dal Corriere della Sera
Sgarbi suoi
di Massimo Gramellini | 3 febbraio 2024
Sgarbi si è dimesso da sottosegretario pur di non dimettersi da Sgarbi.
«Lo faccio per voi», ha detto alla platea milanese accorsa a sentirlo parlare di Michelangelo, per continuare a deliziarvi con le mie conferenze a pagamento senza che l’indegno ministro Sangiuliano, sostiene lui, inoltri all’Antitrust le lettere anonime che mi accusano di farlo.
La frase rivela una curiosa concezione del senso dello Stato: in teoria è il sottosegretario che lavora per i cittadini, non il conferenziere.
Ma Sgarbi, incommensurabile Presidente della Repubblica dei Fatti Suoi, non ha mai considerato gli incarichi pubblici come servizi da rendere, semmai come onorificenze da accumulare.
Lui è così, una delle tante buone cose di pessimo gusto a cui abbiamo fatto l’abitudine, al punto che da tempo ha perso il potere a cui tiene di più, quello di stupirci.
Non ci sorprende quando augura la morte all’intervistatore di Report e si giustifica affermando che così fan tutti, sebbene nessuno abbia mai augurato la morte in pubblico a qualcun altro davanti alle telecamere facendo il gesto di abbassarsi la patta dei pantaloni.
E non ci sorprende nemmeno quando si dimette attaccando il suo ministro (che per la gioia si sarà divorato in un pomeriggio l’intera cinquina dello Strega).
Non ci sorprenderebbe neanche se domani ritirasse le dimissioni e facesse pace con Sangiuliano.
Ci stupirà solo il giorno in cui riuscirà a fare pace con quell’ego opprimente che è il segreto e il limite della sua fortuna.
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www.huffingtonpost.it
02 Febbraio 2024
Faida. Sgarbi si dimette. Vince Sangiuliano
di Pietro Salvatori
Con un colpo di teatro il sottosegretario lascia l’incarico. Non lo fa per la mozione di sfiducia e per il presunto quadro rubato, ma per una lite tutta interna al ministero della Cultura. Sbattendo la porta definisce Sangiuliano “un uomo senza dignità”. Tanto rumore, poche conseguenze: nel governo nessuno si strappa le vesti
“È un colpo di teatro”. Vittorio Sgarbi in purezza. Sale sul palco de La Ripartenza, l’evento milanese organizzato dall’amico Nicola Porro, e ha pienamente coscienza del cinema che sta per mettere in moto. “Sono due ore se medito di farlo o no, l’ho saputo alle due e mezza prima di salire in aereo, alla fine ho deciso: mi dimetto”. Nei fatti ancor più che nelle parole, Vittorio Sgarbi regala la sua ultima acrobazia da esponente del governo Meloni. Si toglie di scena nel modo più pirotecnico e fragoroso possibile, una vera e propria messa in scena di un annuncio esplosivo che illumina come una supernova un sonnecchioso venerdì pomeriggio della politica, i Palazzi del potere pressoché deserti.
“Giorgia Meloni e il suo governo non potevano reggere alla mozione presentata dal Movimento 5 Stelle”, esulta immediatamente il partito di Giuseppe Conte. Solo che il voto a cui sarebbe stato sottoposto a metà febbraio non sembra minimamente entrare nelle valutazioni del sottosegretario dimissionario. All’eclatante gesto è arrivato per una faida tutta interna all’esecutivo, anzi, al suo stesso ministero.
Occorre fare un breve passo indietro. A ottobre l’Antitrust ha aperto un procedimento proprio nei confronti di Sgarbi. Sotto la lente d’ingrandimento sarebbero finiti corposi compensi in consulenze – si parla di 300 mila euro – nel mondo dell’arte e della cultura che sarebbero incompatibili con il ruolo da sottosegretario. Fin qui ci si può facilmente immaginare la reazione del focoso critico d’arte. Ecco, ora la si moltiplichi per cento. Perché la segnalazione di irregolarità sarebbe partita proprio dagli uffici del ministro Gennaro Sangiuliano, che avrebbe deciso di dare seguito ad alcune lettere anonime arrivate al ministero.
Un affronto, secondo Sgarbi, che è andato su tutte le furie. Il ministro e il suo sottosegretario non si sono presi fino in fondo sin dall’inizio. “Sgarbi è Sgarbi, sai come è fatto, non puoi pretendere di giocare di squadra”, dice un meloniano. Una sorta di corpo estraneo alla macchina operativa del ministero, che lo ha subito in un certo imbarazzo per vicende sempre sopra le righe, dal turpiloquio in coppia con Morgan al Maxxi all’incredibile vicenda delle accuse sul quadro rubato, per la quale è finito nel mirino delle opposizioni.
Ma nulla di questo è sembrato nei mesi toccare minimamente Sgarbi, che è andato avanti come un treno per la sua strada, una retta parallela e lontana anni luce da quella del suo ministro. È dallo scorso 23 ottobre che i due hanno interrotto qualsiasi tipo di rapporto. Letteralmente non si parlano, pur condividendo la responsabilità dello stesso ministero. Negli scorsi mesi il critico d’arte aveva avuto rassicurazioni da Meloni: nessuno ti mette in discussione, aspettiamo di vedere gli esiti dell’istruttoria dell’Antitrust.
Esiti che sono stati notificati oggi a Sgarbi. Che ha ricevuto la conferma che “il delatore” sia stato il suo stesso ministro. Non l’ha presa benissimo: “Le lettere anonime si buttano via, gli uomini che hanno dignità non accolgono lettere anonime”. Un’accusa pesantissima che mette una pietra tombale su qualsiasi tipo di possibile soluzione. L’annuncio pubblico del sottosegretario precede la lettera formale che lui stesso ha assicurato che invierà nelle prossime ore, ma la parola fine sembra ormai già scritta.
“Non voleva rinunciare ai compensi per le sue attività, d’altronde di pratico al ministero non faceva nulla”, sono le voci maligne che già circolano tra i parlamentari di Fratelli d’Italia. “Se sono incompatibile io, chiunque faccia una conferenza da ministro o da sottosegretario, è incompatibile”, si difende invece Sgarbi, che ha già annunciato che ricorrerà al Tar. E nel mix di politica, show, personalismi e strapaese, Meloni perde il secondo pezzo della sua squadra, a più di un anno dalle dimissioni di Augusta Montaruli. Un sostituto per quella poltrona? Fonti di governo escludono che se ne parli a breve: il ministero può tranquillamente fare a meno di Sgarbi.
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