3 gennaio 2016: Dopo l’Ottava del Natale del Signore
Sir 24,1-12; Rm 8,3b-9a; Lc 4,14-22
La Liturgia di questa Domenica, “Dopo l’Ottava del Natale del Signore”, sembra che tenga il piede in due scarpe, ma nel senso più positivo di chi è immerso ancora nel Mistero natalizio e, nello stesso tempo, è già avanti, a trent’anni dalla sua nascita, quando Gesù inizia il suo ministero pubblico, precisamente nella sinagoga di Nazaret. Ma i tempi della grazia di Dio si dilatano ancora di più: prima della venuta di Gesù sulla terra, e dopo la sua vicenda storica. Per essere più chiaro: il primo brano della Messa parla di una Sapienza, presentata come personificazione di Dio stesso, che, dopo aver visitato ogni angolo della terra, prende dimora presso il popolo ebraico; il brano del Vangelo parla della inaugurazione ufficiale del ministero pubblico di Gesù, mentre San Paolo parla dello spirito che è dentro di noi e che si oppone alla carne.
La Sapienza divina
Partiamo dal primo brano, i primi dodici versetti del capitolo 24 del libro del Siracide. È una tra le pagine più poetiche dell’Antico Testamento. La Sapienza entra in scena come una donna che si presenta nella sua missione e nella sua personalità (per questo si usa parlare di “personificazione”). Parla in prima persona: “Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo”, come una figlia affascinante che si fa desiderare e amare su tutta la terra e negli abissi degli oceani, conquistando ogni abitante del globo.
Si tratta di una immagine simbolica, di grande effetto. Ma c’è qualcosa di Misterioso che va oltre l’immagine. In realtà, la Sapienza è Dio stesso, nella sua parte femminile e nella sua intelligenza globalmente invasiva, tanto da essere presente ovunque, nella realtà più spirituale del Creato. Dire Sapienza è dire qualcosa che dà quella bellezza interiore che non si consuma nel tempo e nello spazio.
L’autore sacro che ha scritto questa pagina, sotto una speciale ispirazione divina, non è riuscito però ad afferrare, se non a sprazzi, tutta la ricchezza e la profondità dell’immagine della Sapienza, come personificazione di Dio. Era troppo preoccupato di difendere la Legge e il Tempio da ogni contaminazione pagana. Non dimentichiamo che siamo verso la fine del secondo secolo a.C., e già era evidente l’influsso della cultura ellenistica sul popolo ebreo. Ecco perché fissa la dimora della Sapienza nel popolo d’Israele, prendendo il Tempio come la sede più idonea per parlare, nell’assemblea pubblica.
Ciò che il Siracide non è riuscito a vedere, lo vedrà l’autore del quarto Vangelo che, nel Prologo, riprende l’immagine della Sapienza divina, che, da personificazione ideale, si incarna in Gesù Cristo, chiamato Logos, Parola o, meglio, Sapienza.
La Sapienza, dunque, prenderà dimora in Gesù, il nuovo Israele, ovvero l’umanità rinnovata, mentre il Tempio in muratura sarà sostituito dal cuore di ogni essere vivente.
La Spirito abita in noi
Passiamo al brano di San Paolo. L’Apostolo parla di carne e di spirito o, meglio, della loro contrapposizione. Si tratta di capire ciò che San Paolo intende per carne e ciò che intende per spirito. Per l’Apostolo sono due mondi inconciliabili, finché l’uno, lo spirito, rimarrà all’interno dell’essere umano, e l’altro, la carne, resterà fuori, all’esterno.
Lo Spirito santo, donato da Gesù al mondo intero quando muore sulla croce (“esalò lo spirito”, scrivono gli evangelisti), inizierà quel lavoro di “interiorizzazione” che cesserà alla fine del mondo.
In realtà, non si tratta di qualcosa di aggiunto a noi o di qualcosa proveniente dall’esterno. San Paolo dice chiaramente: “Lo Spirito abita in voi”. Che significa?
