro l’uso mediatico e politico delle intercettazioni fa uso mediatico e politico delle intercettazioni.
E qual è lo scopo mediatico e politico (oltre ad accusare il Pd di intelligenza col terrorismo, e sul punto ha risposto Walter Verini)? Dimostrare che Cospito al 41 bis si incontra coi boss mafiosi e pianifica una campagna contro il 41 bis. E dunque deve restare al 41 bis. Ma se è al 41 bis che Cospito si incontra coi boss mafiosi, perché deve restare al 41 bis? Non solo. Cospito non si incontra coi boss mafiosi col favore delle tenebre, si incontra coi boss mafiosi, uno per volta, perché ai boss mafiosi viene associato nell’ora d’aria dall’amministrazione penitenziaria. Non è Cospito a scegliersi i compagni di conversazione, gli vengono imposti. E al 41 bis ci sono solo boss mafiosi e terroristi, oltre all’anarchico Cospito.
Fra l’altro due detenuti al 41 bis – un regime detentivo criticato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte costituzionale per la sua durezza ai confini della disumanità, in ragione della frequenza e dell’intensità con cui vi si ricorre – di che cosa dovrebbero parlare, se non del 41 bis? E che cosa devono augurarsi, se non che sia abolito?
Se fosse semplicemente un analfabeta istituzionale, Donzelli potrebbe anche restare dov’è, magari nel frattempo si alfabetizza. Ma temo abbia limiti più ampi e più insuperabili.
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