Un’allucinante ironia di Delpini
che sembra anche scherzare col fuoco?
Non credo che il “modesto” arcivescovo di Milano (il titolo di arcivescovo non glielo possono levare nessuno, nemmeno il papa, mentre il vescovo di Como resterà sempre semplicemente vescovo, al di là di essere cardinale!), possa arrivare a tanto, ovvero a farsi bruciare nella sua devozione al papa e alla chiesa, scherzando col fuoco.
Tanto si è detto della sua semplicità, scambiata per umiltà, proprio per il suo modo di apparire, senza assurde pretese o fastidiose vanaglorie o maniacali smanie di quell’esibizionismo, che sembra il virus di certi personaggi, nel campo politico e anche ecclesiastico, che troviamo quotidianamente sui mass media o nei programmi televisivi talmente invasivi da togliere perfino un attimo di puro pensiero.
Dire che ciò che ha detto Mario Delpini il 31 agosto, al termine del solenne pontificale presieduto dal neo porporato nella Cattedrale di Como per la solennità di sant’Abbondio, patrono della città e della diocesi, sia una scelta ben studiata ironicamente cattivella o un suo stile di vecchia data, ecco ciò sul momento potrebbe lasciarmi indeciso.
Non nego che talora Delpini mi lasci perplesso per la sua “enigmatica”, magari “ombrosa”, personalità, proprio perché sembra fingere bene, nascondendosi dietro a un ruolo, quello di essere arcivescovo di una tra le più grandi diocesi del mondo, e soprattutto perché successore di vescovi come Sant’Ambrogio e come Carlo Maria Martini.
Se guardiamo ai suoi precedenti successori di Martini, possiamo dire che Dionigi Tettamanzi se la sia cavata molto bene, seguendo senza scomporsi troppo il suo stile da pastore alla buona, senza per questo essere un bonaccione preso come un buon curato di campagna, a differenza del ciellino Angelo Scola, già partito col piede sbagliato, prima evaso capricciosamente da Milano per altri lidi, per poi tornare quasi trionfatore col titolo già in tasca di papabile.
Poi papa Francesco, costretto a nominare il successore, sembrò punire di nuovo la Diocesi con la nomina del Vicario generale, Mario Delpini. Forse, più che di una punizione, potremmo parlare di un intento voluto di tarpare le ali alla diocesi ambrosiana, per evitare di avere a che fare con un altro caso “Martini”, supposto che di Martini sia disponibile qualche copia.
Questo papa ha una ossessione: teme le grosse diocesi, perciò nomina pastori di indubbia fedeltà e ortodossia, magari meno “intelligenti” di lui.
E qui si pone la domanda: come mai Bergoglio ha lasciato Delpini privo del titolo cardinalizio? Forse per umiliare un’altra volta la Diocesi milanese?
In realtà ci sono stati dei prececenti: basterebbe pensare a Montini, nominato arcivescovo di Milano nel 1954 da Papa Pio XII, fatto cardinale dopo 4 anni, nel 1958, da Papa Giovanni XXIII. Facile capirne il motivo.
Delpini si fa chiamare semplicemente “Vescovo Mario”, per quella sua scelta di voler sfuggire al peso di essere visto come arcivescovo di Milano (l’arci è un lusso legato alla diocesi e non alla persona del buon pastore). E così, senza l’arci, Delpini si sente più libero di fare ciò che vuole, senza farsi troppo notare.
Se fosse cardinale poi, forse si sentirebbe in gabbia, avendo più notorietà o più visibilità, e le sue scelte pastorali sarebbero più criticabili. Oggi mi sembra quasi un “fognino”, e fa ciò che vuole senza dare nell’occhio.
Certo, papa Francesco poteva benissimo mettere il suo nome tra i candidati cardinali, senza preavvisarlo. Mi sembra che abbia fatto così con Oscar Cantoni, vescovo di Como.
Ed è qui il mistero, tanto più che è stato nominato cardinale il vescovo di Como, una diocesi confinante con la diocesi milanese, e facente parte della Conferenza episcopale lombarda, di cui è Presidente Mario Delpini, arcivescovo metropolita di Milano.
