dalla Rivista Vita e Pensiero
I cristiani e la povertà.
Dai primi secoli ai nostri tempi
02.05.2020
di Riccardo De Benedetti
È davvero difficile passare per la cruna di un ago, si sia cammelli o esseri umani troppo umani. Eppure, il monito di Cristo circa i pericoli, per la salvezza individuale, della ricchezza è più vivo che mai. Nel Regno di Dio si accede a portafoglio vuoto: “non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna” (Mc 10,29-30).
Per la cruna di un ago. La ricchezza, la caduta di Roma e lo sviluppo del cristianesimo, 350-550 d.C., un ponderoso studio di Peter Brown, uno dei più importanti storici viventi, irlandese e protestante, analizza le conseguenze che questi e pochi altri versetti evangelici hanno avuto nella costruzione del cristianesimo post-costantiniano. Gli storici, e una buona fetta del pubblico colto, conoscono il professore della Princeton University, i suoi studi su sant’Agostino, sul corpo e la società e il sacro nella tarda antichità. Questo, che ricostruisce in più di 700 pagine come il cristianesimo dei primi secoli si sia confrontato nei fatti e nella dottrina con i poveri e la povertà, è stato tradotto nel 2014 e quest’anno ristampato da Einaudi.
È un libro importante per più di un aspetto. Innanzitutto per la qualità e la quantità della documentazione offerta al lettore. Davvero imponente. Ma altrettanto importanti sono gli spunti di riflessione ai quali obbliga il credente, in particolare quando agisce nel concreto della comunità cristiana e del tempo storico in cui si trova a vivere.
Il passo evangelico, o meglio i passi, da cui parte l’analisi storica di Brown costituiscono da sempre luoghi canonici. Sono, come si diceva, i versetti di Marco, 10,21-25 e sg.; Matteo 19,21 e Luca 18,22. Intorno a questi passi, nel magistero ecclesiale oggetto di infinite interpretazioni, si dipana la storia dei molteplici rapporti che il cristianesimo intratterrà con la ricchezza e la povertà. La ricchezza in terra ha un corrispettivo in cielo che si può acquisire solo alienando quella terrestre. La figura dell’esagerazione è il tratto stilistico dominante del versetto 25 di Marco: “È più facile per un cammello passare per la cruna dell’ago che per un ricco entrare nel Regno di Dio”. Il cammello è l’animale più grande tra quelli comuni ai tempi di Cristo, così come la cruna è lo spazio più stretto disponibile nelle pratiche quotidiane. Il contrasto e lo sconcerto tra l’uditorio non potrebbe essere più evidente. Se davvero le cose stanno in questo modo “chi può essere salvato?”, dicono i discepoli.
Brown non è un esegeta. Il suo lavoro ricostruisce gli effetti di questo sconcerto quando il cristianesimo si affermerà nella società antica, prendendo il posto della religiosità pagana. Lo fa indicando i momenti salienti dell’intensa predicazione che le grandi figure della cristianità latina dedicheranno al tema. Lo storico confronta gli atti concreti che le ricche famiglie romane, convertite al cristianesimo, saranno costrette ad adottare per poter passare nella cruna dell’ago e guadagnare la salvezza dopo aver tanto guadagnato durante la loro attività civile nei quadri dirigenti dell’Impero e in quella economica (in genere coincidevano).
Viene dipinto così un affresco della cristianità in via di formazione nel quale il povero e la povertà diventano occasione di ridistribuzione della ricchezza materiale, alienata nella donazione alle chiese locali, sia nell’edificazione materiale e nello sfarzo artistico a sostegno del culto (sul modello delle ville tardo-romane) sia a sostegno materiale dei poveri attraverso l’elemosina.
Emergono così i problemi di una formazione sociale e politica in via di trasformazione, nella quale le preoccupazioni per la sopravvivenza dei grandi patrimoni impongono un serrato confronto con le esigenze della cosiddetta plebe frumentaria, cioè quella che vive nell’Urbe e nelle zone urbane dell’Impero di distribuzione di grano e giochi circensi. Un indebolimento della ricchezza delle Grandi famiglie implicherebbe un altrettanto catastrofico abbandono della plebe alla fame e alla povertà. È qui che Brown sottolinea spesso quanto la sollecitudine delle comunità cristiane post-costantiniane nei confronti dei poveri comporti un gigantesco spostamento di ricchezza che solo apparentemente va a vantaggio esclusivo della Chiesa. In realtà i nuovi criteri morali della gestione della ricchezza proposti dai testi evangelici e dai successivi commenti dei padri, ai quali le chiese devono attenersi, producono un concreto mutamento dei rapporti tra i ricchi e la povertà. Ciò consentirà alla Chiesa, nei secoli successivi, l’intervento profondo nel tessuto sociale dell’ex Impero romano che si vedrà investito non solo da pure e semplici elargizioni, ma dalla nascita di vere e proprie istituzioni che redistribuiranno la ricchezza con criteri diversi da quelli antichi.
