Incontro/dialogo tra il card. Matteo Zuppi e don Alberto Ravagnani sui giovani…

Incontro/dialogo tra

il card. Matteo Zuppi e don Alberto Ravagnani

sui giovani…

di don Giorgio De Capitani
Forse l’ho già detto. Quando faccio l’agopuntura ho la fortuna non solo di curare il mio mal di schiena, ma anche di star sveglio tutta la notte successiva: non si tratta di una insonnia che crea malavoglia o di un certo malessere interiore per non poter prendere sonno. In realtà, è una insonnia lucida e che si presta alla lettura di libri anche impegnativi e alla visione di qualche lungo video che mi sembra interessante.
Ebbene, questo per dire che l’altra notte ho voluto ascoltare di notte un video sul tema già accattivante: “Se ti dico Dio?!”. Un dialogo nella Cattedrale di Bologna, tra Matteo Zuppi, arcivescovo cardinale di Bologna e Presidente della Cei, e don Alberto Ravagnani, famoso esperto nel campo del web che egli usa un po’ a modo suo per discutere a modo suo soprattutto con i ragazzi alcuni temi attuali.
Due giovani della Diocesi, Emanuele e Giona, più che da moderatori, ponevano alternativamente delle domande ai due “personaggi”, su alcuni argomenti: “i giovani, i social, i linguaggi, la Chiesa, cose che funzionano molto bene e cose che funzionano meno bene”.
La serata è stata organizzata in occasione della Festa di San Giovanni Bosco. Il video durava un’ora e 35 minuti circa. L’ho visto per intero, sempre secondo il mio criterio e onestà intellettuale di criticare eventualmente solo ciò che personalmente vedo o sento o leggo.
Dico subito che sono rimasto ancora una volta deluso: non vorrei dare la colpa ai due giovani che ponevano delle domande anche interessanti, ma ai due “personaggi” che rispondevano senza approfondire le varie domande, che in realtà si riducevano a una sola, ovvero riguardavano il mondo dei giovani nelle loro crisi esistenziali e di fede.
A parer mio risposte scontate, sempre rimaste all’esterno di ciò che io chiamo il mondo interiore o dello spirito.
Oramai mi sembra che unico criterio sia quello di porre il mondo giovanile solo nel suo contesto adolescenziale, a fianco o in un continuo scontro con il mondo degli adulti, in particolare i genitori.
E se si parla di carenza o di scontro di Valori, non si specifica mai di quali Valori si tratti, se non i soliti triti e ritriti: amicizia, comunità, fare gruppo per quella causa che è sempre un mezzo o un hobby o un alibi, ma in vista di che cosa? Per uno star meglio alla ricerca di una certa felicità o soddisfazione personale, che definirei puramente emozionale o psicologica.
Si sta bene, quando si è con o per gli altri. Tutto qui?
Le crisi adolescenziali sono sempre esistite, anche quando non c’era l’attuale progresso, e da una gerarchia piramidale tutto scendeva come ordine indiscutibile.
Oggi tutto sembra capovolto, e dire che si è passati dal buio alla luce, dalla schiavitù alla libertà non mi pare saggio, tanto più che: 1. si è creata una tale confusione di idee per cui ogni opinione può imporsi come verità; 2. si è perso ogni spirito di sacrificio, da intendere come rinuncia al superfluo.
Anche il continuo riferimento al Covid non mi è parso segno di grande “intelligenza”, nel senso di una grave mancanza o incapacità di saper vedere il positivo anche nel negativo.
Anche sulla guerra in corso nessuna condanna per il potere omicida di chi vuole prevalere sui diritti di una nazione, che ha ragioni da vendere per difendersi dall’oppressore. Non mi è piaciuta poi la perplessità da parte di Zuppi di dire la sua sulla opportunità o meno di Zelensky di partecipare con un video al Festival di San Remo.
Ecco, sempre il Covid visto come un male che ha creato una catena di mali, tra cui solitudine e disperazione, soprattutto tra i giovani più fragili; e la guerra, sempre vista come quel disordine che colpisce quell’“ordine”, fondato sul falso benessere, per non parlare di quell’egoismo che vede anche nei diritti degli altri un ostacolo che mette a rischio il proprio benessere, soprattutto materiale. .
Non basta, caro don Alberto, essere tra tanti giovani, se poi non cerchi di aiutarli a crescere “liberamente”, perché sviluppino le loro migliori capacità interiori. Queste capacità non appartengono solo a una psiche sana o a un corpo ben equilibrato, ma sono nel profondo dell’essere di ciascuno.
Non penso di aver sentito nemmeno per sbaglio parlare di “spiritualità”, da intendere però non come “religiosità”, ma quel mondo dello spirito che, purificato dall’ego (“amor sui”, di cui parlavano i grandi Mistici mediaveli), che è la vera fonte di ogni male, anche per il mondo giovanile.
Caro don Alberto, smettiamola di dire ai ragazzi: “Dovete fare così e cosà, rispettando il vostro corpo, ecc.”. Casomai dobbiamo dire loro: “Rientrate in voi stessi!”.