Conoscendo oramai il modo comunicativo anche ironico di Mario Delpini, non lo ritengo, neppure nel caso che si sta discutendo in questi giorni sui giornali anche nazionali, al di là di una certa decenza istituzionale, a meno che Delpini tutto a un tratto sia uscito dai gangheri.
Dunque, non credo proprio, come hanno scritto tutti i giornali, che Mario Delpini si sia permesso di criticare soprattutto ironicamente qualcuno o qualcosa della chiesa o gerarchia istituzionale.
Secondo me, Delpini ha solo voluto rispondere alle critiche “sfacciate” di qualche suo denigratore, facendogli credere di essersi indignato per non essere stato eletto “cardinale”.
E credo che il cardinalato “negato” a Delpini resterà a lungo, forse per sempre, avvolto nel mistero.
Mario Delpini, forse conoscendone la ragione o le ragioni di essere rimasto ancora all’”asciutto”, ha trovato l’occasione, anche in modo ufficiale, nel Duomo di Como, davanti a una assemblea autorevole di vescovi (questo fatto di averlo detto ciò che ha detto fuori di casa propria, lo ritengo per lo meno inappropriato!), di prendere in giro né il papa né altro di istituzionale, ma solo quanti (me compreso) che ogni giorno o quasi lo contestano.
Ma, vorrei chiarire, la mia contestazione non riguarda tanto il suo mancato titolo di cardinale, ma va ben oltre, in profondità.
Cardinale o no mi interessa relativamente, anzi nulla (il cardinalato è un titolo e solo un titolo, anche se dà la possibilità di entrare nel conclave per eleggere il nuovo papa!): è il suo modo di essere vescovo di Milano che mi fa riflettere e pensare: vescovo non è un puro titolo onorifico.
Il cardinalato mi fa pensare a tante inutili talora ridicole insegne, mentre essere vescovo richiama lo stesso Gesù Cristo, che si è definito il buon pastore.
Si ama il proprio gregge, fino alla follia, pensando alle pecore, talora abbandonate a se stesse.
Quanto mi pesano talora le parole del Vangelo: Gesù “sceso dalla barca, vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”.
Mi fa soffrire vedere pastori che offrono alle pecore solo cibo carnale.
Si fa, si organizza, si va in giro, mai si riflette: ma qual è la cosa essenziale, di cui necessita la società di oggi?
Ridicolo, veramente ridicolo perdere tempo, prendendosela per un titolo onorifico, e pensare che Cristo aveva abolito tutto. La Chiesa si deve spogliare di tutto, delle insegne, dei titoli, delle carriere.
Oggi la società ha bisogno di un cibo sostanzioso, che è la Parola di Dio, quella che scende nell’essere umano. La missione della Chiesa e di ogni buon pastore è riportare ogni essere umano alla Sorgente divina.
Anche nella nostra Diocesi milanese ci sono preti burattini, schiavi dei social, e mancano buoni pastori, che portino la gente alla ricerca di quel Bene, che è il Sommo Bene.
E ci sarebbe un Segreto, ma è troppo tenuto nascosto dalla stessa Chiesa istituzionale: la Mistica medievale, tuttora condannata dalla Chiesa.
NOTABENE.
Vorrei aggiungere ciò che mi hanno riferito. Non so se corrisponde a verità. Delpini non potrà mai essere cardinale, finché è presente in Diocesi un altro cardinale, Angelo Scola, anche se risiede solo fisicamente, senza più alcun incarico pastorale. Se fosse così, perché il cardinale Scola ha scelto di restare ancora in Diocesi, impedendo così a Delpini di essere nominato cardinale? Tuttavia la cosa non mi convince.
