«Mandiamo i giovani dal filosofo, non dallo psicologo»

da Panorama
April 02 2024

«Mandiamo i giovani dal filosofo,

non dallo psicologo»

di Rosita Stella Brienza
Se non è già allarme sociale poco ci manca; i ragazzi di oggi, molti di loro, sono in crisi. Li scopriamo fragili, spesso schiacciati dalle pressioni sociali di un mondo che li vuole performanti: belli, intelligenti, forti e coraggiosi. E quando non riescono a soddisfare le aspettative, si sentono a disagio. Si mostrano forti, ma all’improvviso boccheggiano e per prendere ossigeno hanno bisogno di ritrovarsi con se stessi. Umberto Galimberti è molto amato dai ragazzi. Lui ama definirsi semplicemente “divulgatore”, anche se è un filosofo, un saggista e pure uno psicanalista. Ha 82 anni e la sua saggezza, insieme all’esperienza di vita vissuta, la mette a disposizione dei ragazzi. Sono loro, infatti, che lo definiscono “L’uomo capace di aiutarli e di consigliarli”. E così, mentre molti ragazzi cercano di interpretare gli scenari della vita, applicando alla stessa la lettura di romanzi come quello di Delitto e Castigo, altri, compresi gli amatori di Fedor Dostoevskij, seguono Galimberti su Tik Tok, Instagram e You Tube. A Galimberti piacciono i giovani che mangiano la vita, che si buttano nelle cose. Li pungola a cercare un libro partendo dall’autore, li spinge a fare anche i camerieri per sentirsi parte attiva del mondo.
Che cos’è il futuro per i giovani?
“Il futuro è una parolaccia. La famiglia è un disastro, la scuola è ancora peggio. E quindi cosa ci aspettiamo dal futuro? Nel senso che, glielo abbiamo tolto il futuro ai giovani”.
Lei consiglierebbe ai ragazzi di fare terapia?
«No. Devono fare consulenza filosofica. Mettere a posto le idee. In America non si va più dallo psicanalista. Vanno tutti dal filosofo».
Tra i filosofi più importanti in Italia, chi c’è oltre Galimberti?
«Io sono solo un divulgatore. In Italia i filosofi sono morti tutti».
E allora chi leggerebbe lei tra gli italiani?
«È morto Emanuele Severino, è morto Del Vecchio, è morto Gregory, è morto Bodei. La filosofia va a ondate. Se risorgeranno, bene. E se è morta, è colpa delle Università, dove i professori parlano tra di loro, invece di parlare alla gente».
Come si fa a fare consulenza filosofica?
«Beh, basta informarsi di che cos’è. L’ho portata io in Italia la consulenza filosofica. Quando tu hai male al corpo vai dal medico, quando c’è il mal di passioni, vai dallo psicanalista. E quando la testa non funziona, dove vai? Dal filosofo»
La consulenza filosofica? Quali libri consiglierebbe sulla consulenza filosofica?
«Feltrinelli ne ha un paio… circa. Il più bello di tutti è fatto da un fiorentino e lui si chiama Neri Pollastri».
Proviamo a riflettere sulla quotidianità dei ragazzi. Secondo lei i consigli che si danno tra loro funzionano?
«No».
I consigli tra genitori e i ragazzi funzionano?
«No, perché i genitori non parlano con i ragazzi».
E con chi devono parlare i ragazzi?
«Ormai sono ridotti a parlare solo con se stessi. L’unica cosa che mi sento di dire è Ragazzi non aspettate il futuro, prendetevelo. Buttati a fare anche il cameriere, se è possibile, incomincia da lì».
***
www.huffingtonpost.it
22 Marzo 2024