E in effetti, l’immensa predicazione ambrosiana (seguirà in Africa quella agostiniana) ad affrontare il problema direttamente. Sant’Ambrogio era preoccupato dal fatto che i cristiani facessero cadere dall’alto la loro elemosina, a mo’ di elargizione concessa, in un gesto che giustificasse, esaurendosi nel momento, la sua necessità. La proposta di Ambrogio, apre, in realtà un nuovo problema e, per Brown, segna una sorta di riaggiustamento dalla logica evangelica presente nel “comunismo” degli Atti degli apostoli: «Vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno» (At 2,45).
L’elemosina doveva essere considerata una misericordiosa restituzione ai propri simili di un antico debito. Quando gli uomini, e i cristiani in quanto uomini, avevano contratto questo debito? E in virtù di quale condizione? Quella del peccato, evidentemente. È grazie a questo gravame ontologico che l’elemosina diventa un meccanismo che, nella prospettiva oltremondana, forse giova al peccatore più ancora che a colui che la riceve. Dice Ambrogio: «tutto ciò che avrai dato al bisognoso aumenta per te tutto quello di cui ti sarai privato […] Tu non dai del tuo al povero, ma gli rendi il suo; infatti la proprietà comune che è stata data in uso a tutti, tu solo la usi. […] E così la Scrittura ti dice: rivolgi al povero la tua attenzione e rendigli il dovuto».
Il libro di Brown, da questo punto di vista, offre uno spaccato storico che l’attualità del magistero di Francesco sui poveri esalta e approfondisce là dove tende a porre in discussione le certezze sulle quali riposa la scelta per i poveri e le sue pratiche.
C’è un’economia della carità che obbliga a una revisione profonda dei criteri con i quali viene elargita. Rendere il dovuto ai poveri equivale a fare in modo che i poveri non si riproducano? O si limita solo a contabilizzare il dare su questa terra in attesa di ciò che si riceverà in cielo?
Al di là dei problemi storiografici che la ricostruzione di Peter Brown solleva – davvero l’alienazione e la dispersione dei beni delle grandi famiglie provocherà, tra altre cause, la grande crisi dell’Impero fino al suo crollo? – le sue pagine offrono materiale storico per riprendere in mano il dossier poveri/povertà con la consapevolezza che i problemi e la radicalità dell’oggi, nella prospettiva cristiana, riposano ancora nel lascito dottrinale e pratico di quei secoli. Da lì occorre trarre motivi per il rinnovamento richiesto da ciò che si presenta come una condizione inedita per l’umanità nel suo complesso, almeno dopo i tentativi moderni, o ultramoderni, di risolvere con la sola logica terrena l’ingiustizia e l’inaccettabile divisione tra chi ha tutto e chi ha niente.
Riccardo De Benedetti
Riccardo De Benedetti dirige la rivista bimestrale “MilanoAmbiente, è stato per lungo tempo caporedattore della rivista “aut aut” ed è collaboratore di varie testate, tra cui “Avvenire” e “applicando”, la più importante rivista per il mondo Mac. I suoi interessi spaziano dalla letteratura francese all’impegno civile. Tra le sue pubblicazioni recenti: “La Chiesa di Sade. Una devozione moderna” (2008); “Céline e il caso delle Bagatelle” (2011); “Morire dal ridere. Processo alla satira” (2015).
Un articolo molto interessante. Qualcosa mi porta a pensare la ‘povertà’ sia un bivio, che non può essere saltato a piè pari, quasi aggirando o ridimensionando quel ‘ve lo ripeto’ , che non può essere né aggirato né ridimensionato… Eppure è un ‘tema’ a mio parere trattato con eccessivo ‘pudore’ dai pulpiti, addirittura in modo fumoso e incomprensibile, quasi a non voler turbare noi cristiani della domenica, ma questo sarebbe gravissimo…