Forse ho frainteso, ma mi ha fatto molto male sentirti dire che da Cristo in poi e dai Santi cattolici è iniziata la vera rivoluzione: qui il discorso si aprirebbe a tutto quel mondo antico filosofico greco, che, pur idolatra, aveva di Dio un’Idea molto elevata, e perciò aveva anche dell’uomo un’idea molto nobile.
Il titolo della serata: “Se ti dico Dio?!” era già un trabocchetto, che andava risolto proprio chiarendo l’Idea che si ha di Dio.
Ed ecco secondo me la vera domanda: i giovani quale Fede dovrebbero avere?
Invece di porre la domanda ai giovani, dovremmo essere noi, preti o vescovi, offrire loro quell’Idea di Dio (o Divinità, come preferiva dire Meister Eckhart) come di quell’Uno essenzialmente nudo, ovvero spoglio di ogni condizionamento umano.
È stato ed è tutto il grande difetto dei Movimenti ecclesiali: oltre a tenere i giovani ancora chiusi come in una prigione, non hanno semplicemente rivestito il dio religioso di schemi e di dogmi, peggiori di quelli imposti dalla Chiesa gerarchica di una volta?
I giovani dovrebbero essere educati a camminare da soli, da spiriti liberi, senza costringerli a usare dei tutori o delle stampelle.
Certo, non dovrei prendermela solo con te, caro don Alberto, ma, quella sera, l’altro interlocutore era il cardinale di Bologna, Matteo Zuppi, anche Presidente della Cei. Anche in lui, soprattutto in lui non ho notato una grande apertura e una spiccata “intelligenza” nel rispondere alle domande.
Se vi dovessi mettere sullo stesso piano, potrei dire che entrambi non avete idee chiare sul rapporto tra intelletto e volontà. Non solo i grandi Mistici medievali, ma anche filosofi di un certo spessore ritenevano l’intelletto precedere la volontà. L’essere o spirito è intelletto, prima che volontà.
Ancora oggi, nonostante il progresso tecnologico, che non mi pare abbia particolarmente risvegliato l’intelletto, la Chiesa scommette sulla volontà, e sull’impegno sociale e assistenziale/caritativo, e difficilmente parla dello spirito come intelletto che illumina la volontà. Il cosiddetto ego agisce sull’intelletto prima di condizionare l’agire.
Aristotele, che era pagano, ha distinto tra loro l’intelletto “attivo”, illuminato dal Divino, e l’intelletto “passivo”, in quanto subisce l’ego.
Concludendo posso dire che, da un incontro già “ingessato” in partenza per la presenza di un cardinale titolato di Santa Romana Chiesa, per di più Presidente della Cei, costretto quindi a misurare le parole, facendo anche qualche slalom speciale per evitare domande ostiche, e di un prete anch’egli “ingessato”, benché giovane, ma già ortodosso, per vocazione o per costrizione un vista di una carriera già promettente, non ci si poteva aspettare di meglio, perdendo così un’altra bella occasione per dire qualcosa di veramente rivoluzionario.
E non mi ha per nulla convinto, anzi mi ha amareggiato sentire da parte di entrambi di essere con soddisfazione circondati di collaboratori o di amici o di giovani, e perciò di non sentirsi “soli”.
Carissimi, voi forse non conoscete neppure la gioia profonda, che nasce proprio in quella “solitudine” di chi è veramente spirito libero: libero, anche perché sciolto da ogni impaccio pastorale e da ogni legame di amici veri o falsi.
Forse la vostra “amicizia”, di cui avete parlato con grande enfasi, non è quella di cui frequentemente parlo, che va al di là di ogni contatto umano, reale o virtuale che sia, e credo che ancora oggi sia incomprensibile, per non dire ritenuta “equivoca”: sto parlando dell’amicizia “mistica” tra un uomo (prete compreso) e una donna (suora compresa).
Potremmo anche parlare di “unione mistica” o di “matrimonio mistico”. Nel passato ci sono stati esempi famosi, anche se la Chiesa istituzionale, in certi casi, ha fatto di tutto per condannarli, ricorrendo anche alla menzogna (noto il caso Fénelon e Madame Guyon, accusati ingiustamente di unirsi carnalmente, per il motivo che erano tacciati di Quietismo).
Parlando poi di un essere umano come grembo, indipendentemente dal genere (maschio o femmina), sempre disponibile alla fecondazione mistica, da parte dello Spirito divino o del Logos eterno (quella generazione divina di cui parlavano i grandi Mistici medievali, unitamente al distacco radicale, premessa indispensabile per liberare il proprio spirito per essere pronto all’irruzione divina) sembra proprio essere di un altro mondo.
Non mi aspettavo certo che tirasse fuori questo argomento Matteo Zuppi (quando ne ho parlato di persona con Mario Delpini, mi ha guardato in faccia, dicendomi: “Sono tue fissazioni!), ma forse neppure da don Alberto Ravagnani, su ben altre sponde.

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