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02 Maggio 2024
Per 78 volte le opposizioni potevano battere
il governo Meloni. E invece…
di Maria Sole Betti
Dall’inizio della legislatura i gruppi della minoranza hanno avuto tra le mani quasi cinque occasioni al mese per battere il centrodestra durante le votazioni finali alla Camera e al Senato. Eppure, anche in casi delicati come l’accordo Italia-Albania e o il Piano Mattei, non lo hanno fatto finendo per favorire il centrodestra. L’impietosa fotografia di Openpolis
“Ogni lasciata è persa”, dicevano i latini. Un proverbio che l’opposizione sembra non conoscere, visto che dall’inizio della legislatura le occasioni sprecate per battere la coalizione di centrodestra sono state quasi cinque al mese. A rivelarlo è una ricostruzione di Openpolis, secondo cui sono state 78 le votazioni finali sui disegni di legge – poi approvati – in cui i voti favorevoli sono stati inferiori rispetto al totale dei potenziali contrari. Trattasi di provvedimenti dal forte carattere politico, e dunque concrete possibilità per Pd, M5s e Terzo Polo di ostacolare il lavoro in aula della maggioranza. Un potenziale gettato al vento a causa della scarsa coesione dei gruppi parlamentari dell’opposizione. Che al posto di essere più compatti e incisivi hanno deciso di diventare la più grande assicurazione per la vita del governo Meloni.
Malgrado la litigiosità e le divisioni delle opposizioni non l’abbiano mai resa un’ipotesi credibile, il margine per mettere in difficoltà l’esecutivo esiste eccome. E si è presentato tutte le volte in cui la maggioranza in linea teorica non aveva i numeri in Parlamento per via delle troppe defezioni. In alcuni casi, infatti, gli esponenti del centrodestra sono chiamati a ricoprire altri incarichi, o nel governo o all’interno di altri organi parlamentari come le Commissioni. Ciò fa sì che molti di loro non riescano sempre ad essere presenti in aula per votare a favore dei provvedimenti in discussione, creando potenzialmente delle difficoltà.
È questo che avrebbe potuto mettere in crisi il centrodestra, nonostante il teorico ampio margine. Ed è proprio questo lo spazio in cui il centrosinistra si sarebbe potuto infilare, dando per assodata la presenza in aula di tutti gli esponenti che non hanno votato la fiducia a questo governo. C’è però un tassello mancante che ha salvato in più di un’occasione la coalizione di governo: l’assenza di un voto compatto dell’opposizione contro i disegni di legge. O, per meglio dire la scarsa capacità – o mancanza di volontà – di coordinarsi per partecipare in massa al voto e affossare alcuni provvedimenti in diverse occasioni.
Divisioni interne che nell’arco di 16 mesi – quanti ne sono passati dall’insedimento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi – hanno salvato la maggioranza nelle votazioni finali, molto più spesso alla Camera (49 volte) che al Senato (29 volte). Stiamo parlando, ad esempio, della recente approvazione a Montecitorio della norma che prevede l’introduzione dell’insegnamento nelle scuole del tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, dove gli appena 121 “sì” sono comunque bastati. O di casi come il voto sulla legge delega per le politiche a favore delle persone anziane, sulla legge delega per il voto di studenti e lavoratori fuori sede e sulla legge per le politiche sociali e gli enti del terzo settore, in cui addirittura non si sono registrati contrari. Provvedimenti nei quali si può leggere chiaramente la volontà dell’opposizione di non ostacolare misure a favore della collettività, che però non può giustificare il fare da stampella alla maggioranza.
Un ruolo che l’opposizione ha assunto ad esempio durante il voto sul divieto di produzione di carne coltivata, approvata con 159 voti favorevoli, inclusi 4 provenienti dall’opposizione. O con quello sulla legge contro il deturpamento dei beni culturali pensata per perseguire i manifestanti per la lotta al cambiamento climatico, passato con 138 voti favorevoli. O ancora quello sulla ratifica dell’accordo Italia-Albania in materia di immigrazione e quello riguardante l’istituzione della commissione d’inchiesta sulla gestione dell’emergenza Covid (132) che ha visto, tra gli altri, i voti favorevoli degli esponenti di Italia viva. Al Senato le cose non cambiano. Le opposizioni non sono riuscite a presentarsi in aula compatte e a votare contro nel voto sulla legge di conversione del decreto flussi – approvato con 84 voti favorevoli – ma neanche al ddl in tema di deturpamento di beni culturali, a quello sulla conversione del decreto legge sulla governance del Piano Mattei e infine al voto sulla recente riforma sul voto di condotta per gli studenti. Sono troppe le opportunità in cui le opposizioni avrebbero potuto essere più incisive e che stanno rendendo più semplice il lavoro in aula della coalizione di governo.
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