Roberto Saviano vince la causa contro il ministro Sangiuliano, i giudici: «Diritto di critica»

da Il Corriere della Sera

Roberto Saviano vince la causa

contro il ministro Sangiuliano,

i giudici: «Diritto di critica»

di Redazione Roma
La sentenza alla citazione civile a causa dei due post dello scrittore contro l’allora direttore del Tg2 del 2018. Il legale del ministro: «Faremo ricorso»
Roberto Saviano ha vinto la causa avviata contro di lui dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, all’epoca direttore del Tg2, per due post dello scrittore pubblicati il 31 ottobre 2018. Sangiuliano aveva chiesto il «risarcimento danni per diffamazione a mezzo social network», ma il Tribunale civile di Roma ha rigettato la domanda sostenendo che quella di Saviano è stata una critica aspra ma consentita.
Scrivono i giudici nella sentenza: «Non si dispone di alcun criterio, offerto dall’attore (Sangiuliano, ndr), come sarebbe stato suo preciso onere, per procedere a una liquidazione, seppur equitativa, del danno lamentato, essendosi lo stesso limitato ad alludere al danno alla propria immagine e reputazione, ma che non sembra avere avuto ripercussioni nel proprio ambito professionale e sociale tenuto conto del fatto che all’epoca della pubblicazione dei post era direttore del Tg2, mentre nell’attuale governo è stato nominato ministro della Cultura».
La replica Sacviano l’affida a un nuovo post in cui torna a scrivere contro Sangiuliano e chiama in causa anche la premier Giorgia Meloni. «Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano mi ha portato a processo ritenendo che io avessi leso la sua onorabilità, ma così non è stato e il Tribunale civile di Roma mi ha dato ragione. Anzi: mi ha dato interamente ragione!», scrive Saviano.
«Non dicevo il falso – prosegue – quando riconoscevo anche Nicola Cosentino tra i padrini politici di Gennaro Sangiuliano e tra gli artefici delle sue fortune. Giorgia Meloni – non è un dettaglio, anche se oggi passa sotto silenzio – è stata ministra della Gioventù nel 2008, nello stesso governo e nella stessa coalizione di Nicola Cosentino, condannato in via definitiva a 10 anni di carcere per essere stato il referente politico del clan dei casalesi». «Giorgia Meloni non ha nulla da dire al riguardo? – scrive ancora Saviano – Ci sarà qualche giornalista in grado di inchiodarla alle sue responsabilità, politiche naturalmente, ma enormi? Temo che nessuno – tranne il sottoscritto, che del resto è già stato querelato – chiederà conto a Meloni della sua vicinanza politica a chi ha portato la camorra al governo, una vicinanza per la quale provo disgusto. Ma il cerchio si chiude: sono sotto scorta perché minacciato dal clan dei casalesi e sotto processo perché la premier, che con il referente del clan dei casalesi è stata al governo, ha deciso di querelarmi e costituirsi parte civile. Inutile domandarsi perché questo governo non abbia ancora attivato la Commissione parlamentare antimafia… Sarebbe una domanda retorica. Provo pietà per il nostro Paese e un profondo disgusto perché tutto questo sembra ormai essere la nostra normalità».
Immediato il commento del legale del ministro, Silverio Sica: «La sentenza, lo dico ironicamente, è istruttiva perché dice che si può parlare di `galoppino´ senza recare offesa, in quanto il termine sarebbe una critica politica aspra, pungente ma consentita e tutte le connotazioni negative scompaiono. Ci sembra che a questo proposito Saviano – aggiunge l’avvocato – goda di un privilegio rispetto ad altri italiani. Abbiamo chiesto specificamente al giudice di verificare un pregresso in merito ai rapporti tra il ministro e Nicola Cosentino, che non solo non erano cordiali ma di ostilità, e questo non è stato fatto. Viene dato come fatto notorio che Sangiuliano fosse in continuità con Cosentino, fino alla definizione di `galoppino´ e non è stata ammesso come prova il fatto di aver chiesto di dimostrare con una missiva che al contrario il rapporto era di malanimo. Tutto questo è infondato ed offensivo – conclude Sica – e per questo andremo in appello, sperando di trovare un giudice meno disponibile a spingere il diritto di critica fino alla definizione di galoppino».

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