***
www.ilfattoquotidiano.it
Il peccato di superbia dell’arcivescovo di Milano
a cui il Papa ha preferito il vescovo di Como:
“Tifa River, è in sintonia coi perdenti”
Monsignor Delpini ha risposto così riguardo il motivo per cui Bergoglio non gli abbia imposto la berretta rossa, preferendogli Oscar Cantoni, a capo di una diocesi suffraganea della metropolia ambrosiana: “La sua squadra non ha mai vinto niente, si sa che lo Scudetto è del Milan. E poi avrà pensato che quei bauscia di Milano non sanno neanche dov’è Roma”. Poi si è fatto serio: “Credo ci siano buone ragioni”
di Francesco Antonio Grana | 1 Settembre 2022
Perché Francesco ha nominato cardinale il vescovo di Como e non l’arcivescovo di Milano? “Il Papa è tifoso del River (in realtà tifa San Lorenzo, ndr) che non ha mai vinto niente, e quindi ha pensato che quelli di Como potrebbero essere anche un po’ in sintonia perché si sa che lo Scudetto è a Milano”. Così ha risposto l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, a chi si domanda il motivo per cui Bergoglio non gli abbia imposto la berretta rossa, come è avvenuto con tutti i suoi predecessori, nel concistoro del 27 agosto 2022 nella Basilica Vaticana, preferendogli Oscar Cantoni, il vescovo di Como, una diocesi suffraganea della metropolia ambrosiana. Il 31 agosto, al termine del solenne pontificale presieduto dal neo porporato nella Cattedrale di Como per la solennità di sant’Abbondio, patrono della città e della diocesi, monsignor Delpini ha preso la parola, davanti a tutti i cardinali e i vescovi presenti, per rivolgere, in qualità di presidente della Conferenza episcopale lombarda, il suo augurio a Cantoni. Parole, però, scandite da numerose battute irriverenti nei confronti del Papa.
“Sono veramente impressionato – ha affermato monsignor Delpini – di questa celebrazione, della partecipazione così corale, così festosa, dell’organizzazione, della presenza delle autorità, delle forze dell’ordine. Sono veramente ammirato. Forse c’è ancora un margine di miglioramento sul tenere accese le candele dell’altare, però, per il resto diciamo che sono veramente ammirato per questo. Mi faccio voce della Conferenza episcopale lombarda, di tutte le nostre chiese, per dirti l’augurio, l’affetto che questo evento ci ha regalato e credo che è un modo per intensificare il rapporto di affetto con il Santo Padre, Papa Francesco, che sceglie i cardinali perché siano collaboratori stretti, consiglieri attenti del suo servizio alla Chiesa universale. Quindi voglio farmi voce di tutti i vescovi lombardi, anche di quelli che oggi non hanno potuto esserci, per dire l’affetto al Santo Padre, la gratitudine e per augurare a te che il tuo servizio possa essere veramente di aiuto al Santo Padre”.
L’arcivescovo di Milano ha aggiunto: “Ci sono state anche delle persone un po’ sfacciate che si sono domandate perché il Papa non abbia scelto il metropolita per fare il cardinale e abbia scelto, invece, il vescovo di Como. Ora io credo che ci siano delle buone ragioni per questo. Naturalmente interpretare il pensiero del Santo Padre è sempre un po’ difficile perché forse vi ricordate quell’espressione altissima di una sapienza antica che diceva: ‘Ci sono tre cose che neanche il Padre eterno sa: una è quante siano le congregazioni delle suore, l’altra è quanti soldi abbiano non so quale comunità di religiosi (i salesiani, ndr) e l’altra è cosa pensino i gesuiti (il Papa è gesuita, ndr)’. Però in questa scelta mi pare che si riveli chiaramente la sapienza del Santo Padre”.
“Perché – ha proseguito monsignor Delpini – ha scelto il vescovo di Como per essere un suo particolare consigliere? Io ho trovato almeno tre ragioni. La prima è che il Papa deve aver pensato che l’arcivescovo di Milano ha già tanto da fare, è sovraccarico di lavoro, e quindi ha pensato di dare un po’ di lavoro anche a te. La seconda ragione: probabilmente il Papa ha pensato: ‘Quei bauscia di Milano non sanno neanche dov’è Roma, quindi è meglio che non li coinvolga troppo nelle cose del governo della Chiesa universale’. Forse c’è anche un terzo motivo per cui ha fatto questa scelta che, se mi ricordo bene, il Papa è tifoso del River, che non ha mai vinto niente, e quindi ha pensato che quelli di Como potrebbero essere anche un po’ in sintonia perché si sa che lo Scudetto è a Milano”.