Non leggono, non scrivono,

non si annoiano, non sanno. Ma stanno su TikTok

di Marta De Vivo
La mia generazione rischia il nulla. Forse è giunta l’ora di ritrovare il tempo e di ritrovarci, di scandire i ritmi e permetterci delle pause, e infine, di cercare il senso e mettere da parte il superfluo
“So di cosa tratta, l’ho visto su TikTok”. E’ così che ha esordito un mio collega di università in relazione ad un testo che trattava la crisi dei missili di Cuba, salvo poi confondere Kennedy con Reagan, non avere idea di chi fosse Chruščëv, e non sapere cosa volesse dire la sigla Urss. Ecco a voi una cronaca dei danni dell’informazione veloce e del nulla cosmico che impera sulle varie piattaforme. “So di non sapere”, diceva Socrate, oggi invece tutti sono convinti di sapere ed essere informati, quando casomai sono solo aggiornati, che è cosa ben diversa. Non si legge più, l’editoria è in crisi e diverse case editrici a corto di liquidità, danno spazio a “Che Stupida” di Ilary Blasi e “Le corna stanno bene su tutto. Ma io stavo meglio senza!” di Giulia De Lellis, solo per citarne alcuni.
Una volta sugli scaffali delle librerie italiane c’era “Il nome della rosa” di Umberto Eco. Se si chiede ad un diciottenne medio quale sia l’ultimo libro che ha letto, è probabile che non gliene venga in mente uno, dal momento che è probabile, che non legga proprio. Non a caso, secondo un’indagine Ocse, gli studenti italiani sono ultimi in Europa per comprensione del testo e solo tre ragazzi su dieci leggono almeno un libro al mese. Sono invece 19.7 milioni gli italiani che ogni mese utilizzano TikTok, di cui quasi la metà sono adolescenti, numeri che fanno pensare, soprattutto se si guarda alla dipendenza che questa piattaforma tende a generare. A fine ottobre di quest’anno ho partecipato come relatrice al “Open Jam” di Ambrosetti (un evento pensato per i giovani). Il mio panel era “Una vita in vetrina”, dedicato alla costante esposizione sui social, nel momento di confronto con i ragazzi, mi hanno molto stupito gli interventi degli studenti delle superiori. Quasi tutti mi hanno raccontato di aver attivato un alert che gli dice quanto tempo passano su TikTok, altri mi hanno detto che la piattaforma stessa gli manda un avviso quando superano le due ore ininterrotte di “scrolling”, e la cosa più preoccupante è che alcuni di loro, hanno ammesso di esserne dipendenti e non riuscire a starne senza. Il paradosso della questione, è che erano tutti perfettamente coscienti del fatto che l’utilizzo del social fosse una perdita di tempo, e che i contenuti pubblicati su quest’ultimo fossero del tutto effimeri e vuoti di significato.
Eppure, nonostante ciò, continuavano ad utilizzarlo. I motivi? Uno in particolare: la noia. Uno dei grandi problemi del nostro secolo è che non sappiamo più essere annoiati, dobbiamo per forza riempire le nostre giornate e avere qualcosa o qualcuno che ci intrattenga, altrimenti andiamo nel panico. Eppure era proprio la noia che secondo Pascal ci portava ad indagare sulla vera natura del nostro essere, ed era sempre la noia, che ci portava a ricercare un senso alla nostra vita, mettendo così a nudo la pochezza della vita e dello stordimento di sé. La noia è da sempre un motore di ricerca ed evoluzione potente come pochi, ed è un peccato che i giovani (e non solo loro) abbiano perso la capacità di annoiarsi e stare soli con se stessi e con la loro fantasia, e perché no, anche con il loro ingegno e la loro curiosità. Forse così sarebbe possibile trasformare quella noia in un’occasione per porsi delle domande e magari cercare delle risposte – aprendo un libro – tentando di approfondire una questione, ricercando la sostanza e non l’intrattenimento momentaneo. Un momento di introspezione, che gli permetta anche di capire chi sono e cosa vogliono, perché non puoi capire chi sei e cosa vuoi, se non ti fermi mai a pensare e ad approfondire – da qui la crisi esistenziale che attanaglia buona parte degli adolescenti di oggi. Forse è giunta l’ora di ritrovare il tempo e di ritrovarci, di scandire i ritmi e permetterci delle pause, e infine, di cercare il senso e mettere da parte il superfluo.
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