Noi nasciamo già con lo Spirito in noi. Lo Spirito fa parte del nostro essere interiore. Il nostro essere, nella sua intimità più profonda, è lo Spirito vivente. E questo indipendentemente dal fatto che si è religiosi. Ogni essere umano è Spirito vivente. Non è vero, allora, che il Battesimo ci ha infuso per la prima volta lo Spirito santo.
Tuttavia, chiariamo. Lo Spirito abita nel nostro essere più mistico, ma lo Spirito santo ha un altro compito, ed è quello di proteggere il nostro essere interiore, ovvero se stesso, dalla violenza delle strutture che possono condizionare, addirittura togliere la libertà interiore. Lo Spirito santo agisce sul mondo e anche sulla religione, quando si fanno “carne”, ovvero un mondo esteriore che chiude come in prigione il mondo spirituale. Lo Spirito non ama le strutture, vuole ampi spazi di libertà.
L’anno di grazia del Signore
Passiamo, infine, al brano del Vangelo. Luca ci presenta l’incipit ufficiale del ministero pubblico di Gesù. È lo stesso Gesù che, nella sinagoga di Nazaret, proclama pubblicamente di essere il Messia, preannunciato dai profeti. Fa propria la profezia di Isaia, e dice esplicitamente che le parole del profeta si sono realizzate in lui: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato”.
Vorrei soffermarmi sull’espressione: “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a… proclamare l’anno di grazia del Signore”.
Secondo gli esegeti, si fa riferimento ad un particolate tempo detto “il giubileo” ebraico, che ricorreva ogni cinquant’anni. In esso si manifestano la volontà e la misericordia di Dio, ridonando soprattutto ai poveri la pace e la serenità: si condonano i debiti, si liberano gli schiavi, viene ristabilita la giustizia e vengono restituiti agli antichi proprietari, o alle antiche famiglie, i campi e le case che, nel frattempo, erano stati venduti, spesso, per bisogno e povertà.
Vorrei evidenziare una cosa molto importante. L’Anno di grazia che Gesù è venuto a inaugurare non ha limitazioni né di tempo né di spazio. In altre parole, si tratta di un Giubileo che durerà per sempre. Per essere ancora più chiaro: l’Anno di grazia non dura un solo anno, e non ritorna dopo venticinque o cinquant’anni. Quando Gesù dice: “Oggi si è compiuta questa Scrittura”, l’oggi è sempre oggi, ogni istante.
La cosa più assurda della religione consiste nello spezzare il tempo della grazia di Dio tra ordinario e straordinario, lasciando lo straordinario in balìa di se stesso. Non c’è nulla di straordinario o di eccezionale nell’agire di Dio. Per il Signore, tutto è normale, nel senso che in ogni istante lo Spirito è sopra di me o, meglio, lo Spirito è dentro di me, per poi “spiritualizzare” quotidianamente il nostro agire.
Certo, piuttosto che niente, mi sta anche bene che ogni tot anni i debiti prodotti dalle ingiustizie sociali vengano cancellati, o la terra, che come dono di Dio è proprietà di tutti, torni al precedente proprietario, che per vari motivi è stato costretto a venderla, onde evitare anche il cosiddetto capitalismo o accumulo di beni nelle mani di pochi. Ma se il Giubileo o l’Anno di grazia del Signore, inaugurato da Gesù, dovessimo viverlo nella sua realtà, senza limitazioni di tempo e di spazio, ogni giorno eviteremmo che i poveri vengano oppressi o che qualcuno accumuli troppi beni a danno degli altri, senza aspettare il Giubileo della Chiesa, quando sarà troppo tardi, o comunque i condoni saranno solo ipocrisie o giustificazioni dei nostri soprusi.
Nel giorno dell’apertura delle Porte Sante, pensavo: se le porte si aprono vuol dire che prima erano chiuse; e, tra un anno, verranno di nuovo chiuse? Ci rendiamo conto che qualcosa non funziona? Che significa l’Anno di grazia del Signore?
Dio non è soggetto al tempo, e non gradisce i tempi delle religioni. Per lui il tempo è sempre oggi, qui, ora.
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