“Però – ha concluso monsignor Delpini – quei tre pensieri così saggi del Santo Padre dicono anche l’augurio un po’ più serio cioè: lavora. Ecco il Papa chiede a noi, in particolare ai cardinali, di dedicarsi senza risparmio, di lavorare per la Chiesa, di servire la Chiesa come hai detto tu fino al sangue, cioè una dedizione che non si risparmia, lavora, lavora per la Chiesa. È il secondo augurio è la Chiesa universale. Ciascuno di noi per forza di cose si concentra molto sulla sua diocesi, ma chiamarti a essere cardinale vuol dire che questo amore per la Chiesa deve raggiungere tutti i posti, deve preoccuparsi di tutte le situazioni drammatiche in cui i cristiani sono perseguitati, in tutti i luoghi dove la fede si spegne, ecco abbi a cuore la fede universale. E la terza cosa che riguarda le squadre di calcio. Ecco mi pare che il Papa suggerisca: ‘Tu fai il tifo per i perdenti. Stai dalla parte di quelli che sono più deboli, di quelli che perdono’. Questo è l’augurio che voglio farti. Ti chiede di lavorare, di lavorare tanto. Però io vorrei concludere dicendo se per caso Roma ti chiede di lavorare troppo, secondo me tu potresti cedermi qualche valle di quella tua diocesi che ti risparmia un po’ di lavoro”.
***
da Rete L’ABUSO
L’Arcivescovo Delpini imbarazza Bergoglio,
al suo fianco il protettore savonese
dei preti pedofili
Redazione Web
L’attacco al Papa che pur sapendo nominò l’Arcivescovo di Milano Mario Delpini, reo confesso di aver insabbiato il caso di don Mauro Galli.
Poco più in la, alla sua destra, prima fila in basso monsignor Dante Lafranconi, che protesse almeno due preti pedofili a Savona, ai quali permise di aprire due case famiglia per minori.
Un quadretto che abbiamo creduto essere degno di nota, insieme ai tre ironici punti che secondo Delpini, per la seconda volta, sono motivo della sua mancata nomina a cardinale.
L’Arcivescovo è forse scivolato sull’insidiosa via dell’invidia? Lontano dal divertire, ha certamente sbagliato registro portando la goliardia nel tempo sacro della celebrazione eucaristica. Una “sciocchezza senza giustificazioni”, potremmo dire invocando un facile contrappasso. Fastidio dei presenti a parte, nel dover constatare l’inadeguatezza al ruolo, resta il dubbio delle motivazioni per l’assegnazione della “berretta”, a cui il Metropolita voleva dare spiegazione. Dietro alla nomina a cardinale di monsignor Cantoni, c’è una tangibile supposizione che si tratti di un segno rivolto alla diocesi di Como. Forse le testimonianze dei martiri della Chiesa lariana sono una possibile spiegazione, ma vi è ragione di credere che si tratti di un primo implicito riconoscimento di una speciale testimonianza di grazia rivelatrice (un’esperienza mistica che si svolge in un piccolo paese della diocesi lacustre). Il Papa conosce e segue da vicino questa vicenda, allo studio di affermati teologi da molti anni. C’è invece da stupirsi che la stessa sia rimasta ignota al nostro Metropolita, obbligandolo a darsi risposte ingenerose verso se stesso e verso il neo-cardinale. Non può che spiacere quello che è successo, comprensibile solo se riconosciamo la fallibilità di ogni uomo. Fortunatamente lo Spirito soffia dove e come vuole: a noi basterebbe contemplare l’opera d’Amore della Trinità.
Delpini gode del titolo di arcivescovo. Perchè non usarlo? Non per il risentimento ad una nomina a cardinale, ma per mettere a nudo le ambiguità papali come alcune sue prese di posizioni ufficiali come ad esempio quella sull’Ucraina. Avrebbe potuto mettere a nudo la scelta di non condannare Putin per non irritare il suo vassallo religioso Kirill (lo vuole a tutti i costi incontrare). Si sarebbe liberato di quella devozione verso un suo simile anche se papa, ma pur sempre vescovo di Roma. L’avrebbe messo in discussione favorendo quei vescovi che già lo fanno come avviene in Germania. Avrebbe dato speranza ai vescovi delusi come Walter Kasper che vedono tradire il Concilio per certe sue scelte. Allora sarebbe entrato nel novero dei grandi vescovi milanesi come Martini che come motto aveva “pro verità adversa diligere”. Denunciando la verità di un papa che usa le nomine a cardinale per “punire” i meno devoti, ma non ha il coraggio di prendere la posizione a favore di un popolo che non vuole essere sottomesso al tiranno Putin. E’ a Cristo che deve guardare, non al papa. Solo lui può trasmettergli quello Spirito che dà quel coraggio che manca non solo a lui, ma a tanti vescovi italiani succubi dei potenti di turno. Lo so è solo un sogno, ma so che nulla è impossibile a Dio.
La residenza di Scola nel territorio della diocesi non ha alcuna attinenza con la mancata concessione del cardinalato al successore in quanto Scola ha già compiuto 80 anni e pertanto è fuori dal numero dei cardinali elettori.
In realtà non si procede alla nomina cardinalizia di un vescovo diocesano se in quel momento vi è già un cardinale elettore originario della medesima diocesi. Al momento Milano sarebbe rappresentata in un eventuale conclave dal card. Ravasi, il quale compirà gli 80 anni a metà ottobre lasciando un posto libero per un eventuale nuovo porporato milanese.
Condivido totalmente.
Il suo discorso, se così si può definire, non si conface all’arcivescovo di Milano durante un solenne pontificale ma ad una chiacchierata tra amici al bar.
Questa frivolezza che ricerca la risata mi infastidisce. La voce del Vescovo deve essere autorevole sempre. Questo stile sbragato non è accettabile.
A mio avviso è una strategia per nascondere un certo imbarazzo. Imbarazzo nel dover partecipare a quella situazione dove molti cercavano un segnale dal presunto ‘sconfitto’. Lui comunque è rimasto male dalla non creazione a cardinale; negli ultimi anni aveva fatto molte iniziative visibili per, passatemi il termine, mettersi in luce.
Non credo nell’attacco al Papa o nel voler esprimere un disagio; semplicemente ha messo a disagio i tanti fedeli di Milano che non si riconoscono nel messaggio del loro Vescovo.
La questione di Scola cardinale che blocca la creazione di Delpini era probabile fino a prima degli 80 anni di Scola. Cantoni, a mio avviso, è stato creato cardinale proprio per sostituire Scola tra gli elettori come rappresentante della regione Lombarda. Per cui credo che Delpini non sarà mai cardinale come già successo a Moraglia e Nosiglia (Venezia e Torino).
Condivido pienamente il pensiero di don Giorgio sul cardinalato: titolo inutile,che va abolito subito.
Per il resto tanto rumore mediatico per niente; sui giornali finisce sempre il fatto meno importante. L’omelia del card. Cantoni in quel pontificale meritava più spazio rispetto alle parole vuote del Vescovo Mario.
Non vedo in tutto ciò, da parte del nostro arcivescovo, né graffianti critiche al papa né prese in giro al medesimo, né altre recondite strategie, come hanno scritto tanti giornali e tanti “leoni da tastiera”.
Ci vedo invece molto più banalmente (e con un po’ di sgomento), un siparietto anche simpatico e senza secondi fini. Ma è un siparietto che avrebbe trovato il suo posto giusto in privato durante il caffè che forse i vescovi convenuti hanno preso insieme fraternamente e simpaticamente dopo la celebrazione, o in altro momento di relax lontano dai microfoni, e fuori dalla celebrazione. Un siparietto che può star bene durante la annuale gita dei compagni di Messa in vacanza.
Forse quando uno è l’arcivescovo di Milano dovrebbe saper dosare e distribuire i giusti “registri” comunicativi contesto per contesto.
E’ la stesso disagio che ho provato nei giorni scorsi leggendo il comunicato rilasciato dall’arcivescovo in merito alla qustone della Messa celebrata sul materassimo in spiaggia da un incauto prete in mutande. Anche lì: nulla di sbagliato in quel comunicato arcivescovile, nulla di eretico, ma una povertà complessiva e un registro comunicativo decisamente fuori posto.
Forse anche l’addetto stanpa dell’arcivescovo dovrebbe farglielo notare e dargli qualche dritta in più.